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Brevetti, tra opportunità, aneddoti e controversie – Idee 50

Il tema dei brevetti è importante, amplissimo, complesso e controverso. Da una parte un brevetto protegge chi ha avuto un’idea e gli permette di valorizzarla: quindi la possibilità di brevettare è uno stimolo a innovare. Dall’altra, l’esistenza di un brevetto può impedire o sfavorire l’accesso collettivo a una tecnologia o a un ritrovato che potrebbe stare alla base di ulteriore innovazione o di un miglioramento (pensate, ai brevetti dei farmaci) della qualità della vita. Un altro bel quesito riguarda ciò che è brevettabile: per esempio, brevettare una sequenza di DNA umano implica il fatto che un individuo possa diventare proprietario di una parte di un altro individuo, il che è piuttosto paradossale.

In poche righe non se ne viene di certo a capo. Ma ci si può fare un’idea.
Il libro 150 (anni di) invenzioni italiane raccoglie 150 brevetti made in Italy: dalla macchina per scrivere alla calcolatrice, dal velocipede alla “bicicletta a motore” (e si tratta della Vespa). Ci sono anche cose bizzarre come la “locomotiva mossa dalla forza di animali” o “il supporto portarotoli di carta igienica”. Guardate le immagini sul sito di Wired.
Vittorio Marchis, l’autore, porta il libro al Festival della Scienza e lo trasforma in uno spettacolo teatrale. Ce n’è un pezzetto in questa bella videointervista.
Istat mostra la posizione dell’Italia nella classifica europea per numero di brevetti (è undicesima, tra Gran Bretagna e Irlanda. Vuol dire che si brevetta assai meno di quanto si potrebbe) e dice in quali regioni si fanno più brevetti (Emilia Romagna, Lombardia e Friuli, con il sud parecchio indietro). Volete scoprire come si registra un brevetto oggi? Lo spiega Superquark.

In Europa non è possibile brevettare il software, ma lo si può fare negli Stati Uniti. È un problema. Ci sono centinaia di brevetti per le stesse idee registrati con parole diverse. E l’innovazione rallenta a causa dei patent troll: aziende che spesso non producono nulla ma acquistano diritti sui brevetti e speculano facendo causa alle start-up. Non si lamentano solo i piccoli, ma anche giganti come Google. Leggete il racconto e il commento di Luca De Biase.
Infine, eccovi Google patents. Potete cercare e scaricare i pdf di otto milioni di brevetti. Divertitevi.

4 risposte

  1. Tema molto interessante… Nel libro “La follia di Banvard” Paul Collins racconta però anche di come a volte regisrare un brevetto espone la propria idea al plagio e alla scopiazzatura, citando invece esempi di chi non ha registrato il brevetto ed ha cominciato a produrre la propria invenzione in gran segreto (ottenendo gran successo econmico). Altri invece l’hanno brevettata ma in tal modo non hanno potuto trarre profitto dalla propria creatività, dato che ‘troll’ d’altri tempi già consultavano i registri dell’ufficio brevetti alla ricerca di idee da copiare (con un piccolo scarto per farle ‘proprie’). Insomma: si deve stare sempre in guardia. Io i copioni li ho sempre odiati, anche a scuola 🙂

  2. il tema è interessante, complesso e solleva diverse riflessioni. Brevettare significa rendere pubblica la conoscenza sviluppata e quindi fruibile agli altri studiosi o ricercatori per l’avanzamento della scienza e della ricerca, anche industriale. In cambio si ottiene l’esclusiva dello sfruttamento commerciale di quanto brevettato, nessun altro può utilizzare quanto depositato per produrre e commercializzare un prodotto nell’area coperta dal brevetto (ma qui entra in gioco anche la capacità e la forza di far valere i propri diritti, che è un altro discorso). Fa parte della propria strategia valutare se sia più conveniente brevettare o tenere il segreto industriale. In ogni caso ci sono copioni e copioni… inventare qualcosa e trasformarla in un successo di mercato non sono esattamente la stessa cosa! Per non parlare dell’acquisizione di brevetti (tenuti nel cassetto o in cassaforte) volta ad impedire che una innovazione arrivi sul mercato in un certo momento (a compromettere la redditività di altri prodotti ai quali farebbe concorrenza). Francesca

  3. L’opzione a cui accenna Anonimo2 riguarda l’”anticipata accessibilità al pubblico”.

    Resta il fatto che fare un brevetto, specie se si tratta di un brevetto europeo, è una faccenda costosa e non banale. E il problema linguistico non va sottovalutato: provate a confrontare le vostre rivendicazioni, scritte in italiano, tradotte in inglese magari in modo non precisissimo, con quelle di un inventore tedesco, o russo, scritte in tedesco o in russo, tradotte a loro volta in inglese e in modo magari non precisissimo.
    D’altra parte, non ci sono molte alternative.

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