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#dilloinitaliano: quello che è successo

A una settimana dal lancio sulle pagine di Internazionale e di Nuovoeutile la petizione #dilloinitaliano ha raccolto più di 55.000 adesioni. Prima di tutto, grazie a chi ha firmato e condiviso.
Hanno firmato persone di tutti i tipi: traduttori e poliglotti, molti insegnanti d’inglese e d’italiano, italiani all’estero e stranieri residenti in Italia. E molte persone semplici. Hanno firmato studenti e anziani, compreso uno straordinario signore di 85 anni.

E poi: avvocati e giornalisti, medici, economisti, persone che lavorano nelle multinazionali o nella pubblica amministrazione.
Hanno firmato cittadini che pretendono di capire bene quel che si dice nei tg o nei discorsi dei politici. Hanno firmato tantissimi che dicono “amo la mia lingua”.
Hanno firmato da Tenerife e da Lima, da San Francisco, da Gerusalemme, da Cipro e da Stoccolma, dall’Australia, dal Canada. E da tutta Italia, dall’Alto Adige alla Sicilia.

Tra stampa e rete, la notizia è uscita su tantissime testate. Massimo Gramellini su La Stampa e Michele Serra su La Repubblica hanno pubblicato un’inedita forma di articolo speculare, sostenendo la petizione (grazie!). E la notizia è uscita su tantissime testate, da La Nazione, Il Resto del Carlino e Il Giorno a Famiglia Cristiana e a Wired. Da Vanity Fair e Huffington Post al sito dell’Indire, l’Istututo Nazionale per la scuola e la didattica, e su molte altre. Ma la cosa più confortante è che tutti dicono, nei modi più vari, bene, benissimo! Era ora.

Certo, c’è stata anche qualche voce contro, in rete, che se l’è presa non tanto con la petizione quanto con la sottoscritta, accusata da una parte di essere asservita alle multinazionali perché non invoca sanzioni militari contro qualsiasi parola straniera, dall’altra di essere una vecchia befana passatista, stolta e ostile alla modernità. C’è anche chi ha individuato una contraddizione nel fatto che la piattaforma internazionale su cui ho pubblicato la petizione si chiami Change.org e non Cambia.it. Peccato che un “Cambia.it”, in Italia, non ci sia.

Sono andata al convegno dell’Accademia della Crusca che si è tenuto a Firenze lunedì 23 e martedì 24 febbraio per presentare formalmente la petizione che è stata, da diversi relatori, definita “il fatto nuovo” nel panorama delle vicende linguistiche nazionali.
Nonostante quel che molti pensano, i linguisti della Crusca studiano l’evolversi della lingua, ma non sono per niente propensi a intervenire sul linguaggio in maniera normativa e dirigistica (leggete quel che dice Luca Serianni). Del resto, quando qualcuno ci ha provato, sia nel secolo scorso sia in tempi ancora precedenti, i risultati sono stati scarsi e mediamente effimeri.

Claudio Marazzini, il presidente della Crusca elenca alcuni motivi: in Italia abbiamo poco senso di identità collettiva, e poca conoscenza della storia e della lingua. E poi (a dirlo è Michele Cortelazzo) spesso accettiamo parole straniere per inerzia, e anche chi è contrario non fa la fatica di produrre proposte efficaci. Però, da noi, la situazione sta diventando preoccupante: per esempio, secondo Claudio Giovanardi la lingua italiana potrebbe ritrovarsi mutilata di tutti i nuovi termini della scienza, e quindi, nel giro di pochi anni, potrebbe diventare inadatta a trasmettere sapere scientifico.
Un esempio al contrario, e confortante, è quello dei neuroni–specchio che mi fa Maria Luisa Villa, docente di patologia generale e accademica della Crusca: la scoperta è italiana, e quindi è il nome italiano, che poi viene ricalcato in altre lingue, ad andare in giro per il mondo.

Nella Svizzera italiana, che deve fare i conti col trilinguismo nazionale, alla questione della lingua stanno più attenti, soprattutto per tutelare la chiarezza delle leggi. Anche i francesi ci stanno attenti: se pensiamo che il francese è lingua ufficiale (e quindi legislativa) in 38 paesi, forse capiamo che non è solo una faccenda di sciovinismo, e che avere qualche certezza su che cosa dire come può essere importante.

Lo stesso problema ce l’hanno gli spagnoli, complicato dalla faccenda del catalano e del castigliano. A proposito: sapevate che l’italiano è lingua ufficiale di sei paesi? Oltre all’Italia ci sono il Vaticano (non sottovalutatelo: la Chiesa parla in italiano nel mondo), San Marino, la Svizzera italiana, la Slovenia e la Croazia.

Torniamo a dilloinitaliano. La Crusca non si è limitata a esprimere apprezzamento e soddisfazione. Ha preso tre posizioni importanti.

1) Attiverà a breve termine – solo il tempo necessario per organizzare tutto quanto – un esperimento innovativo di analisi e discussione condivisa in rete delle parole inglesi usate nell’italiano corrente. Lo farà a partire dalla lista di 300 parole pubblicata da NeU un anno fa, che è stata giudicata ” una base  interessante”. Vuole farvi domande e chiedere risposte a tutti voi e, a partire da queste, proporre, se serve e se siete voi a chiederlo, alternative accettabili.

2) Prima dell’estate la Crusca, con le istituzioni della Svizzera Italiana che si occupano della nostra lingua, intende organizzare un incontro con i mezzi d’informazione nazionali (Tv, radio, stampa) per promuovere le istanze proposte da #dilloinitaliano e trovare, insieme, soluzioni efficaci, sensate, accettabili e realistiche. Questo è solo il primo passo di un lavoro di sensibilizzazione a un uso consapevole della lingua, da svolgere presso chi ha ruoli pubblici e la responsabilità di farsi capire.

3) La Crusca sta anche attivando un gruppo di monitoraggio di quelli che i linguisti chiamano “anglicismi incipienti”: sono le parole inglesi nuove di zecca continuamente introdotte da politici, tecnici e amministratori. Anche per queste si possono immaginare e proporre alternative condivise.

Sto finendo di scrivere questo resoconto alle due e tre quarti di notte, e sul computer ci sono 454 messaggi che non aprirò (o, almeno: non nelle prossime ore). Ma mi sembra che ne sia valsa la pena. Sarebbe splendido se, all’appuntamento coi mezzi d’informazione, si arrivasse con un numero di firme davvero importante. Quindi, se siete d’accordo con #dilloinitaliano, potreste dare una mano e far girare la petizione.

Un’ultima cosa da ricordare: stiamo parlando di sensibilizzazione e di consapevolezza, non di imposizioni, prescrizioni e divieti. Stiamo parlando di cambiamenti e di innovazione, cioè della capacità di interpretare il presente trovando (anche) nuovi modi per dire ciò che è nuovo, e non di conservazione. La lingua è un bene comune e appartiene a tutti noi. Chi vuole, può scegliere di averne cura.



37 risposte

  1. Ho firmato subito la petizione, e con convinzione. Propongo tuttavia di porre l’attenzione sull’uso sempre più dilagante del’odioso “piuttosto che” disgiuntivo, più tossico dei prestiti lessicali perché “suona” italiano e, dunque, si insinua nella struttura della lingua in maniera subdola. Nato come snobismo e come tale usato anche da illustri giornalisti!

  2. E’ bello finalmente leggere che gli italofoni e le italofone della Svizzera sono ricordati come parte integrante che parla l’italiano. La difesa della lingua italiana è molto sentita in Svizzera.

    Spero che la collaborazione fra i Cantoni Grigioni e Ticino con l’Italia per la promozione e la diffusione della nostra lingua possa divenire più stretta.

    1. Impianto Emettore, Tesoro Notturno, Picchetto di Emergenza, Cippi Mobili… sono alcune comuni espressioni ticinesi nelle quali ci si può facilmente imbattere girando per Lugano, Locarno o Bellinzona. Cosa indicano?
      Il Ticinese e l’Istriano sono per l’Italiano come i bulbi dei fiori: dobbiamo conservarli con cura per quando l’Italiano sarà morto avvelenato.

      1. L’italiano in Svizzera è parlato anche nei Grigioni, non solo in Ticino. 😉 Inoltre, la comunità italofono si estende per tutto il suo nazionale.

  3. Agli svizzeri non potrò mai perdonare l’aver spento il loro trasmettitore di Monte Ceneri che per decenni ha diffuso i programmi in lingua italiana della Radio Svizzera Italiana sui 558 kHz delle Onde Medie.
    Oggi rimane purtroppo poco di un’epoca gloriosa nella quale la lingua italiana era diffusa in tutto il mondo dalle grandi emittenti radiofoniche internazionali sulle Onde Medie e Corte: Radio Svizzera Italiana, Radio Mosca, Radio Capodistria, Radio Romania Internazionale, Radio Tirana e persino Radio Cairo. Qualche lustro fa, la sera si viaggiava sulle onde della Radio e si incontravano un sacco di Radio italiane in tutta Europa e Nord Africa.
    Oggi, solo Radio Capodistria parla tutto il giorno in Italiano sulle Onde Medie a 1170kHz, Radio Romania Internazionale, Radio Cina Internazionale producono un programma quotidiano di un’ora e poco altro è rimasto. Un vero peccato, ma il fatto che nel mondo ci siano ancora delle emittenti internazionali che dedicano qualche ora alla lingua italiana dovrebbe far riflettere quelli di noi che la trattano tanto male.

    1. Se non ricordo male, la scelta di fermare le trasmissioni della RSI in Italia non è stata decisa dalla Svizzera. Il bacino italiano era una fetta importante di pubblico per la televisione svizzera.

      In ogni caso, in Svizzera la RSI, sia per quanto riguarda i programmi televisivi sia radiofonici, continua a trasmettere. Inoltre, c’è anche il canale TeleTicino e alcune radio come FiumeTicino.

      1. La RSI trasmetteva in Italia “de facto”, nel senso che le onde radio non conoscono le frontiere e la grande antenna di Monte Ceneri faceva sentire la sua voce in gran parte dell’Europa, oltre che in Italia. Per la TV valeva piu’ o meno la stessa cosa, ma limitatamente al nord Lombardia e poco oltre. La digitalizzazione di Radio e TV ha reso la diffusione strettamente interna al territorio elvetico, facendo perdere a RSI quel carattere internazionale che aveva… e che non era per niente secondario.
        Il concetto di emittenza internazionale, oggi, e’ veicolato quasi esclusivamente su internet, per cui basta un governo che decida di spegnere o bloccare qualche server e ti saluto liberta’ di ascolto e di parola. Inoltre, ogni utente collegato e’ identificato e tracciato. Pensa a quei poveri cristiani in medio oriente, se volessero ascoltare la Radio Vaticana in streaming… il giorno dopo “toc, toc… siamo l’ISIS”, con tutte le conseguenze del caso.

  4. La lettura delle motivazioni che hanno indotto a firmare è un elemento ulteriormente incoraggiante. Mi ha un pochino turbato la surreale storia della vecchia befana passatista, ma in fondo anche le vie del non capir nulla sono infinite e, nel loro modo sconcertante e paradossale, creative. Un grazie supplementare per l’efficace sintesi del convegno “cruscone”, che ha recepito in pieno il messaggio di una petizione non fondata sulla pretesa di un pronunciamento ex cathedra ( il latino si può….), ma sull’invocazione di un valore da diffondere e condividere all’insegna del buon senso. Nella lingua non esiste una Verità, e da sempre le lingue si contorcono in abbracci spesso mortali, perché la lingua è storia. Ma la storia è fatta dagli uomini, e non può certo sembrare una velleità l’auspicio di essere protagonisti consapevoli e motivati della storia dell’italiano e, perché no, anche dell’inglese

  5. L’ inglese vero è parlato da solo o per ineludibile tecnicismo. L’ inglese forzato è da azzeccagarbugli con propositi di dominio attraverso l’ oscurità (non quella di Star Wars, quella che non ci capisci niente)

  6. Chi vive in campagna si accorge che l’impoverimento dell’italiano, con espressioni e parole che piombano nel mezzo di frasi mandandole in frantumi, va di pari passo con la perdita di italianità dei prodotti agricoli e con l’imbarbarimento del paesaggio.

  7. Sono poliglotta epperò firmo, giacché la diversità è anche una questione di idiomi. Il nostro è eziandio l’”idioma gentil sonante e puro”…una specie da proteggere, dunque. Per essere se stessi fra gli altri, in fondo.

  8. Ho firmato e cercherò di far firmare ad altre persone questa petizione. Vorrei evidenziare che le mie motivazioni a sostegno di questa iniziativa sono simili ma ne ho alcune che vengono da mie precedenti esperienze. Ho speso gli anni migliori della mia vita inseguendo l’epopea delle macchine calcolatrici personali e dei relativi sistemi operativi. Poi sono stato testimone dell’avvento della rete ipertestuale mondiale. Non ce la faccio più a sopportare di sentir pronunciare l’acronimo del prefisso di ogni indirizzo localizzatore uniforme di risorsa con: “v v v”. Propongo questa alternativa di due sole parole: “tripla whiskey”, presupponendo la pronuncia della lettera w nello alfabeto NATO. Non sarà l’alfabeto italiano ma se io cercassi a tutti i costi di attenermi al nostro alfabeto non vi troverei la lettera che devo pronunciare.
    Questo era solo un esempio ma di termini alternativi ne potei trovare a migliaia. Mi ricordo il film “Firefox” con Clint Eastwood, dove per pilotare il “MIG 31” era costetto a “pensare” in russo. Io sono così estremista nella questione dell’inquinamento da termini tecnici stranieri che vorrei un sistema operativo italiano dove ogni istruzione di programma appartenga alla lingua italiana, compreso il microprocessore.

    1. Ciao Tiziano.
      E grazie!
      Aggiungo che “elettra” non è niente male.
      Anzi: è un nome bellissimo.
      Averla battezzata anni fa, l’Elettra, quando stava nascendo…
      ma mi auguro che ci saranno altre occasioni. E altre parole da inventare.

  9. Ci pensò Marconi, quando battezzò sua figlia e poi il panfilo con il quale solcò i mari per studiare la propagazione delle onde radio.
    L’uso delle espressioni inglesi nel gergo politico e finanziario non è purtroppo innocente, ma malevolo. Serve a non farci capire, a tenere occulta, la natura delle cose che si decidono e si fanno sopra le nostre teste.
    Amo il Ticinese e amo l’Istriano, le uniche due lingue italofone native in territorio estero. Specialmente il primo, ha delle espressioni divertentissime che spesso mi hanno fatto ridere da solo leggendo la segnaletica e le affissioni di Lugano.

  10. Grazie Annamaria!
    Quanto alle “mail” e alle “elettre”: come avrai visto, si trattava di una pagina del 2002. Faceva parte di un intervento a un convegno del 2001: ormai oggi probabilmente è troppo tardi per cambiare “mail”. Ce l’abbiamo fatta con “sito” e “chiocciola”, ce la stiamo facendo con “rete” (che, mi sembra, sta riguadagnando terreno su “internet”), non ce l’abbiamo fatta con “computer”, “link”, “mail”, ecc.

    Oggi penso che una delle vie più efficaci non sia tanto creare nuove parole, quanto aggiungere nuovi significati a quelle già esistenti, un procedimento che gli antichi chiamavano “abusione” o “catacresi”.

    Ad ogni modo, quelle mie citazioni da vecchi interventi servivano soltanto a dare prova che a questo argomento ci tengo davvero, e da parecchio tempo. Ma quei miei discorsi sporadici non hanno attecchito su nessuno. Anzi, ricordo che quella volta, quando uscì il libro che raccoglieva gli atti del convegno del 2001, alcuni critici letterari mi sbeffeggiarono un po’, ritenendo che io volessi frenare la realtà.

    Qualche anno fa, infatti, proporre di rendere un po’ più italiana la lingua italiana poteva sembrare ridicolo, antistorico, politicamente sospetto, reazionario… (ma succede spesso così: c’è bisogno che le cose peggiorino per capire che vanno cambiate).

    A maggior ragione, tantissimi complimenti a te per aver trovato i mezzi e la forma capaci di coinvolgere tante persone, e senza aver suscitato fraintendimenti sulle tue buonissime intenzioni.

    Per quel che vale il mio sostegno, puoi contare su du me!

    1. Ciao Tiziano.
      Grazie! È bello saperlo e spero proprio che ci saranno delle occasioni.
      A questa petizione, che la Crusca ha preso in seria considerazione e alla quale darà una risposta ufficiale, potranno faranno seguito, se tutto va bene, alcune iniziative concrete.

      Un primo risultato, però, è già stato raggiunto: catalizzare, e far emergere in maniera civile da una parte l’insofferenza e la frustrazione di molti, dall’altra la grande attenzione di moltissimi alle questioni della lingua. A volte può bastare illuminare un comportamento migliorabile per innescare un effettivo miglioramento. Appunto: una questione di consapevolezza.

      Credo di aver semplicemente intercettato il momento giusto per offrire ai molti e ai moltissimi di cui sopra un’opportunità per esprimersi e compiere un’azione piccola sì, ma rilevante come “metterci la firma”. Ah, l’altra cosa: mi sono presa, come singola persona, in modo del tutto volontario e gratuito, il rischio e l’onere di un discreto sbattimento.

      Vediamo che succede nei prossimi giorni.
      Io sono più che ansiosa di, diciamo così, passare la palla. E tornare a leggere, scrivere, passeggiare, cucinare, dormire, andare al cinema, incontrare gli amici e lavorare normalmente.

  11. Bello E-lett(E)ra…

    Mail potrebbe diventare Meil, stesso suono ma significato italiano: MEssaggio Elettronico In Linea/Lettera.

    Ma Mail potrebbe essere anche PET: Posta EleTtronica Tradizionale, diversa dalla PEC …

    Ovviamente stiamo giocando.

    Chi invece NON dovrà prenderla come un gioco ma dovrà innovare, sensibilizzando e rendendo consapevoli gli “italiani del futuro” su questi temi, sarà la nostra cara scuola … sempre che ne abbia le forze e le risorse necessarie …

  12. Ciao,

    l’iniziativa mi è piaciuta perché piena di buon senso, lontanissima dallo spirito saputello delle maestrine che si inalberano ad ogni “un pò”

    Per amore della nostra lingua, pero propongo un’altra iniziativa: essere gentili con gli stranieri che la stanno imparando.

    Arrivare ad esprimersi, anche in un italiano imperfetto, è il risultato di molte ore di studio e dedizione di cui dovremmo essere riconoscenti. Correggiamo pure, ma con un sorriso e con pazienza e, mai, vi prego mai, passare all’inglese per rendere più rapida la comunicazione.

    Delle involontarie, spero, e dolorose ferite che infliggiamo agli stranieri che amano la nostra lingua Jhumpa Lahiri ha fatto una descrizione commovente nel suo ultimo libro “In altre parole”, la storia d’amore di una scrittrice con la lingua italiana.

    1. Ciao Carmen.
      Sì, hai perfettamente ragione.
      Aggiungo che, tra le moltissime motivazioni spedite dai firmatari, ce ne sono tante di cittadini stranieri, provenienti dalle nazioni più diverse, che dichiarano, in modi quasi commoventi, il loro amore per la nostra lingua.

  13. Era ora che qualcuno sentisse il bisogno di affrontare il “problema”.
    Personalmente sono indignato quando un presunto intellettuale sottolinea il significato di un concetto, enunciando l’Inglesismo, “così come dicono gli Americani”!
    Come se dirlo in Inglese fosse più vero.
    Sarebbe ora di “dare un taglio” (fatemelo dire con un eufemismo) a questo snobbismo da quattro soldi.
    Cordialmente

  14. Tra le sue tante applicazioni il computer è anche uno dei più importanti strumenti di scrittura. Nel sistema operativo Windows, tuttavia, la tastiera italiana non è proprio «amica» dell’italiano. Per l’immissione delle vocali accentate maiuscole, ad esempio, è necessario ricorrere a veri e propri trucchi oppure affidarsi alle funzioni di correzione automatica del testo integrate in alcuni programmi di videoscrittura.
    Con l’intento di risolvere questa lacuna ho sviluppato un piccolo programma installabile nei sistemi Windows che modifica leggermente la disposizione dei caratteri sulla tastiera in modo che sia possibile scrivere correttamente, e facilmente, in italiano. Inoltre il programma permette a quegli stranieri la cui lingua madre è basata sull’alfabeto latino di scrivere correttamente nella loro lingua e usare tutti i segni diacritici di cui hanno bisogno.
    Chi volesse saperne di più o installare il programma può farlo visitando il sito http://www.tastiera-estesa.it/

  15. Veramente, la Svizzera di lingue ne ha quattro: c’e’ anche il Romancio.
    Al di la’ di questo, la lettera della Crusca non mi piace proprio tantissimo. Che vuol dire “in tantissimi casi ci sono parole italiane che possono essere usate”… ??? Ci sono *alcuni* casi nei quali ci tocca usare parole straniere, avrebbe dovuto dire.
    A leggere le parole del Presidente della Crusca pare quasi di dover chiedere scusa se si usa l’Italiano.

  16. Ciao Roberto.
    A nessuno “tocca” usare parole straniere. E nessuno deve chiedere scusa se non vuol farlo.

    C’è sempre un altro modo per dire le cose. Ma qualche volta l’altro modo chiede una lunga perifrasi, perché la parola straniera è entrata nel linguaggio comune da tempo, e nel tempo non sono stati trovati sostituti validi e sintetici: prova, per esempio, a spiegare che a casa tua vorresti mettere la moquette, senza dire la parola “moquette” (ti aiuto: puoi dire “rivestimento tessile per pavimenti”. Ma poi non stupirti se ti guardano strano).

    I linguisti “studiano”, “spiegano” e, magari “propongono” le scelte linguistiche. Ma non possono imporle: la lingua la costruiamo ogni giorno tutti noi, quando parliamo o scriviamo.

    Un po’ più di attenzione ci può aiutare a mettere insieme una costruzione più consapevole. Ma, ripeto, le scelte linguistiche non possono essere imposte. Qualcuno ci ha provato in passato e non è stata una buona idea. Anche – ma non solo – perché non ha funzionato.

  17. Ciao Annamaria,
    intendevo dire che, almeno per come l’ho colto io, il tono della lettera del Presidente della Crusca pare quasi indicare come le parole italiane siano un’alternativa “possibile” alle parole straniere, che invece sarebbero la norma. Puo’ essere che io abbia frainteso e comunque sono ben lungi dal promuovere autarchie linguistiche a livello dei nostri cugini francesi.
    Alcune parole straniere, fra le quali la moquette, la reclame, gli spot pubblicitari ed altre si sono ormai consolidate nella lingua italiana, ma non dobbiamo dimenticare che esse sono entrate in Italia assieme agli oggetti ed ai concetti che esprimono: chi mai in Italia si era sognato di rivestire interamente un pavimento con un tappeto incollato sopra? E chi mai in Italia pensava che un messaggio pubblicitario potesse durare solo 30 secondi, quando quelli di Carosello erano a tutti gli effetti dei cortometraggi di 5 o 6 minuti? Insieme con l’oggetto straniero e’ entrata anche la parola e fin qui nulla da obiettare.
    Ma la situazione attuale e’ assai piu’ grave e intollerabile, dato che si usano orrende (e storpiate) parole straniere, piu’ gergali che altro, laddove si potrebbero (e si dovrebbero) utilizzare normalissime parole italiane: governance = dirigenza, new diligence = nuova gestione, briffare = istruire, quantitative easing = manovra monetaria di salvataggio, ecc. ecc.
    Chi dice che le parole straniere di cui sono infarciti i discorsi di politici ed economisti servono a non far capire che nemmeno l’oratore capisce di cio’ che racconta hanno solo ragione.

    PS: La lingua, prima di costruirla va conservata. Altrimenti, come tutte le cose lasciate a loro stesse, non puo’ che peggiorare e degradarsi. Chi va con la corrente va calando…

  18. Brava Annamaria, seguo saltuariamente il tuo blog e lo trovo uno spazio di contatto e di in-formazione molto bello. grazie. Anche ora partendo da “Tra strada e museo: sappiamo riconoscere il valore dell’arte?” ho seguito un filo di cose e immagini davvero interessanti. Chissà se ti potrà interessare al proposito qualche notizia sulle incisioni rupestri della Vallecamonica che sono state fatte dai più antichi antenati di Banksy. Eventualmente ci si può sentire. Mi farebbe piacere.
    Ancora complimenti
    Claudio Gasparotti presidente CCSP Vallecamonica

  19. Era ora! Sono una scrittrice dilettante (già preside) e amo da sempre il nostro meraviglioso idioma. Noto con piacere che tira un’aria nuova. Tanti non sopportano più gli inutili anglicismi che ci perseguitano da ogni lato( giornali, telegiornali, rete, musica, arte ) e salutano con entusiasmo ogni iniziativa in difesa della lingua italiana. Complimenti!

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