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Curiosità e pensiero critico: due strumenti necessari in rete

Il primo tra i dieci imprescindibili diritti del lettore, secondo Daniel Pennac, è il diritto di non leggere. Non fa una piega.
Ma se passiamo dalla narrativa all’informazione, e fatto salvo il diritto, c’è però un paio di domande che riguardano l’opportunità di non leggere mai quanto ci mette a disagio perché ci sembra incomprensibile o disturbante, disgustoso o spaventoso, o semplicemente noioso, falso, irrilevante o stupido.

CHE COSA LEGGERE IN RETE? In altre parole: l’inalienabile libertà di leggere quel che ci piace significa che dobbiamo escludere dal nostro orizzonte cognitivo tutto quello che non ci piace? Quanto siamo capaci di ammettere la semplice esistenza di opinioni e posizioni che non ci appartengono? Possiamo contrastare un’opinione che non ci piace semplicemente ignorandola?
In altre parole ancora: ha senso esporci solo a quello che ci diverte e ci intrattiene, o che ci rassicura e che rafforza le nostre convinzioni?

VIVERE NELL’ERA DELLA POST VERITÀ. Il quesito è meno peregrino di quello che sembra e mi sta frullando in mente da un po’: per dirla tutta, da un annetto. Ed è connesso da una parte con l’enorme visibilità offerta dalla stampa occidentale al fenomeno di violenza e terrorismo. Dall’altra con il più recente dibattito sul giornalismo costruttivo. Dall’altra, ancora, con il fatto che, come scrive il Corriere della Sera, stiamo vivendo nell’era della post verità: da anni, scrive il Corriere, gli studiosi di comunicazione avvertono che la crisi dei media tradizionali e il crescente uso a fini informativi di social media come quelli di Facebook e Google che fanno arrivare all’utente informazioni e opinioni di taglio gradito, contribuiscono a creare nella mente di molti realtà unilaterali distorte che non tengono conto delle varie facce di un problema. Così come è da almeno un anno che si discute di politica della «post verità» nella quale la suggestione degli slogan, anche quando contengono promesse palesemente irrealizzabili, fa premio rispetto a un ragionamento razionale legato a processi più faticosi e complessi come la verifica dei fatti.

curiosità e pensiero critico 2

LA FALLACIA DELLA CONFERMA. Viviamo in tempi complessi e violenti, e la risposta non è certo facile.
Da una parte c’è il rischio di cadere nella fallacia (bias) della conferma: la propensione a interessarci solo di ciò che conosciamo già e cercare e a considerare solo notizie, opinioni o fatti che rafforzano le nostre opinioni. Tanto vale passare il tempo a rimirare il proprio ombelico. Dall’altra c’è il rischio di perdere tempo con le sciocchezze, o di farsi il sangue cattivo. Dall’altra ancora, c’è il rischio di sostenere fenomeni deleteri anche solo attraverso il semplice prestare attenzione e condividere.
Le fallacie non sono altro che modi per ingannarsi da soli. Delle più diffuse abbiamo già parlato su NeU: elenco e spiegazioni si trovano qui. Ma torniamo alla fallacia della conferma: poiché in rete si trova tutto e il contrario di tutto, diventa sommamente facile trovare conferme anche alle opinioni stravaganti, infondate o pericolose.

SAPER DISTINGUERE. Per oltre la metà degli italiani l’informazione attendibile si trova in rete. Ma in rete si trovano (e si diffondono) anche le informazioni più false e le bufale più spaventose. E proprio perché in rete si trova tutto e il contrario di tutto, oggi più che mai appare indispensabile operare una severa selezione delle fonti, dando credito solo alle più affidabili, documentate ed equilibrate. Insomma: bisogna imparare a distinguere.

CURIOSITÀ E PENSIERO CRITICO. Per riuscire a distinguere, sarebbe opportuno coltivare contemporaneamente (sì, è piuttosto faticoso, ma ne vale la pena) due attitudini in apparenza opposte, ma in realtà complementari: curiosità e pensiero critico. La curiosità di ciò che non conosciamo, ce lo ricorda Carlo Rovelli con uno stupendo articolo, è il vero motore della creatività e dell’innovazione. Il pensiero critico è quello che ci aiuta a non farci buggerare. Insieme, curiosità e pensiero critico possono aiutare a orientarci nella ricerca di qualche verità luminosa, nel flusso torbido delle post verità.

Le immagini che illustrano questo articolo sono di Dean West.

10 risposte

  1. Non mi torna, forse semplifico troppo, ma ai tempi della carta stampata, la verità non era quella del proprio giornale? E chi esercitava spirito critico non ne comprava svariati per poter sentire le varie campane?
    Dall’articolo del Corriere
    “Da anni gli studiosi di comunicazione avvertono che la crisi dei media tradizionali e il crescente uso a fini informativi di social media come quelli di Facebook e Google che fanno arrivare all’utente informazioni e opinioni di taglio gradito, contribuiscono a creare nella mente di molti realtà unilaterali distorte che non tengono conto delle varie facce di un problema.” A me sembra solo una conseguenza, non la causa. La causa, secondo me, è “la crisi di fiducia nelle istituzioni”, quelli che una volta erano il proprio partito, il proprio giornale, i propri punti di riferimento.
    Non si sa piu’ a chi credere, non sembra esserci niente in cui valga la pena credere, pertanto crediamo a noi stessi, alla nostra pancia, al nostro piccolo branco, e i social media non fanno che rafforzarci in questa prospettiva come, ai tempi dei partiti, i leader rafforzavano il senso di appartenenza ad un’ideologia.
    In quante bugie comuniste o democristiane hanno creduto le generazioni precedenti? In quanti sogni di uguaglianza o di conquista irrealizzabili?
    E adesso estremizzo e provoco: non e’ semplicemente che quelli che contavano quando Internet non esisteva, le scaricano addosso la colpa del fatto che stanno perdendo potere e, magari, pure il lavoro? E cosi’ come gli operai e gli impiegati, stanno per essere buttati fuori dal mercato a causa dall’automazione introdotta, nel loro caso, dai social network?

    1. Ciao Nontelodico.
      Il tuo punto è interessante, ma ci sono un paio di differenze tra “prima” e “dopo” che val la pena di ricordare. Comprando un giornale di carta, uno “compra” anche il taglio, più o meno partigiano, che quel giornale dà notizie. Lo “compra” consapevolmente.
      In rete è tutto molto più sfumato, perché sia Google sia i social media pre-selezionano per te i contenuti che vedrai. Questa azione è automatica. Vuol dire che da una parte tu nei sei meno consapevole, e dall’altra molto più difficilmente puoi accedere a contenuti che, secondo Google o i social media, non ti sono graditi.
      E poi.
      E poi in rete c’è il problema dell’impaginazione, che non è irrilevante. Ne ho parlato qui: https://nuovoeutile.it/impaginare-le-notizie/

      Tutto questo non significa che non dobbiamo cercare notizie in rete. O che in passato non siano esistite propaganda e disinfoirmazione. Significa che, come sempre e più di prima, dobbiamo chiederci che razza di verità ci trasmette quello che leggiamo. 🙂

  2. Come sempre si tratta di perle di saggezza che attivano il pensiero e il senso critico, riflessioni non così scontate dai tempi del rischiatutto. Ma l’utilizzo del verbo buggerare, mi riconcilia anche con il vocabolario e le migliaia di parole che vi giacciono inutilizzate e impolverate.

  3. Leggo la tua nota e i link, Annamaria, soprattutto l’articolo di Carlo Rovelli, commovente.

    La rete è un giacimento da esplorare. Come? Curiosando  è la tua risposta e, aggiungi,  con pensiero critico.

    Personalmente leggo di tutto e credo sia il CASO a prendermi per mano. Certo è un caso che esclude gli imbecilli di cui parlava Umberto Eco, ma sempre caso è.

    L’altro giorno mi imbatto in una nota di Luisa Carrada sui Listicle che non avrei mai incontrato intenzionalmente. Mi incuriosisco e approfondisco.

    Il pensiero critico è l’altra risorsa e credo che la scuola debba avere questo compito, pena la deriva dell’imbecillità *_*

  4. Sottoscrivo ogni singola parola del tuo articolo, perlomeno concettualmente. Ma c’è qualcosa che non mi torna.
    La curiosità e il pensiero critico sono doti che si possono in qualche modo apprendere, o appartengono alla sfera della personalità e del carattere?
    In altre parole, diventa sempre più curioso solo chi è già curioso di natura? Essere consapevoli di dover esercitare il pensiero critico, non significa forse che lo si stia già esercitando?
    Spesso mi chiedo se il problema dell’informazione non sia lo scambiare la causa con i sintomi.

    1. Ciao Giacomo.
      Credo che sia in parte questione di carattere e personalità, in parte questione di ambiente e di educazione. Per esempio: curiosità e pensiero critico dovrebbero (ehm, ehm) svilupparsi anche a scuola. Anzi, forse soprattutto lì.

  5. Aggiungerei una premessa al suo discorso. Come si fa ad incentivare un’informazione più variegata ed opinioni più fluide e duttili nella gente se già la scuola impone parametri rigidi che penalizzano gli studenti dotati di spirito critico? Ai miei tempi (sono piuttosto datata ma non è cambiato molto negli ultimi decenni) i miei compiti in classe d’italiano erano ritenuti geniali ma valutati come tali solo se i contenuti esprimevano un’entusiastica conferma dell’argomento proposto dalla traccia. Capitava che non fossi d’accordo e, pur motivando il dissenso rispettando criteri logici, stilisticamente e grammaticalmente corretti, il voto era basso. Se insistevo nel tentativo di proporre soluzioni non allineate a determinate logiche, mi bollavano con l’accusa di essere ribelle e disfattista. La capacità critica è un’importante premessa per sentirsi liberi e per un’ effettiva partecipazione civile alla cultura di un Paese, ma, a quanto pare, siamo ancora lontani dal traguardo.

  6. Penso che chi ha spirito critico possa riuscire a mantenerlo anche attraverso le informazioni che raccoglie dal web. Soprattutto se formato a chiedersi qual è la fonte a cui attinge e chi è la persona che parla. Il problema invece si amplifica per tutti quelli che senso critico non L hanno mai imparato nè sviluppato . Quindi credo che il danno stia nelle premesse: chi legge la marea di roba di cui ci inonda il web? Ma anche chi la commenta e la divulga come verbo . Penso anche che il problema delle vale news di nuovo riproponga quello che anche tu hai evidenziato nei commenti: L emergenza educativa. Formare persone capaci di porsi domande fondamentali per capire ( poi errare sara sempre umano ). Grazie per gli spunti e L opportunità di dibattito

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