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In caso di crisi. Quattro cose che conviene sempre fare

In caso di crisi è facile sentirsi paralizzati. E avere la sensazione che “quella” crisi sia diversa da ogni altra crisi possibile. In realtà, tutte le crisi hanno, per il fatto stesso di apparirci come tali, alcune caratteristiche in comune: sono improvvise. Scardinano un ordine costituito. Ci appaiono drammatiche. Chiedono decisioni rapide, che portino a un cambiamento e all’instaurarsi di un nuovo equilibrio.
Il crisis management è una disciplina nata negli anni Ottanta, con l’obiettivo di prevenire, gestire o rimediare disastri industriali o ambientali. Ma l’idea di “crisi” è molto, molto più antica.

È falso che l’ideogramma cinese wēijī significhi contemporaneamente “crisi” e“ opportunità”: vuol dire “momento cruciale” e non ha connotazioni positive. Insomma, significa “crisi”, e basta.
È invece vero che parola “crisi” che usiamo noi in occidente rimanda all’idea di scegliere e di separare: il termine greco κρίσις in origine si riferisce alla trebbiatura e al separare il grano dalla paglia. Nei secoli la parola assume una quantità di ulteriori significati. rimanda al distinguere e al giudicare, alla discontinuità e al collasso, al cambiamento improvviso, al trauma.

Scegliere e separare, appunto. Brexit, come scelta che separa, è il caso di crisi perfetto, anche perché comprende tutte le accezioni di “crisi”: economica, psicologica, politica, sociale, d’identità, di valori, di progetto, di consenso, di senso. E di coscienza, se stiamo a sentire le dichiarazione dei molti che ora si pentono del proprio voto.
E ancora: è un caso di crisi che impatta sulle nazioni e sui singoli individui, sulle istituzioni pubbliche e sulle imprese, sui prossimi giorni e con ogni probabilità sui prossimi decenni.

Anche se i giornali traboccano di previsioni, sono certa che oggi tutte le conseguenze siano difficili da immaginare, anche perché ciascuna conseguenza implica un ventaglio di scelte possibili, che si possono rafforzare o elidere a vicenda, ciascuna delle quali implica ulteriori ventagli di conseguenze e di scelte.
È una struttura che sfida ogni capacità di calcolo e di previsione, e che forse potrà essere, nel tempo, descritta e compresa, almeno parzialmente, solo da una schiera di maghi dei big data.
Ci sono però poche linee-guida elementari che vanno comunque seguite, in caso di crisi. Le recupero, le confronto e vi offro questa sintesi.

ACCETTARE LA REALTÀ. Qualsiasi sia l’evento che scatena la crisi, la prima cosa da fare è rendersi conto in fretta che è successo davvero. Riuscirci non è così banale: il meccanismo psicologico della dissonanza cognitiva, individuato da Leon Festinger, riguarda la difficoltà di accettare il verificarsi di un fatto nuovo che contraddice o scardina radicalmente precedenti credenze, aspettative o comportamenti. Più il fatto nuovo è macroscopico, più le aspettative sono consolidate, più cresce il disagio psicologico.

In caso di crisi, un modo sconsigliabile per ridurre lo stress è far finta che niente, o quasi, sia successo. Un modo più sofisticato ma ugualmente sconsigliabile è tergiversare, magari interrogandosi all’infinito su come le cose sarebbero potute andare altrimenti, o recriminando.
Una reazione positiva a uno stato di crisi implica invece che ci si disponga rapidamente a modificare credenze, aspettative e comportamenti.
In caso di crisi 1

NIENTE PANICO. Il nostro sistema cognitivo è sofisticato e ci aiuta a programmare, a progettare e a fare scelte ragionevoli. Ma in una situazione inedita e traumatica, che viene percepita come pericolosa (sapevate che perfino tutto ciò che è semplicemente “nuovo” può essere percepito come pericoloso?) si attiva la parte più arcaica del cervello: quella che considera le due alternative fight or fligt (attacca o fuggi) come le uniche possibili.

Bene: tutti i testi sul gestire le crisi suggeriscono di avere un piano. Ma “attacca o fuggi” non è un piano. E d’altra parte certe emergenze sono così ingarbugliate o repentine che “avere un piano” non è facile. Ci sono però almeno tre costanti di comportamento consigliabili e attuabili, anche in assenza di un piano strutturato: niente panico. Niente gesti contraddittori o avventati. Coerenza tra ciò che viene detto e ciò che viene fatto.

COINVOLGERE TUTTI, PARLARE CON UNA VOCE SOLA. Se la crisi riguarda un’istituzione, tutte le entità rilevanti vanno coinvolte nel processo di analisi della situazione e di messa a punto di una strategia d’azione solida. Ci può volere del tempo. È indispensabile che, sia nel corso del processo, sia a decisioni prese, l’analisi appaia condivisa e le decisioni non vengano a loro volta messe in crisi prima ancora di essere attuate.
Questo significa che, prima di definire che cos’è successo e di decidere che cosa fare, bisogna mettersi d’accordo sul chi deve parlare, come, a quali interlocutori.

La cosa da comunicare in modo convincente è che non esistono soluzioni semplici a problemi complessi. Che però, per ciascun problema, si può e si deve trovare una soluzione. Che la volontà di trovare la migliore delle soluzioni possibili è forte e condivisa. Che il processo decisionale sarà trasparente e il più tempestivo possibile.

GUARDARE OLTRE. Qualsiasi sia il piano, conviene produrlo ricordando che questa non sarà né la prima né l’ultima delle crisi. E che, anche se l’ideogramma cinese non lo dice, ogni crisi, rimescolando le carte, può favorire l’innovazione e aprire nuove opportunità, che vanno intercettate e gestite.
Lo scrive Albert Einstein: non possiamo far finta che le cose cambieranno se continuiamo a fare le stesse cose. Una crisi può essere una vera benedizione per qualsiasi persona, per qualsiasi nazione, perché tutte le crisi portano progresso. Einstein aggiunge, tra le altre cose, che l’incompetenza è la vera crisi. Qui il testo completo.

Una versione più breve di questo articolo esce su Internazionale.it. Le immagini sono di Ronen Goldman.

 

5 risposte

  1. Tutti consigli molto condivisibili.

    Certo, affrontare una crisi non è semplice, ma si deve pur andare avanti – e chissà che alla fine non emergano scenari migliori di quelli precedenti.

  2. Se il cambiamento dipende dai capricci del destino (sono napoletana e per me è verosimile) possiamo solo rassegnarci, ma i cambiamenti politici sono REVERSIBILI, quindi perché ACCETTARLI? C’è il voto, ci sono i referendum, c’è la facoltà di riunirsi in associazioni, quindi se riteniamo che qualcuno, per i suoi sordidi interessi, abbia sconvolto l’assetto dei nostri valori (mi riferisco alla politica) possiamo batterci DEMOCRATICAMENTE e con tutta l’energia e la passione delle persone che credono negli ideali calpestati e ripristinare eventuali schemi che la maggior parte della gente non gradisce. E’ nella capacità di persuasione, nell’empatia ed in una buona conoscenza dell’animo umano saper adeguare la dialettica alle differenti personalità affinché le parole raggiungano il bersaglio: il cuore della gente o, nel caso dei recidivi materialisti, focalizzare ed evidenziare quali svantaggi trarrebbero da un cambiamento radicale sgradito. Le faccio un esempio: per chi ha convinzioni cattoliche (la maggioranza, per fortuna) ci sono “novità” che non piacciono attualmente e subire gli effetti di certe innovazioni vissute come coercitive sicuramente non porterà alla rassegnazione ma ad un voto di protesta che molti politici stanno sottovalutando. A proposito, evitiamo ,per cortesia, le filosofie cinesi, siamo un popolo che non ha bisogno di mutuare nulla da nessuno.

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