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Libri: 10 domande agli editori italiani

Come ogni anno, il Salone del libro si porta dietro numeri piuttosto deprimenti sullo stato dell’editoria e dei libri: vi propongo una rilettura dei dati ISTAT (qui il .pdf con tutti i dati e le tabelle) lascio perdere i lamenti e, invece, mi prendo la briga di far 10 domande agli editori italiani.

Più di metà Italia non legge: nel 2012, oltre 26 milioni di persone di 6 anni e più dicono di aver letto almeno un libro per motivi non scolastici o professionali nei 12 mesi precedenti. Rispetto al 2011 la quota è stabile (46%). Nel Nord e nel Centro del Paese legge oltre la metà della popolazione (52,2%). Nel Mezzogiorno solo il 34,2%, con la virtuosa eccezione della Sardegna (45,8% di lettori). Una famiglia su dieci (10,2%) non ha libri in casa, il 63,6% ne ha meno di 100. Ma anche il 21.3% di chi ha oltre 200 libri in casa non legge niente.
Domanda 1: non è che per caso avremmo qualcosa da imparare dalla Sardegna (dove, fra l’altro, c’è la bella esperienza di Liberos)?

Discrete lettrici e modesti lettori: la differenza si manifesta a partire dagli 11 anni e tende a ridursi solo dopo i 75. Le donne lettrici (51,9%) sono molte più degli uomini lettori (39,7%).
Domanda 2: abbiamo qualche idea brillante per tenere incollati alla lettura i maschi dopo gli 11 anni? Che cosa può incentivarli a continuare a leggere (rispondere “niente al mondo” non vale)?

La lettura dei ragazzi: si legge i di più in assoluto nella fascia di età tra gli 11 e i 14 anni (60,8%). Legge libri il 77,4% dei ragazzi tra i 6 e i 14 anni con entrambi i genitori lettori, il 39,7% di quelli i cui genitori non leggono. Dal 1995 al 2012 aumentano di 13 punti i bambini lettori tra i 6 e i 10 anni  (dal 41.3% al 54,3%).
Domanda 3: possiamo dire in modo forte e chiaro ai genitori tre cose? Che leggano ai figli già da piccoli. Che leggere è un regalo e un modo per stare vicini. E che, se loro leggono, i figli leggono? … non è un bel tema per una campagna promozionale?

La lettura dei baby boomers: Dal 1995 al 2012 quasi  raddoppia la percentuale di lettori tra i 55 e i 74 anni (dal 24.6% al 42.3%). I “lettori forti”, (12 o più libri letti in un anno) sono soltanto il 14,5% ma crescono nelle fasce di età più alte (19.9% tra i 55 e i 59 anni, 19,6% tra i  65 e i 74 anni).
Domanda 4: al cinema, nei musei, sui trasporti pubblici, treni e aerei compresi ci sono facilitazioni per i seniores. Perché non fargliene trovare anche in libreria? Feltrinelli fa già qualcosina, ma forse si può migliorare.

Perché mai si legge poco? Secondo gli editori la colpa è in primo luogo della scuola (46,3% delle risposte). Meno o molto meno del 10% delle risposte tira in ballo a) la scarsa diffusione delle librerie, b) la scarsa pubblicità e presenza sui media, c) la scarsa qualità delle proposte editoriali, d) le inadeguate strategie di fidelizzazione.
Domanda 5: non è che è troppo facile dar la colpa solo alla scuola? Dopotutto, il picco massimo di lettura si registra tra gli 11 e i 14 anni. Non è che c’è un problema con le librerie e con le biblioteche (leggetevi, per favore, questa delizia di descrizione di una piccola biblioteca americana)? Non è che la pubblicità italiana per la lettura è modesta, in tutti i sensi? E che le strategie di fidelizzazione sono scarse e dispersive?

Che cosa migliorare? Il 36% degli editori vorrebbe più sostegno pubblico. Per il 40,4% bisogna innovare di più e progettare meglio. Per il 21% bisogna migliorare comunicazione e marketing, solo per il  12,1% la capacità di innovazione e sviluppo tecnologico.
Domanda 6: a proposito di tecnologie, fino a quando gli editori continueranno a sottovalutare il web (si veda poco più sotto, la domanda 9)?

I grandi editori pigliatutto. I grandi editori sono solo l’11% del totale, ma pubblicano il 75% dei titoli e l’88% delle copie stampate.
Domanda 7: i grandi editori, quelli a cui fa capo quasi il 90% del mercato, non potrebbero (finalmente) mettersi d’accordo e varare iniziative nazionali rilevanti e brllanti? Insieme?

In flessione i titoli pubblicati (-9,4%) e le tirature: (-5.9). In crescita la lettura online (14 milioni e mezzo di italiani). La tiratura media di un libro è 1.691 copie per i piccoli editori, 4.373 copie per i grandi editori. E poi: solo per il 3.8% dei titoli italiani si sono venduti i diritti all’estero. Le opere, prevalentemente di narrativa moderna, di cui gli editori italiani hanno acquistato i diritti all’estero nel 2011 hanno vendito 50 milioni di copie. Le politiche editoriali sembrano continuare a puntare sulle novità, (si pensi agli instant book), sulla ricerca più del best seller che del long seller e sul serrato turnover dei libri nelle librerie.
Domanda 8: perché si cerca sempre il colpaccio, magari col titolo straniero modaiolo, e non si lavora di più sui longseller? Quella attuale  non è per caso una strategia di breve respiro?

Il pc in casa: il 24.3% di chi non ha neanche un libro, e l’86,5% di chi ha 200 libri o più, ha un computer e un accesso a internet da casa. Ormai sono 14 milioni e mezzo gli italiani che usano internet per leggere. Usa Internet il  67,3% dei lettori forti. Oltre sette milioni e mezzo di italiani ha comprato qualcosa online nell’ultimo anno, ma solo il 25,1% ha comprato libri (la media europea è il 36,9%). Non lettori e lettori deboli sono comunque 1/3 degli acquirenti di libri, giornali o riviste sul web. È buona anche la lettura su dispositivi mobili diversi dal computer.
Domanda 9: leggendo questi dati non ci viene in mente niente?

Rischi dell’ ebook: Il rischio legato allo sviluppo della editoria digitale che viene avvertito con maggiore frequenza (33,5% degli editori intervistati) è quello di svalutazione del ruolo d’intermediazione culturale dell’editore.
Domanda 10: ma se invece l’ebook, proprio per le sue caratteristiche di versatilità e per le possibili funzionalità aggiuntive, permettesse di accrescerlo, il ruolo di intermediazione culturale dell’editore?

 

12 risposte

  1. andrebbe considerato anche il fattore costo del libro, che rispetto al 2002 è di fatto raddoppiato.
    gli italiani riuscivano a recuperare qualche cosa grazie ad amazon, che praticava sconti interessanti, ma che grazie ad una scellerata legge anti-mercato voluta dagli editori e dalla cattiva politica ora non esiste più.

  2. Che statistica idiota quella che non prende in considerazione che il medium libro non è di per sé qualcosa di buono e quindi le persone fanno benissimo a sostituire con altri surrogati digitali. Ad esempio il fatto che le persone non leggano romanzi di finzione potrebbe essere solo un bene dato l’analfabetismo italiano in materie scientifiche. Chiaramente agli editori interessa la loro merce e perciò tendono a ridurre e a far equivalere il medium libro con la conoscenza, come se fossimo nel mondo di 30 anni fa. Perciò si vadano a confrontare i dati pelosamente interessato degli editori, e la miopia dell’Istat, alla quantità di letture in generale che vengono consumate su altri media.
    Altrimenti vale l’obiezione fondamentale: non importa limitarsi tutti gli anni a contabilizzare i libri acquistati stupendosi che gli italiani leggano/acquistino pochi libri. Occorre capire tra quelli che leggono cosa vanno a leggere visto che la maggioranza del mercato editoriale è costituita da romanzi e che leggere romanzi equivale ad attività di svago che nulla hanno a che fare con la conoscenza e il miglioramento delle proprie capacità di lettura del mondo, bensì spesso sono proprio i viatici dell’allucinazione, della falsità e del narcotico. Perciò l’utilità del leggere non è pacifica e finisce con l’essere del tutto simile al piacere dell’acquisto di scarpe.

  3. Risposta sintetica a tutte le domande: gli editori italiani dormono e hanno dormito per anni. L’arrivo degli e-book era largamente prevedibile da almeno 15 anni: invece di accoglierla e stimolarne l’uso, stanno tuttora cercando di ostacolarne la diffusione. Gli editori devono ringraziare le nuove tecnologie che incoraggiano lettura e scrittura nelle giovani generazioni, altrimenti la situazione odierna della lettura tradizionale sarebbe ancora peggiore.

  4. @Gianni Lombardi
    Vede, il problema è insito in una contraddizione: da una parte la cultura è libera ed esistono le biblioteche in cui gratuitamente accedere o presendere in prestito (tranne volumi rari) qualasiasi testo. Dall’altro questa finzione costituzionalmente e formalmente tutelata (libertà di cultura) era sopportata dagli editori in quanto contraddetta fino a oggi da valutazioni pratiche dei consumatori per i quali il prestito del libro, per tutta una serie di motivi, era scomodo e perciò la maggioranza di essi si rivolgeva al mercato dell’acquisto.
    Che differenza c’è tra la pirateria e la funzione della biblioteca? Nessuna. Oggi con il formato digitale lamaggioranza di persone va in rete con lo stesso approccio con cui si andava in biblioteca. Differenze? Nessuna. Vulnus enorme per il mercato editoriale che ha cercato di osteggiare l’ebook e a ragion veduta. Sapeva benissimo che una volta emancipato dal medium il contenuto avrebe generato meno introiti e che il giochino sarebbe stato conveniente solo al massimo per un paio di multinazionali con le spalle large quanto la circonferenza del globo.
    Inutile piangere: meglio cambiare mestiere subito che doverlo cambiare comunque poi.

  5. Riprendo da Facebook il commento di Enzo Di Leo:

    1. Gli editori curano, stampano, pubblicano e vendono libri. Ma si occupano (dovrebbero occuparsi di) cultura. Dunque dovrebbero preoccuparsi anche della lettura (in senso lato), della diffusione della lettura, del numero e della qualità dei lettori, del ricambio generazionale, dei nuovi potenzialii lettori (di tutte le età).
    Non soltanto, non prevalentemente del numero di acquirenti di libri e del fatturato. Non so se sono riuscito a spiegarmi.

    2. La lettura di qualità è un piacere. Un piacere da coltivare: richiede (più) tempo libero/liberato.

    Soprattutto la lettura di qualità: se non si ha tempo e non si ha “spazio”, la lettura resta una sorta di “privilegio”.
    Qualità della vita, stili di vita, orari di lavoro, orari e tempi di vita, trasporti e servizi pubblici, reddito, biblioteche, centri culturali, luoghi di socializzazione, aggregazione e divulgazione, cultura, diffusione della lettura e numero di lettori hanno molti punti di contatto.

    3. In breve: per la cultura e l’istruzione, per la crescita, lo sviluppo e l’evoluzione culturale del Paese servono politiche culturali lungimiranti e strategie di lungo respiro.
    Prima di tutto per la cultura e l’istruzione, ma anche (non solo, ma anche) “per vendere più libri, e-book, lettori di e-book, riviste, giornali, prodotti editoriali”. Un fatto non esclude l’altro.

    Ma nulla può cambiare (in meglio) se ci si concentra soltanto o prevalentemente sugli aspetti economici, “economicistici”, produttivi e quantitativi dell’editoria e dell’industria culturale.

    Restano le nicchie di lettori e di fruitori/compratori di libri, di prodotti editoriali e di prodotti culturali: il discorso può valere (mutatis mutandis) anche in altri campi culturali e artistici.

  6. Ulteriore commento di Enzo di Leo, ancora da Facebook

    http://m.lastampa.it/2013/05/21/cultura/salone-del-libro/2013/l-evento-in-poppa-cK36AHq8PTla0Ra12enkTJ/pagina.html
    L’articolo linkato qui sopra contiene numerosi spunti davvero interessanti.

    La realtà italiana (e non solo italiana) non è così piatta.
    E’ possibile notarlo anche in rete e sui social network.
    In rete, ma non soltanto. Se si frequentano ambienti sociali e culturali differenti e persone di tutte le generazioni è possibile capirlo.

    Il pubblico effettivo o potenziale non manca.
    Mancano soprattutto buone politiche culturali (lungimiranti). Manca la capacità (o la volontà) di creare nuove reti, nuove connessioni tra operatori, mondi e “nicchie” distanti o apparentemente distanti e non comunicanti.

    Per questi motivi sembra che cambi poco: apparentemente cambia poco, ma qualcosa si muove comunque. Nelle diverse nicchie e sottotraccia, in contesti e in molteplici ambiti.

    Non è abbastanza: si potrebbe fare di più e di meglio.
    Come? In tanti modi. Pensate all’enorme (sottostimato e sottovalutato) potenziale della (buona) radio: informazione, divulgazione aggiornata (in diverse tipologie di programmi) e “intrattenimento” culturale di qualità.

    Contenuti vari, musiche (importantissime), suoni, parole, stimoli.

    Sarebbero utili più trasmissioni in grado di creare ponti, punti di contatto e link con nuove fasce di pubblico.

    Proprio come avveniva (e come a volte avviene) nelle piazze e nelle strade dei centri storici.

    Come accade nei luoghi di aggregazione e di socializzazione. Come capita al Salone del libro di Torino o nel caso dei Festival culturali di cui parla Giuseppe Laterza.

    Tenendo conto che il pubblico del 2013 dispone di nuovi strumenti culturali, di nuovi mezzi tecnologici, di nuove competenze.

    E’ un pubblico vivace e curioso. Un pubblico che potrebbe, a sua volta, crescere (in tutti i sensi) creando altre connessioni.

  7. LETTURE VOLUMINOSE

    In una lettera alla Repubblica di qualche giorno fa, un lettore forte (250/150 euro mese di libri) si dichiarava stanco di comprare proposte scadenti stampate dagli editori contemporanei e impossibilitato a trovare altro spazio per i libri in casa propria.
    Passato all’ebook, riscoperta e rilettura dei classici e mq risparmiati.
    Io aggiungo la stanchezza, alla sera quando il mondo esterno si distacca e riesco a trovare tempo per me, vado poco oltre le tre pagine prima che le palpebre mi si incollino.
    A scuola porto sempre ad ogni lezione almeno un decina di kg di libri nuovi (spesso illustrati) e ogni anno constato con stupore che se proprio non li sventolo sotto gli occhi, agli studenti interessano sempre meno, o si limitano a sfogliargli e a guardare solo le figure. Gulp!

  8. Ciao Walter, sempre bello rileggerti.
    E… sì, gulp.
    In compenso i miei studenti valutano i libri dallo spessore. E, poiché sono bocconiani e il dettaglio tecnico li interessa poco, oltretutto rischiano di prendersi delle fregature, ignorando che grammatura della carta, carattere e corpo del testo possono ingannare.
    E sì, anche quel che c’è scritto dentro può essere più o meno denso, e più o meno pesante.
    Ma per capirlo bisognerebbe aprirli. I libri.

  9. scarsa attenzione per il web: aggiungerei io, non solo dal lato attivo – progettazione di contenuti digitali e/o in vari modi interfacciati con la rete – ma anche dal lato passivo, cioè della ricettività e attenzione verso i luoghi e i discorsi su internet. Si ha un bel dire che gli editori si sono finalmente accorti dei blogger letterari. La mia esperienza di giornalista freelance mi sta portando a toccare con mano questa resistenza: quando mi presento ed elenco i posti in cui scrivo, vedo le facce di editori e addetti stampa illuminarsi appena cito le testate cartacee – che rispetto e ringrazio, ma non sono certo il New Yorker – mentre l’interesse si affloscia quando passo al lato online. Io sono tutt’altro che un tecno-entusiasta, e mi sono trovato più volte a difendere il giornalismo tradizionale, ma insomma, possibile che questi non si rendano conto che un pezzullo su un quotidiano di media tiratura non viene letto che da poche centinaia di persone (e il giorno dopo va a incartare il pesce, come si dice) mentre un post anche sul blog più fesso può potenzialmente raggiungerne migliaia, e soprattutto rimane lì, a portata di link e di motore di ricerca, in omnia saecula?
    ne parlo qui, insieme alle poche cose interessanti che ho visto al salone (e guarda caso, sono tutti progetti che vanno al di là, o al di qua, del libro tout court) http://dariodemarco.wordpress.com/2013/05/22/un-salto-necessario/

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