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Esperienze 12: scuola, il lamento del Consiglio di classe

Ricevo da Fiamma Tortoli un lungo messaggio accorato: parla di scuola media inferiore. Lo pubblico volentieri. Per molti versi mi sembra di vedere le conseguenze di quanto lei racconta all’università, con ragazzi molto più grandi: da qualche anno, faccio più fatica a forzare la logica della lezione frontale, e quando ci provo una parte dell’aula dà segni di disagio. Alcuni non sono abituati a interagire né a domandare. E vorrebbero limitarsi a studiare sulle liste a punti del powerpoint perché “si fa fatica a rintracciare dentro al libro le cose da sapere” (che al terzo anno di università non ci si sappia orientare dentro un testo mi sembra piuttosto grave).
Fiamma dice che organizzare laboratori di scrittura nella scuola media potrebbe essere un buon punto di partenza, ma… che cos’altro? E specie alla luce di quanto Ocse Pisa afferma a proposito competenze da sviluppare, e dell’assoluta centralità degli insegnanti?

Consiglio di Classe di una terza media: pare che gli insegnanti si siano lamentati tutti (e non è certo la prima volta) dell’incapacità dei ragazzi di ascoltare in classe, di sapersi concentrare, di organizzarsi lo studio tanto a casa come in classe, di far fruttare il loro tempo in termini di apprendimento, di saper agire con disciplina.

Penso che la situazione sia molto più grave. I ragazzi non sono abituati a prendersi delle responsabilità rispetto a ciò che fanno e che li riguarda in prima persona, non sono abituati ad agire in conseguenza delle proprie scelte. La verità è che non sono affatto allenati a ragionare con la propria testa: non sono in grado di affrontare un problema, di inquadrarlo, di parlarne, di riflettere e di risolverlo o per esempio di capire che insieme è più probabile trovare una soluzione. Non sono in grado di porsi obiettivi né di prendere una qualunque iniziativa autonoma che ci si potrebbe aspettare alla loro età. Invece che acquistarla, l’autonomia e la maturità sembrano via via perderla crescendo.

La mia impressione, e come madre lo dico con senso di frustrazione e avvilimento, è che sappiano interagire molto poco con il prossimo; a volte sono disarmanti, tanto è evidente la loro ignoranza della grammatica e della sintassi del comportamento. Sono analfabeti delle relazioni umane e della comunicazione. E questo è grave.
Del resto parto da una constatazione: questi ragazzi sono spesso molto soli con loro stessi; e questo sia a casa sia a scuola, dove, non dimentichiamo, passano la gran parte del loro tempo, a volte non si sa a fare cosa, visto che poi a casa sono caricati di compiti che regolarmente trovano tutte le scuse del mondo per non fare.
Ma questo problema non è solo di una classe. E non è un problema di una materia, umanistica piuttosto che tecnica o scientifica. È una mancanza che ha conseguenze ed effetti su tutte le materie. Secondo me è una vera e propria emergenza generale e diffusa, almeno in Italia.
Ciò che caratterizza i ragazzi è la sostanziale passività a cui sono stati “educati”, è l’incapacità di andare oltre la mancanza di disciplina e la regressione ludica e infantile, che è una cosa ben diversa e anzi opposta all’esser “vivaci”.

Mi domando allora come mai gli insegnanti per primi nel concreto non vadano mai oltre la lamentela, oltre la generica comunicazione in un Consiglio di classe dove la presenza dei rappresentanti dei genitori è quasi una pura formalità alla quale per legge la Scuola è obbligata. Senza una vera discussione dettata dal desiderio di trovare soluzioni concrete. Dove anzi ogni intervento da parte dei genitori è vissuto dal corpo insegnante e dal dirigente come una fastidiosa ingerenza.
La lamentela e la reprimenda sono una manifestazione di impotenza comunicativa e un modo per scaricarsi tutti la coscienza: dalla scuola alla famiglia, e viceversa dalla famiglia alla scuola. Ma senza interrogarsi e senza trovare strategie pedagogiche, senza mettersi in discussione e senza ammettere i propri limiti, senza spremersi le meningi, né usare l’immaginazione e la creatività, tutto questo rimane chiacchiericcio e pura formalità tradotta al massimo in una sequenza di voti sulla pagella.

Specialmente alle scuole medie i ragazzi hanno bisogno di finalizzare l’apprendimento con qualcosa di concreto, hanno bisogno di fare sia in senso intellettuale che materiale. La capacità di coinvolgere gli studenti non è un escamotage per catturare l’attenzione: deve essere frutto della comunicazione di qualcosa che abbia senso e collegamento con la vita: una chiave che aiuti a leggere il mondo circostante e a dare risposte a problemi reali.
Non sarebbe possibile aiutare i ragazzi attraverso un laboratorio di scrittura a scrivere, a parlare, a ragionare, a organizzare, a pensare meglio e a farlo divertendosi? Passare dalla centralità della lezione alla ricerca e alla PRODUZIONE FINALIZZATA DI OGGETTI PER LA CONOSCENZA, come ha scritto Fiorella Palomba nel suo commento a questo post di NeU?
Cosa ne pensate, amici insegnanti e genitori?

16 risposte

  1. Ciao AM. La ted conference che hai inviato qualche tempo fa, in cui si parlava di un’esperienza realizzata da scrittori che mettevano gratuitamente il proprio tempo a disposizione degli alunni più svantaggiati negli Stati Uniti (che poi si è diffusa anche in altri Paesi), indica una strada. Noi con TAM-TAM stiamo seguendo un percorso simile, anche se su un altro fronte. Nel sito c’è tutto: http://www.tam-tam-tam.org

  2. quanto mai attuale questa tua di stamattina! reduce da un consiglio di classe dove ho cercato di sostenere l’attacco di tutti i professori sull’inconsistenza degli alunni….eppure si tratta di un liceo classico!!! Non appartengo certo alla categoria dei genitori che si schierano dalla parte dei figli ma come fare a suscitare nuovo interesse e curiosità nelle lezioni? Professori come possiamo fare?

  3. Parlo a mio nome , dunque nessuna pretesa di rappresentanza, ma non mi succede di metterla in questo modo : incosistenza degli alunni, passività, demotivazione , incapacità e rassegnazione .. La metto invece in termini di attese , desideri ,capacità mie e della classe e sapere che la frase più pericolosa è “Ho sempre fatto così invece loro …..”
    Succede invece che ci si trova in aule gremite di circa (e oltre) trenta studenti, richieste individuali continue, girandola di programmi, progetti, valutazioni, acrobazie. I tentativi operosi verso la sequela delle lamentele spesso vengono disattesi e c’è solo un obiettivo negli occhi e nei balbettii : la sufficienza , il recupero per raggiungerla, il sei meno che a giugno sarà sei. Non è tutto così, se lo fosse non sarei qui ma al TSO e già che ci sono ringrazio le mie compagnie di avventure quotidiane di non averlo ancora chiamato.

  4. Manca molto ala scuola italiana: la dirigenza didattica, che è ormai affossata dalla burocrazia e dai tagli.Manca la formazione degli insegnanti,manca l’apertura della scuola che si arrocca spaventata. La scuola di mio figlio è un paese abitato da 1200 adolescenti. E’ un mondo a sè. Ma ci comandano una manciata di adulti e potenze invisibili( ministero Usp.) la strada è la ricerca

    soluzione

  5. Un vecchio proverbio recita: “Chi sa fa, chi non sa insegna”. Mi spiace per i tanti professori in gamba che si dedicano ai loro studenti con passione e dedizione, ma questi sono sempre meno della moltitudine che ha intrapreso il lavoro di insegnante come unico sbocco professionale alla fine di una facoltà o di una scuola che altro non offriva. Ed è evidente che scegliere di insegnare, solo perché non si può far altro nella vita, non è certo il massimo. Ho un figlio di dieci anni per il quale insieme a mio marito, siamo diventati i suoi educatori/insegnanti di riferimento. Ha appreso con noi un metodo di scrittura (inventando storie e cercando di elaborare concetti con la rilettura e la correzione), l’uso della logica per risolvere i problemi(e non un bovino mettere in pratica quattro nozioni svogliatamente trasferite dall’insegnante) la capacità di esprimersi con le lingue straniere(non quattro elementari esercizi perpetrati all’infinito. A volte vorremmo scappare da questo ruolo di educatori, a volte siamo felici di farlo perché lui è diverso dagli altri, non perché più intelligente, ma perché più fortunato ad aver trovato chi crede in lui, lo motiva, lo affianca e lo spinge oltre i suoi limiti. Tutto questo non poteva farlo la scuola?!!!

  6. Mio figlio è passato da una scuola elementare inglese a una media italiana. La prima volta che ho incontrato i prof, si sono lamentati perché “faceva troppe domande”. Dopo qualche mese ha smesso.

    Credo che sia sbagliato generalizzare.
    Credo che ci siano moltissimi prof eccellenti. Credo che siano oberati da una serie di adempimenti burocratici, non tutti sensati. Che gli edifici siano vecchi e inadeguati. Che il tema non sia “intrattenere” gli studenti con effetti speciali, ma sfidarli. Che quando si insegna qualcosa sia indispensabile spiegare a che cosa serve (sì, anche il greco. O la storia medievale), ma non tutti lo fanno. Che le lezioni frontali non siano il modo migliore per trasmettere competenze agli studenti. Che l’effettivo livello di apprendimento andrebbe verificato più spesso, e ben vengano i test Ocse Pisa. Che alcuni libri di testo siano mediocri. Che il focus sia ancora più sull’imparare cose che sull’imparare a imparare. Che il merito non venga premiato a sufficienza. Che il pensiero procedurale venga privilegiato rispetto a quello creativo. Credo che ci siano isole di eccellenza e di resistenza intellettuale e di buona volontà e di passione, e baratri di rassegnata mediocrità. Credo che molte famiglie non collaborino, e che alcuni ragazzi siano arroganti e viziati. Credo che altre famiglie siano sinceramente coinvolte e che molti ragazzi siano ricchi di potenzialità inespresse. E, giuro, non so come se ne viene a capo.

  7. INTELLIGENZE DINAMICHE

    Con i figli alle medie e alle superiori, vivo quello che molti di voi hanno descritto con un senso di rabbia e di impotenza. La speranza e che tra il corpo insegnante logorato dal peso del contenimento di giovani adolescenti, vi sia qualcuno che non spenga la luce d’intelligenza e curiosità che tutti loro biologicamente hanno.
    Nelle lezioni che tengo, cerco oltre alle informazioni nozionistiche di trasmettere la potenza del nostro intelletto di elaborare pensiero e dare un senso a quello che produciamo. Più grande è la difficoltà della sfida che ci poniamo davanti, più gratificante sarà il percorso tortuoso di individuare e tracciare delle soluzioni possibili e originali.
    La qualità degli insegnanti la fanno gli studenti, se riusciamo a provocare in loro un desiderio di andare oltre la mediocrità imperante.

  8. “I ragazzi non sono vasi da riempire ma torce da accendere”. Lo dicevano gli antichi romani e non l’abbiamo ancora capito. La scuola va rivoltata come un calzino. Meno studenti per classe, classi divise per interesse di materia come all’università e corsi di studi liberi dalla fascia di età, meno lavoro a casa e più pratica a scuola, ragazzi e insegnanti inseriti in percorsi permanenti di formazione alla relazione e alla consapevolezza di sè. Investire nella scuola significa far funzionare l’educazione, non solo tirare fuori più soldi per sedi e insegnanti non preparati ad affrontare la relazione con i ragazzi.

  9. Annamaria, quanta verità nel tuo post, non si può che sottoscrivere.
    Vorrei riportare la discussione alla domanda iniziale rispetto ai Laboratori.

    La didattica laboratoriale si incardina sulla metodologia della ricerca, pertanto si progetta, si sperimenta, si ricerca agendo con fantasia e creatività e sulla socializzazione.

    – Il Laboratorio è un luogo fisico e mentale in cui il prodotto (libro, giornale, film, spettacolo, etc.) è MOTIVAZIONE e VERIFICA delle attività progettate
    – é “un’officina di metodo” in cui si utilizzano risorse comunicative (scrittura, brainstorming, ringi sho, posta elettronica, chat con face book, etc.)
    – é un luogo di relazioni non gerarchiche in cui è fondamentale lo scambio di significati e di emozioni tra studenti e docenti.
    – è uno spazio di esplorazione e di creatività, di cesello e di revisione continua del proprio lavoro.

    Ricordo infine che l’adolescenza é una bomba di energia con cui quest’anno, nella terza media del laboratorio che conduco, anche io ho dovuto fare i conti (*_))

    1. Un altro esempio di laboratorio. Mio figlio frequenta la scuola Steiner-Waldorf, anche nota (poco) come steineriana; loro studiano per tre o quattro settimane una delle materie principali (fisica, matematica, grammatica, storia) nelle ore centrali della mattina. In particolare quando tocca a Fisica, la lezione prevede nell’ordine: esperimento in classe, a cui partecipano attivamente i ragazzi, quindi a casa sistemano gli appunti che hanno raccolto nella mattinata, quindi il giorno dopo discutono in classe su cosa hanno fatto, infine e solo dopo tutto ciò, elaborano il testo che descrive l’esperimento nel loro quaderno che diventerà poi il loro libro di testo. Prima fanno, e poi studiano, e non il contrario. Io lo trovo straordinario, ed anche i ragazzi.

  10. Ho letto l’articolo …essendo insegnante condivido perfettamente il ragionamento e le conclusioni … io mi occupo di musica e ritengo che oltre a tutte le altre discipline … ma forse con una maggior pregnanza , potrebbe essere una “cura” se proposta in modo adeguato fin dalla prima infanzia, come succede in moltissimi paesi “Civili”… questa arte stimola alla creatività, all’impegno, alla responsabilità, alla convivenza e al dialogo…. e fa maturare nei giovani fortissime motivazioni ! GRAZIE A TUTTI

  11. Ho letto l’articolo …essendo insegnante condivido perfettamente il ragionamento e le conclusioni … io mi occupo di musica e ritengo che proprio questa materia di studio, oltre a tutte le altre discipline … ma forse con una maggior pregnanza , potrebbe essere una “cura” se proposta in modo adeguato fin dalla prima infanzia, come succede in moltissimi paesi “Civili”… questa arte stimola alla creatività, all’impegno, alla responsabilità, alla convivenza e al dialogo…. e fa maturare nei giovani fortissime motivazioni ! GRAZIE A TUTTI

  12. Come sempre, ho trovato spunti preziosi, …dal mio punto di vista.
    Però non c’è solo la scuola. Noi genitori siamo stati gli unici interlocutori influenti dei bambini, in età prescolare. O abbiamo ceduto le nostre responsabilità alla televisione?
    Non vale anche, per noi genitori, che “I ragazzi non siano vasi da riempire ma torce da accendere”?

  13. La scuola è un posto strano, un po’ come la politica: in entrambe si continua a creder che a controllare la realtà sia il linguaggio preciso e sistematizzato all’eccesso, proprio quello che, invece, dimostra spesso di non saper né contenerla né organizzarla. Ma che, però, regala l’illusione che lo si faccia. Eppure dovrebbe esser più che noto che le organizzazioni complesse, o si reggono su due livelli, quello formale e quello informale, o non si reggono per nulla. Tutto quel che si potrebbe fare è occuparsi più a fondo del problema di come metter in sinergia i due livelli, invece che tentare di subordinar l’uno all’altro, o addirittura di escluder uno dei due. Ma l’ambizione di chi ha l’autorità di normare (attraverso il potere gerarchico o linguistico) è sempre quella di tagliar il nodo di Gordio della complessità, cosa impossibile quando i nodi son tanti e sparsi. E’ per questo che, alternativamente, in questi ultimi due decenni, si è provato a governare questa complessità o con riforme globali o con circolari occasionali, senza mai afferrare i fili che compongono la matassa. Facendo anzi sì che chi la matassa fila tutti i giorni, ci si ritrovi spesso imprigionato, impotente, frustrato, estraniato; e che chi la matassa la governa da fuori, non risolva nulla, né aiuti a risolvere. Le reciproche lagne dei protagonisti, dall’OCDE PISA sino all’ultimo degli sgabelli scolastici, sono il risultato. Se ne può uscire? Certo, ripensando e riscrivendo le vicende della scuola quantomeno a partire dagli anni Sessanta, ma senza pregiudizi. Perché il nodo che riassume tutti gli altri è ancora rappresentato dalla capacità o meno di innescare la dialettica necessaria tra governo esterno e autonomie (istituzionali, dei soggetti, culturali ecc.), non molto diversamente che, ad esempio, all’epoca dei clerici vagantes. Non aiuta il fatto che, nel bene e nel male, la scuola sia il luogo elettivo delle persistenze. Un esempio? Mi è capitato spesso di veder correggere i compiti in rosso, matita o biro non importa: pare che la tradizione derivi da una pratica in uso presso gli scribi egizi.

  14. Gelmini e Moratti non le considero riformatrici, La prima ha tagliato su ordine tremontiano. A caso. La seconda, che aveva l’ambizione di introdurre una riforma di contenuto e di struttura (Bertagna e co) non ce l’ha fatta. Ma nemmeno Luigi Berlinguer ce la fece, e poi anche De Mauro e Fioroni non han combinato gran che. Non parliamoll di Profumo. Come mai? Del resto l’approccio alla scuola come spesa e non come investimento in risorse umane è andato via via crescendo negli anni, dopo il boom degli istituti tecnici negli anni sessanta e settanta il trend è stato questo. A dispetto di tutti gli studi che dimostrano una stretta relazione tra innovazione e livello di scolarità diffuso. Si son persino trascurate le indicazioni della UE, che pure si eran sottoscritte (Cresson, Delors ecc.). Roba più o meno di vent’anni fa.E la stessa UE ha pian piano delegato ai singoli stati, autoriducendosi al silenzio. Nel Trattato di Lisbona alcune parole chiave (educazione, formazione, istruzione) son citate pochissime volte, quattro o cinque su centinaia di pagine. Non credo sia solo opera di una perversa volontà di distruzione civile:

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