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Comunicazione politica: come azzerare le metafore

Che la sinistra italiana abbia qualche problema con la comunicazione politica, e in particolare con le metafore, è chiaro già ai tempi (1994) in cui si presenta all’appuntamento elettorale qualificandosi come gioiosa macchina da guerra. E perde. Dopo – ricordiamolo – avere a lungo sottovalutato la probabilità e le conseguenze dell’ingresso in politica di un tycoon delle televisioni, macchina comunicativa per eccellenza in un paese che non legge.

Niente di nuovo, insomma. Per questo avrei volentieri taciuto dell’ultima performance, la Marilyn de noantri che pubblicizza la festa dell’Unità di Roma, e che tanto nervosismo ha suscitato in rete. Ma il dibattito sta assumendo una piega strana, e mi sembra utile riprendere alcune considerazioni già postate sul blog di Giovanna Cosenza. In breve: credo che il manifesto PD sia sbagliato non tanto perché mostra venti centimetri di gambe femminili ma perché, mostrandole, riduce una metafora semplice, potente (il vento cambia) con un forte radicamento storico (Fischia il vento…) e con un altrettanto forte rimando alla contemporaneità (il fortunato claim di Pisapia alle Amministrative milanesi) al suo significato letterale.
E, facendo così, la azzera: passiamo dall’annuncio di un rinnovamento della politica, segnato dal successo alle Amministrative, alle previsioni meteo, per di più illustrate (e qui hanno ragione le donne ad arrabbiarsi) da una signorina scosciata. Che non è l’errore centrale di quel manifesto, ma è un’aggravante fastidiosa e fuori tono.

Si tratta, fra l’altro, del medesimo errore tecnico compiuto pochi mesi fa con lo slogan “rimbocchiamoci le maniche” (metafora popolare per “diamoci da fare”) accompagnato, ahimé, da un Bersani con le maniche rimboccate. E anche in questo caso l’affermazione, illustrata dal gesto corrispondente, si riduce al suo misero significato letterale: diventa un’azione riguardante l’abbigliamento, che può fare il paio con “allentiamoci la cravatta”. O “spazzoliamoci la giacca”.
Insomma: le metafore, in politica e non solo, sono uno strumento potente per comunicare concetti in modo immediato e carico di emozione. Forse, qualcuno dovrebbe spiegare al Pd come funzionano. Così, magari, il PD riesce a capire il significato di quel che sta dicendo. Che è la condizione necessaria per riuscire a dirlo meglio.

9 risposte

  1. “Così, magari, il PD riesce a capire il significato di quel che sta dicendo”. Per esempio, le dichiarazioni sulle intercettazioni credo abbiano fatto alzare (nuovamente!) il sopracciglio a più di un elettore. La potenza delle metafore viene azzerata anche da comportamenti e dichiarazioni discutibili.

  2. Sì, concordo. Ho scritto stanotte la stessa cosa su http://www.ivasicomunicanti.net, tra l’altro citandoti per le pubblicità lesive dell’immagine della donna, e soffermandomi di più sul banner realizzato dal manifesto, che perde completamente di significato. In particolare, condivido pienamente il tuo azzeramento del messaggio, che è anche il cuore del mio post: “Il vento cambia davvero è slogan di comunicazione politica che ha cambiato il corso degli èventi – finezza per chi ha seguito la campagna – a Milano e, da lì, in tutta Italia. Ora non si può ridurlo a un “effetto Marilyn”, tanto più che in Italia la situazione donne è disastrosa”. E’ stato anche detto che il problema di quel manifesto è l’essere senza testa. Effettivamente, nella moda si usa la modella senza testa quando l’attenzione sul particolare dev’essere estrema, quasi pornografica. E tutti i fotografi sanno quanto può essere arma a doppio taglio una foto del genere. Mi chiedevo se queste cose il Pd non le sappia, come ad esempio Berlusconi non sapeva che in tedesco esistono parole tabù che non vanno pronunciate…

  3. Sul Pd e i suoi problemi col linguaggio, ricordo un post spettacolare di Giovanna Cosenza dello scorso dicembre, a proposito di un discorso di Bersani: http://giovannacosenza.wordpress.com/2010/12/13/la-tristezza-di-bersani-in-piazza-san-giovanni/ Ne riporto solo alcune righe: “E poi è terribile la conclusione: «Anch’io ho il mio sogno. Il sogno di un Partito, il Partito Democratico, che possa finalmente dire all’Italia, parafrasando una bella canzone e una grande trasmissione televisiva: Vieni via, vieni via di qui, vieni via con me. Vieni via da questi anni, da queste umiliazioni, da questa indignazione, da questa tristezza. C’è del nuovo davanti, c’è un futuro da afferrare assieme, l’Italia e noi.» Terribile perché contraddittoria: critica il berlusconismo e la cultura televisiva che lo alimenta, ma dice di avere un sogno che coincide con una trasmissione televisiva. Terribile perché se un leader politico cita esplicitamente la tv, ammette di esserle subalterno. La tv va usata (Berlusconi docet), non citata. Terribile perché Bersani intendeva riferire la tristezza all’Italia berlusconiana contro cui si è scagliato e l’indignazione a se stesso, ma l’immagine di un Pd incapace e sconfitto che ha contrabbandato per tutto il discorso riferisce tutto, incluse umiliazioni e tristezza, a se stesso e al Pd. Perciò il «Vieni via con me» finale diventa quasi un malaugurio, perché proietta sul «futuro da afferrare assieme», e cioè sul Pd e coloro che vorranno votarlo, le stesse umiliazioni, la stessa inutile, per quanto reiterata, indignazione. E il sogno si fa incubo.” —————————- Sul potere delle metafore, due aneddoti: 1. una mia cara amica con problemi di reflusso gastroesofageo prendeva un certo farmaco indicatole dal medico come “gastroprotettore” perché le sembrava molto efficace: “come se formasse una pellicolina protettiva sulle pareti dello stomaco”. Da quando ha saputo che in realtà è un “inibitore della pompa protonica” non lo prende più così spesso, perché “fa meno effetto”. 2. ogni volta che calava la pressione atmosferica e su milano si formava quella terribile cappa opprimente, mia madre (che oggi ha 80 anni) commentava: “è la pressione bassa, senti come ti schiaccia”. Poi le ho spiegato che quel “basso” è da intendersi in senso quantitativo, di millibar in calo, non di “basso perché vicino a terra”; e che semmai l’atmosfera ci “schiaccia” quando è bel tempo e c’è alta pressione. Adesso la cappa opprimente le sembra più leggera… Valeria

  4. E spiegare, anche, che il vento non si ingabbia e non basta mettere un timbro sulla parola per appropriarsene.

  5. lo sgonfiamento delle metafore potenti (e di qualcosa d’altro, per scendere un po’ di tono) sembra un classico della sinistra, e lo dici molto bene. mentre l’intuizione che la campagna di Pisapia ha avuto è quella della mitezza e del’imperfezione unite alla determinazione. è un fiume carsico che non a caso è riapparso a Milano -e che Roma o Toma faticheranno molto a capire-. cambierà tutto, lentamente e inesorabilmente, anche perché la guida di questo cambiamento è del tipo “femminile forte” (per contrapporsi alle infelici che giocano al ribasso e vendita di qualsiasi dignità con la destra, compreso la Brambilla di quel filmino dove arriva quasi all’amplesso con la tigre). ma ci sarà molto da lavorare, e tenere la barra. la Brambilla con la tigre non è differente -per mediocrità e squallore- dalla difesa che alcune donne del PD hanno fatto del manifesto con la gonna che si alza. se l’Italia è stata (ed è ancora) un interessante esperimento di dittatura raggiunta -volontariamento o no, non saprei- attraverso la confusione tra realtà e TV commerciale (quella dei programmi “innocui” di Mengacci con Rosalinda Celentano) …molto aiuto è venuto dalla cultura da bar o da strapaese o da fricchettonismo della sinistra. quella di Pisapia è una svolta civica, etica: un momento storico dove molti settori cattolici o borghesi non hanno avuto paura della sinistra. e per questo, anche l’arroganza maschiaccia della nomenklatura, ad esempio di un Di Pietro contro Vendola farà poca strada. ma c’è da lavorare.

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