disfattismo

Disfattismo all’italiana: funzioni, vantaggi, rischi e rimedi

Quando ho cominciato a prendere qualche appunto per questo articolo, invece che registrare il documento come disfattismo_bozza ho scritto disfattismo_bizza. Un bel lapsus: infatti sto rischiando, e ne sono consapevole, di mettere insieme un testo bizzoso.
Proverò a non farlo.
Dunque. Il punto di partenza è un bell’articolo di Claudio Magris intitolato Che noia il disfattismo all’italiana e uscito sul Corriere della Sera.
La tesi di Magris è chiara: qualsiasi paese è afflitto da magagne, sciagure e storture. Occuparsene e denunciarle in modo circostanziato è, oltre che doveroso e patriottico, utile.
Ma tutto ciò è profondamente diverso dal ritornello autodenigratorio, cinico e intriso di falso moralismo, che oggi si configura come disfattismo all’italiana, vero vizio nazionale, e che incrementa i mali d’Italia. Seguono alcuni esempi tratti dal mondo che Magris conosce bene, quello dell’università, e un ragionamento sull’antipolitica.

Sono così profondamente d’accordo con quanto dice Magris che vorrei stamparlo in corpo 96 e farne un manifesto. Ma, temo, servirebbe a poco (e sì, sarebbe un gesto bizzoso). Provo ad aggiungere, invece, a quanto dice Magris un paio di chiavi di lettura che riguardano l’efficacia del “ritornello autodenigratorio” in termini di comunicazione, e i vantaggi che l’autodenigrazione offre a chi la pratica. Questo può offrire qualche strumento in più per distinguere a colpo d’occhio tra patriottica (e necessaria!) denuncia e cinico ritornello, e anche per disinnescare le tentazioni autodenigratorie di chi, magari, si sente un po’ sconsolato, ma è in sostanziale buonafede.

Prima di presentarvi il mio elenchino di funzioni e vantaggi, però, devo chiarire una cosa: salvo un’eccezione, che vedremo, di norma quella che Magris chiama “autodenigrazione” non viene applicata a se stessi in quanto individui. A essere denigrati, in realtà, sono sempre gli altri. E questo succede perfino quando il denigratore, travestendosi da anima bella che è vittima, suo malgrado di un inestirpabile male collettivo, usa l’artificio retorico di mettere anche se stesso nel mazzo dei denigrati ed esordisce con un ecumenico “noi italiani”.
Nelle espressioni di disfattismo all’italiana, quel “noi italiani”, implicitamente, sta però a significare “tutti gli altri italiani tranne me, la mia mamma, i miei amici, le altre anime belle che mi seguono e sono indignate quanto me”. E che parleranno al bar di quello che dico. Metteranno un “mi piace” su Facebook. Twitteranno e diffonderanno il ritornello del disfattismo, gustandosene le parti più saporite come se fossero caramelle, possibilmente senza azzardarsi a distinguere, ad approfondire, a verificare le fonti, insomma: a evitare la fallacia della generalizzazione.

POTENTE. L’autodenigrazione e il disfattismo fanno leva su intense emozioni primarie (rabbia, paura, disgusto) che peraltro rimandano a una precisa visione del mondo. Per questo da una parte non ha bisogno di essere sostenuta da argomentazioni incontrovertibili, dall’altra è difficile da contrastare con un ragionamento articolato che abbia uguale intensità emotiva. Vantaggio: poca spesa (in termini di impegno analitico e dialettico) e grande resa in termini di coinvolgimento e memorabilità.

SEMPLICE E DEFINITIVA. A criticare, diceva la mia nonna, sono bravi tutti, e demolire denigrando è molto più facile che ricostruire o costruire distinguendo e discutendo. Dopotutto, basta un po’ di dinamite verbale inserita nei luoghi comuni giusti, ed è fatta. Ma non solo: una furiosa demolizione è, nella sua immediata assolutezza, molto più semplice da capire che una laboriosa costruzione argomentata. Vantaggi: l’operazione si svolge in modo fulmineo, risulta comprensibile a tutti, è radicale e definitiva.

CONVENIENTE E CONFORTEVOLE. Chi denigra in una logica di disfattismo non ha bisogno di entrare nel merito di complesse distinzioni, o di assumersi onerosi impegni, o di formulare proposte o idee alternative che, a loro volta, potrebbero essere suscettibile di critiche. Vantaggio: si giudica senza dover affrontare il rischio di farsi giudicare, e ci si può, poi, adagiare in un confortevolissimo far niente.

SPETTACOLARE. Lo sa chiunque lavori coi mezzi di comunicazione di massa: le buone notizie esercitano un impatto enormemente inferiore alle cattive notizie. Una rissa si fa guardare più di un dialogo pacato. L’invettiva diverte, e se sei noto per dirne di tutti i colori verrai invitato a partecipare ai talk show. Vantaggio: ci si conquista popolarità e si rimediano un sacco di inviti.

STRUMENTALE. Un uso tanto perverso quanto efficace delle logiche disfattiste riguarda il dibattito politico. Istruzioni per l’uso: ignorare i problemi già risolti, enfatizzare quelli ancora da risolvere, banalizzarne la soluzione suggerendo implicitamente che all’avversario manchino tuttavia la volontà e le capacità necessarie per metterla in atto. Scaricare sulle spalle dell’avversario anche macro-problemi la cui soluzione esula dalla sua influenza o dalle sue competenze.

AUTOASSOLUTORIA. Questo è probabilmente l’unico caso in cui l’autodenigrazione comprende autenticamente anche chi la esercita, e autodenigrandosi dissolve qualsiasi possibile responsabilità individuale nel pentolone dello stigma collettivo. Se l’Italia intera è incapace, disonesta e inefficiente, nepotista e opportunista, beh, perché mai io, che sono italiano come voi, dovrei comportarmi in modo diverso? Vantaggio: “non è colpa mia, è colpa di un sistema perverso e immutabile”.
Il disfattismo incrementa i mali d’Italia, scrive Magris. Riconoscerlo è facile: un discorso disfattista non comprende distinzioni e non prevede vie di scampo realistiche e praticabili o controesempi virtuosi. Smontare il disfattismo è più difficile, ma saperlo individuare è già un buon primo passo.

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Questo articolo è stato aggiornato a marzo 2018.

7 risposte

  1. Tua nonna dovrebbe essere dichiarata “Santa subito”. Chi si limita a denunciare senza lavorare per un sano atteggiamento resilientemente attivo, non dovrebbe essere ascoltato, non dovrebbe ricevere nessun “like”. Si potrebbe iniziare da qui. O, anche, non limitarsi a un “like”, ma contribuire – forse meglio – indicando cosa si potrebbe fare. In sintesi, passare dall’essere spettatore (magri partecipe) di denunce più o meno spettacolari ad atteggiamenti costruttivi in modo collaborativo. Un po’ come hai fatto con questo post.

  2. Ieri l’ho già letto su Internazionale. Mi sono chiesto chi mai ha inventato il termine “antipolitica” e quali significati copre (suppongo tutto e il suo contrario), e quanto disfattismo antipolitico c’è nel mio intendere il mondo.
    Seguo l’elenco.

    Potente.
    …”è difficile da contrastare con un ragionamento articolato”… ma ragionamenti articolati non se ne fanno. Non certo nei talk, dove bisogna sempre passare all’argomento successivo, non sui quotidiani-monologo, e neppure nei blog. Forse in Nuovoeutile e per questo intervengo.

    Semplice e definitiva. Conveniente e confortevole.
    Non c’è proprio verso, sai, di argomentare. Molti si ritrovano a farlo con quelli che la pensano allo stesso modo, ad autocompiacersi e autoconvencersi che sono nel giusto.
    Anche se condivido molte delle idee di alcuni di loro, mi rifiuto, per stanchezza e inconcludenza, di partecipare a questi rituali rafforzativi dell’abbiamo ragione noi.

    Spettacolare.
    Sì, la spettacolarizzazione è deleteria e non aggiunge nulla, anzi toglie molto, alla comprensione. Gli invitati a lanciare invettive si rivelano strumenti sinergici nelle mani abili dei conduttori, ma emergono all’attenzione e amplificano la loro popolarità e quella del media. È meglio la satira, ma solo se è anche intelligente e poetica.

    Autoassolutoria.
    Sì, mi ritrovo a denigrare fra me e me, forse per compensare l’incensare imperante e totalitario, l’esaltare la fuffa e l’arroganza ignorante.

    Risultato: non so se sono disfattista, ma quello che è certo è che sono totalmente impotente. E non mi consola il fatto che in questa condizione si trovino anche persone di molta maggiore levatura, livello morale e posizione sociale. E non mi consola neppure Il bello dell’Italia, a cui potrei aggiungere qualche capitolo per conoscenza diretta.

    Poiché il dubbio è sempre presente, ogni tanto mi dedico alla rilettura di quei testi che in qualche modo hanno contribuito a formare la mia visione.
    (Ho scoperto perché tutto il dibattito sull’inglese non mi ha appassionato: perché molti dei libri di formazione sono di autori francesi, da Camus a Baudrillard, da Greimas a Morin, da Monod a Lévi-Strauss o a Barthes… ma questa è un’altra storia)
    Dunque: sono un disfattista? Se dico che siamo guidati da ciarlatani (http://www.treccani.it/vocabolario/tag/ciarlatano/) che hanno il potere di fare ma non fanno nulla di quanto potrebbero, per ignoranza, per arretratezza culturale (anche se sono ggiovani, rampanti e twittanti), fermi in una visone arcaica e profondamente conservatrice abbinata a una plateale malafede, sono disfattista?
    Il disfattismo noioso descritto da Magris mi appartiene oppure è uno strumento tattico dei diversi cirlatani in contrapposizione partecipata, intenti a spartirsi, ringhiando, anche ciò che è mio?
    Io che no ho voce, che ho provato a rendere migliore almeno per una infinitesima parte il mondo senza riuscirci, io che ho la precisa impressione di essere su un treno in corsa che va nella direzione contraria e che non si rassegna a dirigersi semplicemente verso i vagoni di coda per avere la sensazione di ritardare l’arrivo alla stazione sbagliata, sono disfattista? È questa l’antipolitica? È questa “l’opera di chi con voci allarmistiche o denigratorie e sim. cerca di ostacolare l’azione del governo e delle autorità, la riuscita o il buon andamento di un’impresa, o comunque tenta di scalzare negli altri la fiducia in qualche cosa”?
    Se non ora quando…

  3. Articolo bello e intelligente però purtroppo a me è capitato più di una volta di ritrovarmi in situazioni kafkiane, che prevedevano non solo una persona in malafede, ma un intero sistema. Un esempio a caso: multe automobilistiche ed equitalia. Metti caso che sei convinto di avere ragione e cerchi di uscirne con un ricorso: ti ritrovi in una situazione all’Azzeccagarbugli, ne esci per esempio trovando un vizio di forma e adeguandoti al sistema del nonsense. Quando ti capita spesso fatichi ad avere fiducia nel sistema, però da un lato in Italia ci vivi bene, quindi che fai? Ti fai andare bene plus e minus e fai un po’ di sarcasmo, demolisci denigrando invece che costruire eccetera. Come sempre accade, qualcuno, per raccogliere consensi in modo facile, interpreta i sentimenti, calca la mano e aizza. E sì, questo è furbo e discutibile, nella comunicazione come nella vita.

  4. ho letto con attenzione l’articolo del Magris,mi viene da dire: “che noia il Magris”, tutto e il contrario di tutto, il suo posto ideale è proprio il gruppo misto.

    ho anche letto con attenzione il suo di articolo, mi viene da dire: “al malpensante il malpensiero viene”……esiste anche l’Onestà Intellettuale……sapeva?

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