Nuovo e utile

Eataly, Yamamay e pubblicità sociale: perché una sì e l’altra così-così

Escono in contemporanea sui quotidiani italiani due annunci con i quali due imprese molto diverse tra loro si schierano a favore di cause nobili e condivisibili. Una se la prende con il porcellum, l’altra denuncia la violenza contro le donne. Non è la prima volta: è già successo che proprio quelle due imprese abbiano detto la loro sulle faccende nazionali, ciascuna a modo suo.

Solo una manciata di giorni fa ricordavo nel corso del convegno annuale UPA che le aziende possono e dovrebbero spendersi anche per  dare un contributo alla modernizzazione (anzi: alla rigenerazione) del paese.
Dubito che siano state le mie parole a convincere i due imprenditori: piuttosto, un cocktail di sensibilità (entrambi i temi sono importanti e urgenti) e opportunità (l’estate è una stagione a basso investimento pubblicitario, gli spazi sono promozionati, l’affollamento è minore, l’attenzione e la reattività sono maggiori). È proprio del dna del bravo imprenditore innovativo saper cogliere il momento giusto e l’occasione.
Comunque, condivido i temi e faccio il tifo per le aziende che si impegnano. Ma vorrei anche segnalarvi alcune differenze sostanziali tra i messaggi.

Il fondatore di Eataly Oscar Farinetti si schiera contro l’attuale sciagurata legge elettorale. Usa l’arma dell’ironia, passando dal porcellum alla porchetta. L’annuncio è congruente, perfino sotto il profilo grafico, con la comunicazione del brand e con il precedente e tempestivo schierarsi di Eataly su temi caldi per il paese (ricordo l’annuncio contro l’omofobia, o l’invito a pranzo per Giachetti, il digiunatore antiporcellum) con la filosofia della marca (rilanciare il meglio dell’Italia nel mondo), con le sue buone pratiche, dalla difesa del territorio alle nuove assunzioni.
Infine. L’annuncio chiama in causa una categoria (i politici) presenta un’indicazione precisa per agire, alla quale dà perfino una scadenza, offre un vantaggio concreto: porchetta (italiana doc) per tutti. Dice sorridendo quel che deve e non fa una piega, da nessuna parte.

Guardiamo, in parallelo, che cosa fa l’annuncio Yamamay: si appropria delle retoriche grafiche e visive della pubblicità sociale. Sceglie piuttosto maldestramente un termine forte, “bastardo”, che però è politicamente scorretto (stigmatizza i nati illlegittimi e, guarda un po’, sono le donne non sposate ad avere figli “bastardi”. Un imminente adeguamento normativo dovrebbe, se pur con enorme ritardo, porre fine a questo stato di cose).

L’annuncio non è così congruente, né dal punto di vista grafico né sotto il profilo dei contenuti (a meno che non vogliamo tirare in ballo anche le congratulazioni sexy a Obama) con la comunicazione pregresse del brand (qui una selezione delle affissioni. Qui un telecomunicato di qualche tempo fa, ampiamente commentato su NeU).
“Denuncia i violenti”, è la call to action. Però non si danno altre indicazioni: il numero di telefono dedicato, istituito dal ministero per le Pari Opportunità, ad oggi appare solo nei comunicati-stampa che lanciano la campagna. E non si dice neanche come aiutarsi o aiutare, o se si può contribuire donando soldi o tempo, o quali sono le istituzioni e le associazioni di riferimento. Tra l’altro, leggete qui: alcune case protette anti-violenza stanno chiudendo per assenza di fondi (se Yamamay è convinta del suo tema potrebbe dare una mano conquistandosi credibilità, per esempio). A Milano, su 1500 denunce annuali per maltrattamenti, 1000 vengono archiviate con un nulla di fatto.
Ma sull’annuncio Yamamay c’è solo un invito a condividere il messaggio sui social media, rinnovando quell’attivismo forse troppo facile già stigmatizzato dalla bella campagna Liking is’n helping.
A qualche malpensante potrebbe venire in mente che tutto ciò replichi l’atteggiamento opportunistico di una passata campagna contro l’anoressia. Non la linko: se ve la ricordate, bene, e ancor meglio se ve la siete già dimenticata. O che si tratti solo di suscitare a ogni costo attenzione in rete, come farebbe pensare il comportamento di un’altra società del gruppo.

Mi auguro, invece, che questo sia solo il primo passo di un lavoro meno superficiale e più coerente che Yamamay può sviluppare sui temi del femminile e del contrasto alla pubblicità sessista. Modelli possibili: l’inarrivabile (per ora, in Italia), Dove, che combatte cliché e stereotipi della bellezza. Ma anche il competitor internazionale Wonderbra, che ha fatto dello  humour (altra merce rarissima nel nostro paese) uno strumento tanto posizionante quanto vincente.

32 risposte

  1. Vorrei porre all’attenzione una questione collaterale, ma non secondaria, della sacrosanta lotta alla violenza contro le donne: oggi, dell’uomo in quanto tale, si parla solo come carnefice, e non è certo in questo modo che si educheranno uomini migliori, tutt’altro.

    1. scusa Domiziano, si parla dell’uomo come carnefice quando uccde donne. Per il resto, notizie da tutto il mondo hanno per soggetto uomini che non sono connotati come carnefici: uomini che fanno girare il mondo perche’ sono capi di stato (unica eccezione la Merkel in Europa, una su centinaia di uomini) o che sono a capo di importanti aziende, di testate giornalistiche, in qualunque posizione di potere.
      Si’ poi io direi che sono anche spesso carnefici lo stesso, ma purtroppo nessuno lo fa notare (se decidono di bombardare qualche stato, se guidano in stato di ebbrezza, se portano in giro decine di pesone su bus scassati, se prendono curve a velocita’ impensabili). Si quasi sempre gli uomini sono carnefici, ma non lo si dice. Secondo me, voi uomini potete considerarvi piu’che soddisfatti di come si parla di voi.

      1. sono un po stanco di sentir parlare dell’uomo (genere maschile) come emblema delle cose che non vanno o come rappresentante unico di pochezza mentale e prepotenza. molto stanco

        1. l’uomo non e’ l’emblema delle cose che non vanno; l’uomo rappresenta (e’ artefice) della maggior parte delle cose che contano nel mondo, artefice sia di quelle buone sia di quelle cattive (in questo caso, artefice a carnefice). Sono stanca io di vedere sempre e solo uomini in primo piano (a parte veline o Merkel), molto stanca.

          1. Gli uomini sono anche padri, soccorritori, vigili del fuoco, operai, minatori, eroi. Di questo non si parla più, o mai. Sono sempre e solo i potenti da criticare o i violenti da combattere. Gli uomini sono in primo piano, ma quanti uomini sono in primo piano in tutto il mondo: 100.000? 1.000.000? 10.000.000? Bene, gli altri 3 miliardi e mezzo sono comunque sullo sfondo tanto quanto le donne. Anzi, sono assai più probabilmente all’ultimo: sono la maggior parte dei carcerati, dei poveri, dei drogati e dei suicidi: quattro volte tanto le donne.

            E comunque la tua chiusa del commento precedente “Secondo me, voi uomini potete considerarvi più che soddisfatti di come si parla di voi” dice tutto ciò che c’è da sapere sul tuo punto di vista.

    2. Sono d’accordo. È pessima questa generalizzazione “uomini bastardi vs. donne martiri”. Banalizza il problema e deresponsabilizza tutti: uomini, donne e il sistema nel suo complesso. Cementifica l’idea che ci debba per forza essere una contrapposizione tra i due generi, idea “violenta” e idiota di per sè. Tace del tutto il lavoro quotidiano di chi si comporta bene, che è come se non esistesse, e da risalto solo ai criminali. Nasconde il fatto fondamentale che gli uomini li creano ed educano le donne e se queste avessero i mezzi per educarli bene il problema non si porrebbe.
      Un successone su tutta la linea insomma…

      Dobbiamo piuttosto porci l’obiettivo di coinvolgere gli uomini e le donne sane (che sono la maggioranza) e non violente in un cambiamento sociale profondo, che è fattibilissimo.

  2. “Dove” combatterà anche cliché e stereotipi della bellezza, ma mi risulta che sia della Unilever, il peggio del peggio. Anche questa è coerenza, no?
    Per il resto, ottimo pezzo.

  3. Condivido al 1000% le osservazioni di Annamaria. Originale e pertinente la campagna Eataly, mentre mi pare meramente strumentale quella Yamamay. Vi siete accorti che il nome dell’azienda compare tre volte nell’annuncio? Lo schema è lo stesso di No-Lita, e di vecchie campagne Benetton, creativamente forti, che sfruttavano un tema sociale per vendere le magliette. Dopo vent’anni siamo passati all’underwear…Si vuol fare qualcosa di realmente utile? Si diano un pò di risorse a Pubblicità Progresso che si appresta a fare una vasta e articolata campagna sul mainstreaming di genere, tutto gratuitamente, senza un centesimo dallo Stato, come molti pensano. Ottima occasione per aziende della moda, imprese in utile, per sostenere un progetto collettivo, invece che fare la solita carità pelosa…

    1. Accordo assoluto e totale con Alberto (e complimenti ad Annamaria per la precisione, of course…).

  4. Nonostante non condivida tutto l’innamoramento di Oscar Farinetti per l’Affettato Fiorentino, ne apprezzo il metterci la faccia e agire di conseguenza. Avrei preferito ancor più un messaggio slegato dal brand, tipo la pagina storica di Della Valle. Ma, con quello che si vede in giro, va bene così. (Purtroppo temo che la porchetta rimarrà ancora a lungo nel freezer. Oscar, lascia stare, veniamo noi al Lingotto, mettila in forno, dai).
    Yamamay dimostra invece di non saper fare comunicazione, ancor meno comunicazione sociale. È sbagliata l’immagine, è errato il vocabolario, non si capisce a chi si rivolge. O lo si capisce benissimo ed è l’ennesimo tentativo maldestro di salire sul carro dei temi caldi per ottenerne un vantaggio, quale conquistarsi la simpatia delle donne meno attente e più superficiali, senza peraltro scalfire minimamente il problema.
    Una marca che non è neppure in grado di comunicare valori positivi, lavorando sui temi –come indica Annamaria– del femminile e del contrasto alla pubblicità sessista, farebbe bene, se è sinceramente attenta al tema della violenza, a dirottare parte del budget a chi opera concretamente sul territorio, nell’assistenza, facendolo in modo anonimo, senza cercare di ottenerne diretti e rapidi ritorni commerciali.

    1. mmm simpatica la foto..secondo me ha un’interpretazione elastica..Ha un significato che rimanda al tema qui trattato solo se hai letto quest’articolo prima di vederla.
      Se l’avessi postata su un sito di mamme, che parlavano di sculacciate, essa avrebbe avuto o no un altra connotazione?

      Grazie, è stato uno spunto di riflessione, su come noi interpretiamo la realtà presente in base a come essa è stata introdotta ai nostri occhi, in base alle informazioni che abbiamo precedentemente acquisito. Sono forse più queste ultime a formare la nostra percezione del presente, più che il presente stesso.

      L’interpretazione e l’osservazione ostinata di un fenomeno da un unico punto di vista, forse porta solo all’ingrandimento spropositato di quel suo lato a cui ossessivamente stiamo dando la nostra attenzione.
      Noi occidentali siamo abituati a colpire un ostacolo andandogli addosso su un unico punto, la tradizione giapponese vede l’avversità, come un cerchio da osservare e scalfire da tutti i lati. Giusto per prendere un lato positivo da qualcosa che poi può essere contestabile per altro.

      Ce lo insegna anche la “natura”, per abbattere un albero, bisogna segare buona parte della sua circonferenza. Non serve a niente accanirsi e concentrare tutte le nostre forze su un unico punto, usando un chiodo. Per quanto quest’ultimo possa essere grande e appuntito, l’albero, il nostro problema non verrà giù.

      A meno che, non ci si metta d’accordo e ognuno si concentri su un punto diverso del tronco. Assieme e coordinandoci, l’insieme del battere dei nostri singoli chiodi sarà la sega che lo farà cadere.
      Ma serve comunicazione per questo.
      C’è qui una persona che ha mai parlato con qualcuno che ha curato o seguito un violentatore, sociologicamente intendo? Quali sono le cause personali, i drammi, i vortici psichici che li fanno così agire? Quali sono i pensieri in cui essi si identificano e quali le loro cause?
      La violenza è un problema o anche una conseguenza di qualcos’altro? E’ il sintomo di un disagio più profondo interconnesso ad altre fette della società, il quale non per forza é manifestato nella stessa maniera?

      Denunciare serve eccome, a mettere in allerta, ad informare, a riportarci coi piedi per terra. Ma da solo non basta.
      Come da sola non basta la condivisione, perché essa raggiunge solo chi condivide già o condividerebbe volentieri la nostra idea e viene ripudiata, abortita, vista con indifferenza dagli altri.

      Spendiamo tutte le nostre energie a osservare la vittima, ma il carnefice che fine ha fatto?
      Hanno entrambi lo stesso peso ai fini di una corretta analisi, sintesi e risoluzione; benché in una delle parti ci viene difficile identificarci, sappiamo quale.
      Sono sicuro, che c’è un lato della nostra vita in cui noi stessi siamo dei “violentatori”, non per forza di una persona, magari di un’ideologia, un’atteggiamento, un gruppo. Tuttavia non ce ne accorgiamo perché ne siamo immersi.

      Punire e odiare chi si è macchiato é altrettanto legittimo.
      Lo è altrettanto soccorrere chi è stato ferito.
      Ma la violenza non nasce dal nulla, può nascere da una ferita anch’essa, che poi va a contagiarsi.

      E allora magari si diventa violentatori di violentatori, anziché fare della nostra dignità e integrità il perno inamovibili a partir dar quale affrontare le avversità, senza divenirne parte.

      Spero si capisca, che l’intenzione del mio commento non sia quella di legittimare la violenza e che i punti delicati del discorso in cui tale propensione potrebbe qualora apparire, vanno integrati e contestualizzati organicamente nell’insieme argomentativo.

      Infine chiedo scusa ai demoni e agli angeli che girano attorno a questo tema e prego che non esso tocchi la mia vita, spero di non aver osato troppo e avuto la pretesa di far di me un colui che sa. Le mie scuse anche a chi ha vissuto un dramma del genere, se una delle mie intenzioni è stata quella di equilibrare i pesi della bilancia, senza parte.

      1. “C’è qui una persona che ha mai parlato con qualcuno che ha curato o seguito un violentatore, sociologicamente intendo? Quali sono le cause personali, i drammi, i vortici psichici che li fanno così agire? Quali sono i pensieri in cui essi si identificano e quali le loro cause? La violenza è un problema o anche una conseguenza di qualcos’altro? E’ il sintomo di un disagio più profondo interconnesso ad altre fette della società, il quale non per forza é manifestato nella stessa maniera? Denunciare serve eccome, a mettere in allerta, ad informare, a riportarci coi piedi per terra. Ma da solo non basta.”

        Le campagne contro le violenze, data la ns.arretratezza, servono ancora a dire alle vittime di non essere tali, di reagire, dicono a tutti (la società, il pensiero comune) che la violenza è sbagliata e che si deve fare qualcosa al riguardo.
        I centri antiviolenza (che stanno chiudendo per mancanza di fondi) devono assistere prima la vittima (o NO?) e, sicuramente mi associo, dovrebbero seguire anche il carnefice, sicuramente “persona” da rieducare…(qualcuno, pochi, si è già mosso in tal senso), ma non si può chiedere tutto ad una azienda che invece di spiattellare il corpo femminile e basta (e ne avremmo da ridire) fa un pezzetto di informazione (ok, non completo, ecc…) che dovrebbero fare le istituzioni.
        Comunque sono aziende che vendono. Non si può pretendere che non perseguano anche il profitto…o che facciano “educazione” (ma non dovrebbe esserci delle istituzioni ed una tv di Stato per questo?). Uno sforzo lo hanno fatto. Ed io apprezzo.

  5. http://getprsm.com/

    Ecco un esempio da manuale di comunicazione efficace che usa l’ironia per diffondere un messaggio importante, che espresso con metodi tradizionali o accademici (almeno in prima istanza, poi ci si arriva) sarebbe bellamente ignorato dal pubblico di riferimento.

  6. a Valentina “Tace del tutto il lavoro quotidiano di chi si comporta bene, che è come se non esistesse, e da risalto solo ai criminali. Nasconde il fatto fondamentale che gli uomini li creano ed educano le donne e se queste avessero i mezzi per educarli bene il problema non si porrebbe.”
    1) non tace il lavoro di chi si comporta bene, sta parlando della violenza..cosa dovrebbe dire…alcuni uomini sono violenti ma non vi preoccupate gli altri sono brave persone? bella incisività!
    2)gli uomini li educano le donne ma anche i padri (spesso padri violenti generano figli violenti)… insomma, è sempre colpa delle donne? mah!
    La frase forse è un pò forte…ma le donne muoiono OGNI SANTO GIORNO! e tante sono violentate e picchiate…salvare sempre capra e cavoli non si può, accontentare tutti neanche.

    1. @ Maralica il mio commento per intero non è in risposta alla campagna. È in risposta a Domiziano Galia e prima della pare che citi tu dice: “È pessima questa generalizzazione “uomini bastardi vs. donne martiri”. Banalizza il problema e deresponsabilizza tutti: uomini, donne e il sistema nel suo complesso. Cementifica l’idea che ci debba per forza essere una contrapposizione tra i due generi, idea “violenta” e idiota di per sè. (…)”.

      Pur avendo riletto il tuo post varie volte non l’ho capito…
      1) dare per scontato o tacere il lavoro “dei buoni” alza il livello di allarme e nulla più. Siamo ampiamente allarmati, ed era gran tempo che lo fossimo. E adesso? A me interessa che gli uomini sani non si sentano nemici ed esclusi in quanto maschi, ma attivi e partecipi proprio perché maschi sani. Nessuna donna vittima e picchiata sarà un role model per indurre al cambiamento un uomo violento. Ma un altro uomo sano forse – forse – potrebbe esserlo.
      Non me ne faccio niente di dire “povere donne – maschi bastardi”. Non salverà nessuna di noi: i violenti continueranno a picchiare e i non violenti si sentiranno solo colpevolizzati anche per le colpe di altri.

      2) No. In Italia in modo particolare i maschi li educano le donne, dato che l’onere (e non certo l’onore) della cura della famiglia e della casa ricade soprattutto su di loro e molti padri sono assenti o assenteisti. Statistica docet.
      Se le donne avessero i mezzi culturali per educare meglio i loro figli il problema si ridurrebbe rapidamente. E infatti si è rapidamente ridotto in questi anni, in cui le donne hanno studiato, lavorato, hanno ottenuto leggi che le tutelavano, hanno potuto scegliere meglio i propri uomini e, quando è stato il caso anche lasciarli. Anche qui, statistica docet.

      Ti garantisco che mi è chiarissimo che le donne subiscono violenza ogni giorno, dato che sono donna anche io e non sono nata due giorni fa. Il punto è che questa violenza è in calo (!), mentre è in aumento la sua percezione.

      Forse non è chiaro il nucleo del mio pensiero: curare una frattura sociale che genera violenza e sopraffazione con un pensare e un agire basato su altre fratture, divisioni e contrapposizioni per me è follia. Non funzionerà mai: qui il problema non è maschi vs. femmine. È persone sane vs. persone violente.

Lascia un commento

MENU
I post di NeU Risorse sulla creatività
Clicca per leggere le prime pagine 
TUTTO NEU
Creative Commons LicenseI materiali di NeU sono sotto licenza Creative Commons: puoi condividerli a scopi non commerciali, senza modificarli e riconoscendo la paternità dell'autore.
RICONOSCIMENTI
Donna è web 2012
Primo premio nella categoria "Buone prassi"
Primo premio nella categoria "Web"
Articoli di NeU sono stati scelti per le prove del 2009 e del 2019
creatività delle donne_CHIMICA

Creatività delle donne e patriarcato

Non possiamo smettere di parlarne. Dunque provo a raccontarvi come pregiudizi e stereotipi, sostenuti da oltre tre millenni di patriarcato, hanno impedito e tuttora ostacolano

Che succede con l’intelligenza artificiale?

“Non perfetta ma straordinariamente impressionante”.Così McKinsey, società internazionale di consulenza strategica, descrive in un recente articolo la prestazione di ChatGPT, il modello di intelligenza artificiale

Ops. Hai esaurito l'archivio di NEU.