Come pensare

Il barometro e lo studente: una storia sul come pensare – Idee 132

Qui sotto vi racconto una storia. Poi vi racconto la storia della storia, e il senso di entrambe. Vedrete, sono illuminanti.

La storia. A scriverla è Alexander Calandra, docente di fisica alla Washington University. La traduco e la riassumo.
Calandra viene chiamato da un collega a dirimere una questione spinosa: durante un esame di fisica, alla domanda ”dimostrami come puoi determinare l’altezza di un grattacielo con l’aiuto di un barometro” lo studente esaminato risponde che basta portare il barometro in cima al grattacielo, legarlo a una corda, mollarla fino a terra, tirarla su e misurarne la lunghezza.
La risposta è corretta perché risolve il problema, ma non è quella canonica (usare il barometro per determinare la differenza di pressione atmosferica tra base e vertice dell’edificio) e solleva un ulteriore problema: come valutare lo studente che sì, ha risposto, ma l’ha fatto violando la regola accademica che chiede di dimostrare il possesso di competenze proprie della materia in cui si viene esaminati? Lo studente pretende il massimo dei voti, il docente vuole dargli zero.

Calandra concorda con il collega di offrire allo studente un’altra possibilità: ha sei minuti per rispondere. Dopo cinque minuti non ha ancora scritto nulla. Gli viene chiesto se vuole ritirarsi, ma lui dice che deve scegliere tra molte riposte possibili. Al sesto minuto lo studente scrive: “porta il barometro in cima all’edificio, sporgiti e lascialo cadere dal tetto. Misura il tempo di caduta con un cronometro e poi usando la formula S = ½ at2 calcola l’altezza dell’edificio”. Lo studente si prende un voto eccellente. Mentre escono insieme, Calandra gli domanda quali fossero le altre risposte.

“Ci sono molti modi per misurare l’altezza di un grattacielo con l’aiuto di un barometro”, risponde lo studente. E spiega: “in un giorno di sole posso misurare l’ombra proiettata dal barometro e quella proiettata dal grattacielo: per calcolarne l’altezza, poi, faccio una semplice proporzione. Oppure salgo per le scale e faccio segni sui muri usando il barometro come unità di lunghezza. Alla fine conto i segni e ottengo l’altezza dell’edificio in unità-barometro. Posso legare il barometro a un filo e usarlo come pendolo per misurare il valore della gravità alla base del grattacielo e in cima: a partire dalla differenza tra i due valori riesco, in linea di principio, a calcolare l’altezza. E ci sono altri modi ancora: forse il più efficace è bussare alla porta del soprintendente del grattacielo e dirgli senta, questo è un bellissimo barometro. Se mi dice quanto è alto il grattacielo, glielo regalo”.

A questo punto Calandra domanda allo studente se davvero non conosce la risposta canonica. “Certo che sì”, dice lui, “ma non ne posso più dei professori che pretendono di insegnarmi come pensare invece di spiegarmi la struttura del problema”.

come pensare

La storia della storia. La storia del barometro è stata pubblicata in lingua inglese innumerevoli volte, spesso ma non sempre con il titolo originale Angels on a pin (angeli su uno spillo), che a sua volta si rifà a un quesito della scolastica medievale “quanti angeli possono stare su uno spillo?” (giusto per saperlo: la risposta è “infiniti”).

Tullio De Mauro mi scrive regalando preziose informazioni inedite sulla prima circolazione in Italia della Storia del barometro: un apologo sul come pensare che, con ogni evidenza, non appassiona solo me.
In Italia, a mia conoscenza, fu tradotta dalla versione di Calandra in Current science del 1964 nel pluriedito “libro di base” (è il numero 48) di Carlo Bernardini, Che cos’è una legge fisica, Editori Riuniti, Roma 1983, pp.78-79, Nell’aureo libretto si fa riferimento allo studente di Calandra anche per invocarne la “flessibilità” non sempre amata dalla comunità dei fisici (e chiaramente non solo loro). Io mi sono servito del barometro da varie parti in anni seguenti. Ma la storia era ben nota ai fisici romani (ricordo in particolare Francesco Calogero, allora ovviamente ragazzo) da cui l’ho sentita in versione orale direi dai tardi anni cinquanta.

Torniamo a Calandra: qui il testo originale, in una delle edizioni successive alla prima (Reader’s Digest, 1958). Riedizione dopo riedizione, la storia sul come pensare si trasforma in leggenda metropolitana nel momento in cui lo studente viene identificato con Niels Bohr, premio Nobel per la fisica per la Teoria dei quanti. Con questa attribuzione si diffonde in rete, trasformandosi in un internet meme e conquistandosi, in quanto tale, una pagina su Wikipedia intitolata The Barometer question.
Basta fare due conti per accorgersi che l’attribuzione a Bohr è impossibile: lui frequenta l’università di Copenhagen a partire dal 1903, quando Calandra (che, del resto, nel testo originale si guarda bene dal citarlo) non è ancora nato. In rete la storia viene riproposta ai navigatori italiani nel 2005, (Bohr ne è già protagonista). Se volete aver conto di ulteriori variazioni, date un’occhiata a questa pagina.

Come pensare

Il senso della storia. Dicevano che la storia del barometro riguarda il come pensare: ma non solo. Racconta con efficacia che cos’è la fissità funzionale: l’attitudine ad affrontare problemi in maniera stereotipata e consuetudinaria. E segnala che questa attitudine pervade l’insegnamento universitario, il quale dovrebbe invece insegnare come pensare in modo libero, innovativo e creativo. Non a caso Alexander Calandra è stato anche consulente per l’istruzione nel campo delle scienze e ha lavorato con l’Educational Testing Service, l’istituzione americana che certifica la validità delle prove d’esame: un ottimo posto per farsi venire dubbi sui modi in cui le competenze vengono trasmesse e certificate. Calandra è morto a 95 anni, nel 2006. È stato un bravo docente e ha fatto molte cose importanti nella vita, ma oggi viene ricordato per aver scritto questa singola storia.

Il senso della storia della storia. L’attribuzione a Bohr aggiunge un po’ di pepe all’intera vicenda, visto che sappiamo tutti che cosa combina lui da grande. È un falso che “fa sembrare la storia più vera” e rinforza lo spirito di rivalsa nei confronti dell’istituzione scolastica che schiaccia gli studenti migliori. E dai, a tutti piace identificarsi con Bohr e con il suo pensiero geniale e indipendente, no?
Così, questa storia fa il paio con un altro aneddoto gustoso di insurrezione scolastica: quello riguardante Gauss bambino che, punito dal maestro con il noiosissimo compito di sommare tutti i numeri da zero a cento, se la cava in un battibaleno grazie a un’intuizione brillante.
E poi, non dimentichiamolo, nell’acceso confronto con l’amico Albert Einstein a proposito di Teoria della Relatività e Meccanica quantistica, è Bohr (carteggio del 1926) a fare la battuta migliore: Dio non gioca a dadi con l’universo, scrive Einstein. E Bohr risponde: dai, Albert, smettila di dire a Dio come deve giocare.

Le immagini sono dettagli dei lavori di Ceslovas Cesnakevicius. Una versione ridotta di questo articolo è uscita su internazionale.it . Se questa storia vi è piaciuta, potreste leggere anche:
Problem solving e conigli dal cappello

9 risposte

  1. Sono un giovane ingegnere frustrato.
    Questa storia illuminante mi demoralizza ancora di più sulla mia incapacità. Grazie, è un bel punto di ripartenza.

  2. Che storia entusiasmante! Peccato che anche gli studenti (almeno i miei) cercano sempre di dare la “risposta giusta”, quella che la prof. si aspetta.
    Nel mio piccolo (ma proprio tanto piccolo), ho provato a stimolare nei ragazzi il “pensiero divergente” chiedendo loro di riprodurre un disegno abbastanza complicato senza dare loro le istruzioni. Il modo per arrivare al risultato dovevano trovarlo loro…
    Ne ho parlato qui: http://www.didatticarte.it/Blog/?p=5504

  3. Non penso di rischiare triviali accuse di piaggeria (…non si sa mai) se dico che questo è un articolo perfetto, di quelli che si invidiano con la certezza che la parola invidia possa avere un significato positivo. Perfetto l’incastro fra la storia e la storia della storia, con la filologica lezione di metodo che implica, e fra il senso dell’una e quello dell’altra. Articolo perfetto, da leggere e rileggere, magari riproponendosi di scrivere la storia della storia degli angels dancing on a pin, dalla certamente “quasi apocrifa” quaestio medievale al suo successo specie in lingua inglese, mentre in Italia si preferisce alludere a non meno ipotetiche discussioni sul sesso degli angeli. Pensando a Bohr, e ad altri interessanti “percorsi” fra angeli e demoni, rimando alla storia ricostruita da Gino Segré, degno “nipote d’arte”, in Faust in Copenhagen. A Struggle for the Soul of Physics (Il Saggiatore ha pubblicato il volume in traduzione italiana)
    http://www.nytimes.com/2007/06/24/books/review/Johnson-t.html?_r=0

  4. Perché dare quella risposta che si aspetta il professore? Perché è così che si prende trenta e ci si laurea in fretta!
    Perché c’é ancora qualcuno che crede che la conoscenza(innovazione, ricerca, invenzioni, o, addirittura la creatività!) abitino a scuola(università, ecc.) o in qualsiasi altra istituzione pubblica o privata? Provate a fare un paio di prove Invalsi a caso e poi ne riparliamo…
    Personamente posso assicurare che qualsiasi risposta alternativa o creativa(mia o di altri) in ambito scolastico e/o lavorativo è stata sempre penalizzata e vista con sospetto!

  5. Come tutto quello che insegna, fantastico.
    Io ricordo che i suoi esami, soprattutto in tecniche della comunicazione creativa non erano mai semplici esposizioni teoriche, più spesso erano esercizi pratici in cui si chiedeva di esporre un concetto con diverse metafore, oppure di osservare contesto e testo e darne interpretazione.
    Con affetto, un suo ex studente.

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