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Donne e pubblicità: immaginare per cambiare

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Di donne e pubblicità abbiamo già parlato. Le ultime due volte, a proposito di over 50 e a proposito di uso sconclusionato del corpo femminile. Oggi vi propongo il documento visivo che ho preparato per illustrare un breve intervento alla manifestazione organizzata da SNOQ-Se Non Ora Quando l’11 dicembre.

Il tema è ampio: va contestualizzato e storicizzato. Il tempo a disposizione (cinque minuti) è breve. L’obiettivo della manifestazione è ambizioso: passare dalla denuncia alla proposta di buone pratiche. E il luogo chiede parole semplici, esempi comprensibili e ragionamenti consistenti.
Ho isolato tre argomenti: maternità, lavoro, corpo. Eccovi le immagini. Sono pensate per essere commentate, ma mi auguro che riescano – almeno un po’ – a parlare anche da sole. La presentazione vuole, soprattutto, mettere in evidenza l’ampia “area grigia” costituita dalle campagne che non sono offensive tanto da venir condannate dal Giurì della pubblicità, ma che diffondono e rafforzano stereotipi impoverenti, monodimensionali, riduttivi: trasformano le donne in figurine senz’anima, fatte con lo stampino, tutte uguali, identificabili solo attraverso l’uso di questa o quella marca.

Per riuscire a fare una cosa, qualsiasi cosa, bisogna prima saperla immaginare.
Certo: la pubblicità è parte di un sistema più grande, che è costituito da tutto il complesso dei media, e dall’intero paese. Il quale, non dimentichiamolo, continua a risultare collocato ai posti più bassi della graduatoria mondiale della parità di genere, il Gender Gap Index del Worl Economic Forum.

Ma la pubblicità può, e dovrebbe, dare il suo contributo alla creazione di un nuovo immaginario femminile condiviso, positivo e contemporaneo. Tra donne e pubblicità va ricostruita una relazione di qualità migliore, fondata sull’attenzione e il rispetto, attenta alla modernità, capace di intercettare stili di consumo e di vita, modelli di comportamento, sistemi di valori contemporanei e, soprattutto, la grande varietà dei modi di essere donnae di interpretare il femminile.

È una sfida che, ne sono certa, noi che progettiamo campagne pubblicitarie accoglieremmo con entusiasmo.

10 risposte

  1. Sì, le immagini parlano da sè. Da estranea al mondo della pubblicità avrei un paio di domande: 1. quanto gioca, nell’assenza di idee, l’incapacità del pubblicitario e quanto il gusto del committente? il quale, di fronte a una proposta pubblicitaria innovativa, magari preferisce il ricorso ai soliti cliché femminili. Perché quello con la mentalità arretrata è prima di tutto lui. 2. quanto gioca il conformismo? Penso agli operatori telefonici, prima appiattiti sulle veline poppute come testimonial, e ora sui comici televisivi. Grazie, Valeria

  2. Una presentazione perfetta; semplice, chiara, e che si “fa prendere”. Come ogni saggio di Annamaria Testa 🙂 Guardandola mi sono venute in mente le campagne innovative di Dove contro gli stereotipi della bellezza e della donna. Posto i link dei video: http://www.youtube.com/watch?v=vilUhBhNnQc&feature=fvwrel http://www.youtube.com/watch?v=iYhCn0jf46U Bello vedere che almeno un’azienda del settore si occupa in modo profondo di Corporate Social Responsibility…peccato che in italia questi spot non si sono praticamente mai visti, se non sulla rete.

  3. Bella presentazione. Utile. E spero stimolante per molti/e. Specie per le aziende. Ciao!

  4. Complimenti per la presentazione: chiara, concisa e dritta al cuore del problema. La slide delle compagnie telefoniche mi ha lasciata ancora una volta senza parole. Vedere quelle immagini TUTTE INSIEME mi ha fatto rendere conto della pochezza della creatività, rimasta legata al concetto “con un paio di tette si vende tutto”. Della pubblicità di Silvana Heach si parlava anche in ufficio, e ovviamente i colleghi (età media 45 anni) ne erano entusiasti. Poi torno a casa, e il mio compagno (26 anni) mi dice “ma che ca**ta è?”. Che dire? Lavoriamo sulle nuove generazioni, a cominciare dai nostri compagni di vita, affinché non ci vedano come mammine, ma come pari.

  5. Presentazione ottima e motivazioni direi più che giuste! Una discussione e una battaglia che sicuramente fa bene alle donne ma anche agli uomini. Se è pur vero che l’immagine pubblicitaria della madre è svilente per la donna, anche l’immagine dell’uomo che si fa servire la colazione standosene seduto a leggere il giornale non è edificante. Il vero padre di famiglia, oggi, probabilmente, mentre la madre pensa ai figli, sta passando l’aspirapolvere! E sinceramente infastidisce anche pensare che l’uomo, per quanto possa sempre e comunque apprezzare una bella ragazza svestita, sia così in balia degli istinti da scegliere un operatore telefonico perché vede un bel seno. In sintesi: questo tipo di comunicazione non rappresenta la vita e la società (della donna e dell’uomo), ed è offensivo per l’intelligenza (di tutti i sessi).

  6. E’ vero la pubblicità può fare molto per il progresso sociale. Ma molto di più ne ha fatto in senso negativo servendo ciecamente le aziende che instillavano bisogni consumistici nella società. Gli esiti si vedono oggi. Dove la realtà ci porta a comprendere l’assurdità di certi falsi bisogni e ci porta persino a ridere per certi modelli mai raggiunti nemmeno nei momenti di massima crescita economica. Mi chiedo se certe aziende si rendano conto del danno prodotto da certe pubblicità ormai fuori luogo, scadute. Penso a quelle di molte auto, a quelle dei mulini,a quelle di certi profumi… Con la pubblicità si può fare molto, anche danni all’azienda che si deve promuovere. Franca

  7. Grazie Annamaria! da una grande pubblicitaria in maniera semplice e immediata tocchi i punti nevralgici di come vengano diffusi gli stereotipi sulle donne. Non solo le immagini offensive, che sia chiaro a tutte/i! Maria Chiaramonte

  8. Mi unisco anch’io ai complimenti e ai ringraziamenti per il tuo instancabile lavoro di miglioramento rispetto allo status quo. Tra tutti i commenti fatti, un “mi piace” sincero va ai “nuovi uomini”, i figli di madri che lavorano, quelli che sanno stare da soli e coi propri figli, che non si sono fatti abbindolare dai mondi paralleli delle pubblicità, ma hanno sempre lo spirito critico per confrontarli coi mondi reali. Con la speranza che la pubblicità ritorni a raccontarli e a raccontarci. Chiara

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