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Anonimato e fama: essere illustri restando sconosciuti

Anonimato e fama non sono condizioni necessariamente opposte, perfino in un mondo in cui legioni di anonimi aspirano a diventare famosi, e in cui buona parte del non così sparuto gruppetto dei famosi desidererebbe, almeno ogni tanto, un po’ di anonimato. Divertente, tra l’altro, la strategia adottata da Daniel Radcliffe (l’attore che ha impersonato Harry Potter) per disfarsi dei paparazzi: indossare la stessa giacca per sei mesi di fila, in modo da rendere indistinguibili, e quindi inutilizzabili, le foto.
Eppure una terza via c’è. Il caso degli sconosciuti illustri sembra identificare un paradossale punto di equilibrio: il vantaggio della fama, senza l’onere di doverne pagare i costi personali.

I primi esempi che vengono in mente sono lo street artist Banksy (su NeU ne abbiamo già parlato a proposito di valore delle opere d’arte, e a proposito della sostanziale differenza tra street art e vandalismo). E poi la scrittrice Elena Ferrante (la cui identità, non per sua scelta, è oggi nota). Ma basta cercare un po’ per scoprire altre storie, e costruire un piccolo catalogo dei possibili sconosciuti illustri.

GLI STREET ARTIST: ANONIMATO PER FORZA
Pitturare sui muri è illegale. L’imperativo è non farsi beccare, e questa è, secondo il Telegraph, “una delle dodici cose da sapere se vuoi diventare uno street artist”. Qualcuna delle altre: il cattivo tempo è un alleato. Inventare stratagemmi per rendersi invisibili e preservare l’anonimato è parte del lavoro. E bisogna indossare una maschera (questo, però, non ha a che fare con l’anonimato ma con il fatto che le vernici spray sono super tossiche).
Di fatto, la vita di uno street artist si dipana tra segretezza, soldi, fama, illegalità e presunti disvelamenti d’identità (smascherato Banksy!, strilla il Daily Mail nel 2008) seguiti da altrettanto ricorrenti smentite. Guardatevi qualche scena di Exit throug the gift shop, il premiatissimo documentario di Banksy sulla street art. Qui il trailer. Qui, invece, il sito.
Nel marzo 2016 sembra che il mistero dell’identità di Banksy sia definitivamente risolto, grazie a una tecnologia per la localizzazione progettata dalla Queen Mary University di Londra. Da noi, la notizia finisce nella prima pagina della Repubblica.
È il Guardian a raccontare la storia di Bambi, il “Baksy femmina”, anche lei inglese. Blu invece è italiano, e ha cominciato a Bologna. È bravissimo: il Guardian lo colloca tra i 10 migliori street artist del mondo. Qui il suo sito: i video in time lapse delle opere di Blu sono a loro volta meravigliosi: qui l’intera raccolta su YouTube.

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LE SCRITTRICI: ANONIMATO PER OPPORTUNITÀ
Certo, c’è Elena Ferrante: anonima all’inizio per timidezza, dice nella prima intervista che abbia mai concesso, ora per testimoniare contro l’ossessione autopromozionale imposta dai media. Questo non impedisce a Carlo Lucarelli di riassumere, da giallista, le coordinate della sua possibile identità, e di riprendere una delle ipotesi più ricorrenti: che Ferrante sia, in realtà, uno scrittore. In seguito con la caccia all’indizio si cimenta anche il dantista, e finalista al premio Strega, Marco Santagata.
A sciogliere il mistero è infine il giornalista Claudio Gatti, con un articolo che esce in contemporanea in quattro paesi. Gatti fa un’operazione assai controversa, e usa le tecniche del giornalismo investigativo seguendo il flusso del denaro dei diritti d’autore e suscitando reazioni indignate in tutto il mondo.
Che Ferrante  fosse uno scrittore sarebbe stato un fatto curioso, dato che è, invece, antica abitudine delle scrittrici nascondersi dietro a pseudonimi maschili per apparire più credibili: l’hanno fatto, tra le altre, le sorelle Brontë e Karen Blixen. Notevole scoprire che, in tempi assai più recenti, anche Joanne Rowling è stata invitata dai suoi editori a pubblicare come J.K. Rowling, celando la propria identità femminile: l’idea era che i ragazzini potessero non apprezzare un libro di avventure fantastiche scritto da una donna. Rowling, peraltro, ha ripetuto la scelta dell’identità maschile firmando come Robert Galbraith la sua nuova produzione di (ottimi) libri gialli.

IL CUOCO E IL GASTRONOMO: ANONIMATO PER LIBERTÀ DI CRITICA
È divertente la storia del finto (tuttavia, probabilmente, anche autentico) chef che si fa chiamare Jacques La Merde e impiatta da maestro schifezze e cibo-spazzatura, scattando foto che poi pubblica su Instagram. Dove, scrive Vogue, si è conquistato oltre 100.000 seguaci. Qui un’esilarante intervista con il medesimo. Qui la preparazione di un’intera cena.
Ma c’è anche il critico gastronomico del Los Angeles Times che, anche se firma i propri articoli, cerca comunque di tenere nascosto il proprio aspetto, ed è solito prenotare nei ristoranti sotto falso nome.

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I MUSICISTI: ANONIMATO COME ELEMENTO SPETTACOLARE
Ci sono i Daft Punk, un duo francese di musica house che per anni si esibisce con maschere da robot. Debuttano nel 1997 e la loro identità rimane a lungo segreta. Rilasciano poche interviste e nei video appaiono travestiti (qui il trailer di quello, recentissimo, realizzato da BBC). Ci sono gli inglesi Gorillaz che, a rigor del vero, proprio non esistono: sono quattro personaggi (a cui di recente se n’è aggiunto un quinto) che appaiono in forma di cartone animato. Sono stati inseriti nel Guinness dei primati come band virtuale di maggior successo. Suonano rock alternativo. Nel 2005 agli European Music Award di Lisbona tengono il loro primo concerto dal vivo utilizzando la tecnica del Musion Eyeliner System che li rivela al pubblico sotto forma di ologrammi.

Ma tutte queste storie, oltre all’anonimato, hanno un altro dato in comune: chi vuole diventare uno sconosciuto illustre deve produrre opere che valgono, si fanno conoscere e parlano per lui. Altrimenti, la cosa non funziona: insomma, bisogna “svelare l’opera e celare l’artista” come dice Oscar Wilde. Il quale peraltro, su arte, artisti e talento, ne ha dette proprio tante.
Se conoscete altre storie, raccontatele qui sotto.
Questo articolo è illustrato da opere di Salvador Dalì. È stato aggiornato con le ultime vicende riguardanti il caso Ferrante.

3 risposte

  1. Sull’autopromozione imposta, percepita come una violenza (una non scelta o una forzatura) dall’autore/trice, e sull’anonimato come estrema difesa di Elena Ferrante concordo. Credo che lo scopo del celarsi sia di riportare l’attenzione sull’opera. Salvo, poi, però rischiare di cadere nell’estremo opposto. Avevo segnalato l’originale apparso sulla Paris Review qui: http://wp.me/pbVP0-Fi
    In occasione dello Strega moltissime furono le discussioni sulla sua identità. Ma mi è capitato di incappare per caso in una sola critica, ben scritta, ai romanzi: http://www.internazionale.it/opinione/laura-buffoni/2014/11/30/elena-ferrante-sono-io

  2. Fra i musicisti è necessario citare anche i Residents di San Francisco, attivi (ed anonimi) dai primi anni ’70 ad oggi.

  3. A proposito di Street Artists illustri sconosciuti c’è anche il romano HOGRE. Voci di corridoio in ambiente accademico sostengono che abbia anche scritto una tesi di laurea su se stesso senza che nessuno sapesse mai, nemmeno il relatore, che in realtà fosse lui il soggetto in questione. Un vero genio!

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