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Il papa, l’importanza del contesto e il riflesso pavloviano

Sulla prima pagina del Corriere della Sera di domenica 23 giugno Ernesto Galli della Loggia se la prende, per interposto papa, con le inossidabili tifoserie italiane (qui l’articolo).
Ecco, in sintesi, la tesi sostenuta.

  • Nel corso di un incontro riservato papa Francesco ha parlato dell’esistenza di una “lobby gay” in Vaticano.
  • Se la medesima espressione fosse stata usata da Ratzinger, da Berlusconi o da Binetti, la parte politica che si identifica con la causa dei diritti civili degli omosessuali  avrebbe sollevato un’accusa di linguaggio omofobo.
  • Il fatto che invece al papa si permetta, in quanto “buono”, di adoperare l’espressione “lobby gay” per colpire un gruppo di potenti prelati “cattivi”  è un indizio del solito vizio nostrano dei due pesi e due misure… non importa che cosa si dice o si fa, importa chi lo dice o lo fa.
  • Peraltro, è lo stesso vizio a far passare sotto silenzio omertoso alcune lettere filosovietiche e antiisraeliane vergate da Italo Calvino che, recentemente pubblicate in inglese, negli Stati Uniti suscitano sbigottimento, come rileva il quotidiano Il Foglio.
  • Tutto ciò indica che da noi dominano, ancora e sempre, le tifoserie pavloviane. Addestrate solo ad addentare ferocemente o a guaire dal piacere a seconda del colore di ciò che vedono o ascoltano.

Urca. Con tutto il rispetto per Galli della Loggia e il suo impressionante curriculum, a me, che sono un po’ naif, questo qui sembra proprio un ragionamento bizzarro. E mi sembra bizzarro per alcuni motivi che vi dico così, alla rinfusa, e cominciando dal fondo.
Ho il sospetto che in questo momento gli Stati Uniti siano più sbigottiti da qualcos’altro (per esempio, il Datagate originato dalla talpa della CIA Edward Snowden), ma forse non sono abbastanza informata.
Ho la sensazione che nemmeno nelle recensioni all’epistolario di Calvino che mi vado a cercare (qui il New Yorker. Qui Brainpickings. Qui Publishers Weekly. Qui il Wall Street Journal) sia rintracciabile tutto questo sbigottimento. Ma forse ho trovato solo le recensioni sbagliate.
Ho una vaga idea che Il Foglio (qui l’articolo citato da Galli della Loggia) non sia esattamente la prima testata che viene in mente dovendo citare un esempio di algida, equilibrata distanza da ogni tifoseria. Ma forse mi inganno.
E, se si parla di tifoserie, a me per esempio torna alla memoria, più che l’assenza di reazioni sull’epistolario calviniano, la squisita tifoseria parlamentare che come un sol uomo in tempi non troppo lontani ha stabilito che una certa fanciulla fosse plausibilmente nipote di Mubarak. Ma forse sono maliziosa.
Infine, che al papa si permetta di fare un’affermazione che potrebbe non essere politically correct “in quanto buono” schierato contro “i prelati cattivi”  a me sembra un po’ una lettura da film western. Ma ho studiato filosofia solo al liceo, in tempi remoti, e forse mi sfugge qualcosa.

L’unico dato di cui sono, invece, decentemente certa, è questo: il “chi dice” importa tantissimo.
Sia la reputazione (e perfino lo stile) di chi parla, sia la natura del contesto in cui viene prodotto un messaggio orientano sempre l’interpretazione da parte dei destinatari, e il senso complessivo che questi ne ricavano.
È il motivo per cui se Belusconi  dice “lobby gay” mentre sta raccontando una barzelletta a una festa, se Binetti dice “lobby gay” subito dopo aver affermato che i matrimoni omosessuali “sono una cosa deviata”, e se Francesco dice “lobby gay”, parlando a braccio e nel corso di una conversazione privata dei centri di potere vaticani, be’, la definizione è la stessa ma quel che significa è un zinzino diverso.

E per non accorgersene, forse, bisogna essere non solo un po’ tifosi, ma proprio un po’ pavloviani. Nel senso di pretendere che allo stimolo del campanello “lobby gay” corrisponda sempre, e a prescindere da tutto il resto, il medesimo riflesso condizionato.

(Questo post è uscito anche su Internazionale.it)

10 risposte

  1. Caspita che piacere leggere chi sa scrivere e, soprattutto, pensare! E che compiacimento aver prova provata che anche la saggezza sa, e può, essere accuminata.Allora forse non tutto è perduto, in questo Paese…

  2. Bello, bravissima! Per il fatto di avere studiato filosofia solo al Liceo, direi: peccato, perchè avrebbe dovuto andare avanti!
    Ha centrato in pieno il paralogismo del gallo della lobby: l’interpretazione è sovente determinata da chi profferisce il messaggio, ciò cui ci si riferisce con una parola o frase può sovente cambiare di intensione ed estensione completamente, a seconda di chi la pronuncia, oltre al contesto in cui lo fa. Inoltre, ha portato pure degli esempi calzanti (ed arguti). E’ un piacere vedere un ragionamento pulito (e non banale) esposto in maniera chiara e distinta. Mi unisco a Oscar Mazzola: finchè vi sono italiane che pensano e scrivono così, vale la pena di combattere per il nostro caro ( e un po’ malandrino) paese.

  3. Come non essere d’accordo Annamaria! Non solo, ma faccio il tifo per questa nota e dico anche il perché.

    – Papa Francesco dall’inizio del suo pontificato ha dichiarato con i fatti (l’anello piscatorio in argento, la croce in metallo povero, via le scarpette rosse di Prada, la papalina con pelliccia di ermellino, via il trono simboli di potere) e con rigore gesuita e l’intento di moralizzazione della chiesa.

    – Certo che conta il CHI, il COME e il CONTESTO.
    Un giornalista dovrebbe saperlo bene, altrimenti che giornalista è?

    – Proprio l’altra sera con amici, si parlava delle vicende giudiziarie del signor B. e della gravità del voto alla camera sul conflitto di attribuzione.

    http://www.youtube.com/watch?v=dyPrlA9M28o

    Ricordate? (*_))

  4. Ciao,
    non capisco se il problema è mio, ma cliccando sull’ articolo di Galli della Loggia non si apre la pagina. Tanti auguri Annamaria!

    1. Ciao gvna. Grazie per avermi avvertita del link: la pagina era saltata. Ora dovrebbe essere a posto. E grazie anche per gli auguri.

  5. be, quella che in Interculturalità chiamiamo high context culture opposta alla low context. Nelle high context il contesto conta quanto se non più del messaggio: chi dice a chi quando, in che sede eccetera ci dicono molto più di cosa si dice. Nelle culture scandinave e germaniche invece sono molto biblici: la vostra parola sia si si, no no. cioè, quello che dici alla lettera conta più di tutto. E hai voglia a interpretare.

  6. Sono completamente d’accordo con te, questa moda italiana di esporre “verità” con editoriali di sedicenti liberi pensatori ha veramente superato ogni limite. Brava per l’acuta e, come sempre, sottile puntualizzazione.

  7. Ma la strumentalizzazione non è uno dei più diffusi tra i tanti strumenti della comunicazione?
    Ed evitare di prestare il fianco non è, quindi, uno dei più importanti criteri di definizione dei messaggi?

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