un gioco di narrazione

Un gioco di narrazione: inventare personaggi per strada

Questo gioco di narrazione è nato per caso.
Di solito agli appuntamenti arrivo proprio al pelo. Ma qualche tempo fa mi è capitato di avere mezz’ora d’anticipo – tempi calcolati male – e di ritrovarmi a camminare avanti e indietro in un’oscura periferia milanese. Niente da leggere, neanche un bar decente o qualche vetrina da guardare: solo un’infilata di macchine parcheggiate, e mezz’ora di vuoto.
Così, mi sono inventata un gioco di narrazione, giusto per passare il tempo. Ha funzionato e adesso ve lo propongo. Spero che vi piacerà. E spero che vi ricorderete di giocarlo tutte le volte che (capita) vi trovate persi in un mare di auto.

Si tratta di inventare personaggi. Bisogna farlo senza pensarci troppo. Vi bastano le prime due lettere e i primi due numeri di una targa presa a caso, e il colore dell’auto. Definite il personaggio e lasciatevi guidare dallo spirito universale della narrazione.

I due numeri vi danno un’età, da 00 (neonato) a 99 anni. Il colore vi indica il sesso (scuro = M, chiaro = F).
Le due lettere  vi danno le iniziali di un nome e, cosa più importante, le iniziali di un motto, o di una definizione che descrive una caratteristica saliente. Vi servono più parole? Basta replicare le iniziali.
Ora, tutti gli ingredienti necessari alla narrazione sono già nelle vostre mani.

Per esempio, CV 29 è Cesare Viglietta (ma potrebbe essere Camillo Vullo, Claudio Ventura, Carmelo Vitruvio, Charles Vincent o Clive Vanguard …) Il suo motto è Cambio Vita (ma potrebbe essere Cerco Vanamente, Cafone Vigliacco, Calmatevi Voi, Chimica Vertigine o Carico Valigie).
Ci siete? Bene. Adesso, a partire dalle coordinate che avete individuato, non vi resta che inventare, svelti svelti, il personaggio.
Qui sotto, nei commenti, trovate un esempio completo. Spero che vorrete aggiungere i vostri e, magari, le variazioni che vi vengono in mente (ricordatevi di mettere un titolo con le coordinate della targa su cui lavorate, il nome e il motto). Qualsiasi forma di narrazione è benvenuta: scorribande di genere, dal giallo al noir, al rosa, alla fantascienza, al fantasy. E ricordate: la narrazione accorcia il viaggio, allarga l’orizzonte, fluidifica il passare del tempo e libera la fantasia.
SE volete, date un’occhiata agli altri giochi di Nuovoeutile: sono nella sezione Giocate con noi.

21 risposte

  1. VF 43, rosso
    Valentina Franzelli – Volare, forse

    Fa da vent’anni la commessa in un negozio di scarpe del centro, sempre lo stesso. Una vita in ginocchio. In media una volta al giorno le capita un cliente che non sa cosa vuole. Una volta alla settimana uno, o una, da strangolare. Stasera, l’odiosa coppia dell’est, carica di shopper. Quando se ne vanno con tremila e rotti euro di stivali c’è un caos di scatole per terra. Ancora una volta lei si inginocchia per mettere in ordine. Sotto un coperchio trova un pesante orecchino stracarico di grossi Swarovsky multicolori. Grazioso. Se lo infila in tasca.
    Più tardi, a casa, lo guarda meglio. E si accorge che non si tratta di Swarovsky. Conta sette smeraldi grossi come chicchi di caffè, incoronati di diamanti e… granati? Rubini? Forse domani chiamerà il negozio e si darà malata. Forse cercherà un vecchio amico che ha degli amici che… o forse proverà a prenotare il primo volo aereo della sua vita. Sud America, forse. Forse.

  2. Grazie! Se arrivo in anticipo a un appuntamento in una periferia deserta di una città qualsiasi finalmente saprò cosa fare. Ma è utilissimo anche in coda, nel traffico. O per intrattenere figli piccoli (per chi ne ha) durante i noiosi viaggi di trasferimento. O anche per prendere sonno. Forse. O per svegliarsi meglio. Forse.
    In ogni caso, a te e a tutta la redazione grandi ringraziamenti e grandi auguri.

  3. CV 29, blu
    Cecchino Valente – Curriculum Vitae

    Nato 29 anni fa, fa di 29 anni la sintesi: ungarettiano.

  4. Ha superato da poco il decennio “tremendo” 50-60 anni che, così dicono le statistiche, è il più a rischio di malattie mortali. Carlo Vere è quasi arrivato alla pensione, ma arrivato davvero: ancora un paio d’anni di lavoro e poi addio. Al sindacato l’hanno rassicurato, il suo è uno dei pochi casi tranquilli in questo marasma di esodati e di mai-pensionati. Sua moglie grazie a Dio sta bene, lavora ancora e ancora lavorerà dopo il suo pensionamento. I suoi due figli un qualche lavoro ce l’hanno, si faranno una vita, lui non è preoccupato. Quindi ha raggiunto una certa tranquillità e, adesso, ha deciso di “cercare la verità”. Tutta, senza sconti e senza falsi pudori. La verità che non gli hanno mai raccontato, o che lui ha accuratamente evitato di cercare, sulle cose, gli uomini. Anche su Dio, se ne avrà voglia. La verità, tutta quanta, anche se spiacevole, anche se imbarazzante. Cos’ha da perdere? Niente. Per esempio, come andò a finire, veramente, con quel collega di Brindisi transitato per una decina di mesi nell’ufficio dove lavora sua moglie? E’ vero che senza quella raccomandazione segreta di suo padre, lui non sarebbe mai entrato nell’ufficio dove lavora da quasi quarant’anni? E cosa dicono di lui, davvero, i suoi amati figli quando ne parlano coi partner? Carlo Vere entrerà come una pulce nei pensieri e nei ricordi di famigliari e amici, determinato a frugare, a cercare, e a farsi del male…

  5. BX 89, blu
    Bigio Xio – Brilla xilofono

    Italiano nato in Cina o cinese cresciuto in Italia?
    Stava morendo, il Bigio e la resa dei conti sulla sua identità era arrivata mentre stava sdraiato su quel letto d’ospedale, la luce filtrava dalle finestre, la vita sfuggiva via.
    Una vita con le linee di partenza in Oriente la quale, poi, girando verso sinistra lo condusse a Roma, nel Secondo dopoguerra: macerie e i suoi occhi a mandarla che spaventavano.
    Italianizzo il suo nome, scoprì banalmente la pasta, sposò stupidamente una donna, suonò lo xilofono, votò il Signor Craxi alle elezioni.
    Gli brillavano gli occhi. Era la poesia.

  6. VF 43
    Vince Forte – Vigile del Fuoco:
    43 gradini.
    43 maledetti gradini.
    SOLO 43 maledettissimi gradini.
    43 secondi.
    43 secondi maledetti secondi.
    Gli ULTIMI 43 secondi.
    Vince Forte non crede nelle coincidenze.
    Vince Forte tra due giorni non sarà più in servizio, ma oggi e’ qui.
    Vince Forte alza gli occhi al cielo e pensa che oggi, 11 settembre 2001, a 43 anni, sarebbe diventato nonno.

  7. CL 94
    Carlo Linneo 94 anni, Colora la Luce
    Tutti credono che sia morto ad Uppsala nel 1778, ma non è così. Sono vivo e vegeto ancora a 94 anni. Mi ero solo annoiato a ricevere le stesse domande sugli esseri viventi. Non sono solo uno scienziato, ma anche un umano visionario. Dal 1774 ho ingannato tutti fingendo infarti. Nel 1778 ufficialmente deceduto. In realtà, ho solo abbandonato il mio organismo vivente. Colora la Luce e mi vedrai. Buone feste a tutti e grazie per il gioco, Annamaria! 🙂

  8. AI 33

    Andrea Inchino é giovane impegnato in un lavoro che lo porta spesso in giro per il mondo.
    Andrea ha un cruccio antico, da quando é nato: il suo cognome.

    Tutti, dalla scuola elementare ad oggi, gli hanno sempre detto: – Andrea Inchino? Allora fai un inchino –
    Un tormentone. Andrea, ovviamente non faceva alcun inchino, cercava di ignorare sorridendo, ma che alla lunga la battuta rompe un bel po’.

    La scorsa settimana si é recato per lavoro a Tokyo e lì si é aperto un mondo: il mondo degli inchini e dei sorrisi. Non erano inchini servili come nell’immaginario di Andrea per anni quella parola evocava, erano inchini di cortesia.

    Andrea si inchinò, rispondendo alla gentilezza (*_))

  9. BN 94 nero
    Babbo Natale Buon Natale
    Ormai anziano il buon Babbo Natale, di ritorno dalla magica notte, sedeva in una stradina della città vecchia.
    Avvicinandomi mi è sembrato il minimo augurargli -Buon Natale!-
    E lui -Grazie, è la prima volta che ricevo gli auguri, di solito dormono tutti quando passo nelle case-
    Disse commosso.
    Poi mi svelò il segreto che sto per rivelarvi.
    -Pochi lo sanno, ma quando ho finito il mio lungo giro per il mondo intero, torno a casa mia.
    Molti pensano che io abiti nelle fredde terre del nord.
    Ma io ho preferito vivere qui nella tua bella città. Il sole, il mare e tutte le cose buone da mangiare mi hanno convinto.
    Da anni dormo nella basilica che i tuoi concittadini vollero erigere in mio onore. San Nicola di Bari mi chiamano tutti amichevolmente. Pochi ricordano il San Nicolhaus, poi Santa Klaus,quindi Babbo Natale. Ma tu non dirlo a nessuno, chè poi non dormirei più così tranquillo-
    Buon Natale da Bari, ma non ditelo in giro.

  10. CV 29
    Carlo Viracco Chef Value

    CV 29
    Carlo Viracco – Chef Value
    Carlo Viracco si avvicino’ come un pistolero di uno spaghetti-western al tavolo dove il concorrente Pansini aveva posato il piatto da giudicare per essere ammesso a Chef Value.
    – Come si chiama questo piatto?
    Fave e cicoria, rispose pronto Maurizio Pansini senza alterare il proprio accento pugliese.
    Viracco lentamente assaggio’ quella purea giallo verde, facendo bene attenzione, come da copione, a non sfiorare con le labbra i rabbi della forchetta. Poi fisso’ a lungo il Pansini, direttamente negli occhi: era negli occhi dei concorrenti che trovava i difetti del piatto.
    Ma la purea di fave era talmente semplice, talmente buona, talmente ricca di cose povere, da non permettergli di sciorinare le ormai celebri teorie sulla mineralizzazione del piatto, sull’equilibrio acido dei vari componenti o sul giusto tempo di caramellizzazione degli zuccheri.
    Pansini non era un semplice aspirante chef, in quel momento era un giocatore di scacchi che con un paio di pedoni aveva messo in crisi il maestro e si godeva, sornione, quell’attimo di smarrimento.
    Era la canzone fatta con due accordi capace di incantare.
    Era la poesia di tre versi che arriva dritta al cuore.
    Era uno che non aspirava a diventare, perche’ gia’ era.
    Carlo Viracco rimase a lungo a fissare gli occhi di Maurizio Pansini e poi si arrese.
    – Purea di fave – ripete’ con voce bassissima.
    – Buona.

  11. ERRATA CORRIGE

    Ho riadattato alla targa e ridotto all’osso, un mio precedente racconto, circa autobiografico, e a forza di tagliare, ho sbagliato i tagli. Questa è la versione corretta.
    ——–

    MD 50 – Maria Vittoria Degli Incerti

    Maria Vittoria Degli Incerti, era nata a Milano da una famiglia borghese, austera e rigorosa. Aveva studiato al politecnico prima e alla facoltà di fisica poi seguendo le orme del padre e del nonno, fisici e cattedratici di fama.

    In questi giorni natalizi Maria Vittoria, splendida 50enne, ricorda il mitico Natale del 1968.

    “Mi ricordo ancora quel 1968, come fosse ieri. Avevo vissuto dall’alto delle sue spalle di mio padre Giulio e con la mamma Carolina accanto, come in un film, la storia del movimento che aveva cambiato la storia. Una esperienza memorabile!!!
    Avevo solo 5 anni, immersa nella folla festosa e ironica, davanti alla Rinascente in corso Vittorio Emanuele, cantavo anch’io sulle note di bianco Natale il ritornello che mi ha accompagnato per tutta la vita e che è stato uno degli artefici del mio futuro: “Santo Natal…, santa TV…, con tutto questo sprecar… che cazzo c’entra Gesù…” (*_))

  12. LC X -Lou Chan, X secolo .Aneddoto Zen.
    Un novizio domandò al maestro Lou Chan : “Spiegami , ti prego, che cosa devo fare per raggiungere l’illuminazione”.
    “Hai mangiato la tua zuppa?”
    “Si.”
    “Allora, lava la ciotola.”
    Per AnnaMaria, il suo team e lettori tutti : nuovi utili ( e affettuosi ) Auguri!

  13. VE 94, verde pavone
    Vince Egger – Variazioni Erranti

    All’anagrafe Vincenzo, ma per tutti, anche per chi non lo conosceva affatto, era Vince. Vince Egger, un signore dai folti capelli bianchissimi raggruppati a ciocche naturalmente cotonate; la testa, forse un po’ sproporzionata per quelle spalle e l’ossatura dell’insieme. Da giovane dev’esser stato un uomo forte, slanciato su passi sicuri e numerati dai tiri di una Merit, sempre fedele all’angolo sinistro della bocca, larga e scura come una buccia di carruba. Un uomo che di natali ne aveva vissuti, qualcuno maledetto, nella cifra di 94. Metà, trascorsi a camminare. Variazioni erranti di un signore che di mestiere faceva il clarinettista nella banda cittadina. Dismessa la banda cittadina, complice un consiglio comunale armato di accetta e poco orecchio musicale, Vince non ha smesso di camminare. Cammina, Vince Egger, per quelle strade e quell’asfalto incurvato dove un tempo pentagrammi corretti a mano indicavano il senso dei suoi passi. E il clarinetto? Venduto, con un annuncio su un giornale, insieme alla custodia non originale e a tutto il repertorio. Ma può darsi manchi qualche foglio, qualche melodia. Ne sono volate, di melodie, dalla finestra dello sgabuzzino di Vince Egger, che quando era aperta orchestrava piccoli uragani e inghiottiva tutto ciò che era in grado di sentire, di ascoltare. Ma il vecchio Vince? Che fine fa, ogni giorno, il vecchio Vince Egger? Cammina, continua a camminare. Non alla ricerca di, ma in attesa che quella musica popolare, la sua musica, riecheggi ancora fra gli ultimi edifici centenari quasi come lui, ebbri di fuliggine e malinconia, in un paesino dove l’unica discoteca è diventata Villa Serena – Casa di Riposo per Accompagnare con Letizia e Serenità…

  14. DD21 colore bianco
    Donatella Donati – “Dona, deciditi!”
    Si chiama Donatella Donati, è alta, bruna, ventunenne. Una ragazza in gamba, certo, ma con un difetto noto a tutti tanto che, per i suoi genitori prima e per gli amici poi, è “Dona, deciditi!”. Non solo un diminutivo, Dona, ma un’esortazione, spesso un’implorazione, rivolta a quella dolce fanciulla che fin da piccola ecco, diciamo che, proprio non aveva mai le idee chiare sul da farsi. A lei la faccenda non sembrava così grave, anzi, fino ad allora qualcuno che aveva deciso al suo posto c’era sempre stato e quel Dona-deciditi pensava le portasse bene, tanto che a volte lo canticchiava, con la testa tra le nuvole. Anche lo stage nel reparto creativo dell’agenzia di pubblicità dello zio non era stato una sua decisione, ma l’idea di tentare la strada del copywriting, o dell’art direction… boh, non le dispiaceva, forse… E fu proprio intorno a un tavolo dell’open space, durante un brainstorming su una campagna sociale per sostenere la donazione del sangue, che a Donatella improvvisamente si schiarirono le idee e prese la sua prima decisione. “Ce l’ho!”, disse, sottintendendo lo slogan. “Dona. Deciditi!” fu stampato sui manifesti e affisso in tutta la città e Donatella, finalmente, decise cosa avrebbe fatto da grande.

  15. D T 73
    -la Donna senza Tempo (e i suoi germogli)

    Non era possibile spiegare tanto affanno, nè agli estranei nè alle stesse persone a lei vicine.
    Sembrava che veramente tutta la vita fosse una corsa ad ostacoli e non se ne capiva veramente fino in fondo il motivo. Avete presente il Bianconiglio? Si dice che sia stato il suo primo maestro sin da tenera età. Probabilmente un Bianconiglio di cui non conosciamo altro se non l’emblematico motto “presto ch’è tardi! presto ch’è tardi!” ma con gonna rustica, personificazione allegorica dell’insoddisfazione cronica.
    Ovviamente la donna senza tempo non poteva essere da meno del suo maestro di vita, e per tutta risposta, la sua personale interpretazione del motto suddetto rimaneva un semplice “non ho tempo!”.
    Non c’era tempo per niente: non c’era tempo per giocare nella sua infanzia, nè tempo per crescere. Doveva essere già cresciuta aimè alla tenera età di un anno. Non c’era tempo per conoscere nè per insegnare. Vien da se che le persone che da lei dovevano apprendere se non altro l’ardua impresa di vivere, furono lasciate nella più totale solitudine, con forze bambine a sfidare un mondo nonchè un tempo, come la donna senza tempo aveva loro insegnato, tiranno.
    Sembra strano ma la donna senza tempo non aveva tempo nemmeno per le cose più elementari della vita. Non poteva andare in bagno, e questa fu la prima causa della sua stitichezza morale oltre che fisica, nè per mangiare. Ah mangiare! Voi pensate che sia la cosa più semplice e magari anche piacevole del mondo! Ma per la donna senza tempo non era affatto così e ogni pasto si trasformava in un vero e proprio supplizio! “oddio mangia tu al mio posto, che io non ho tempo, ho altro da fare” e per questa come per altre attività della vita, come possiamo immaginare tutt’altro che gratificante, demandava le più elementari quanto vitali funzioni agli altri, mentre lei si affannava a fare sempre qualcosa di diverso. Metteva a lavare i panni ma non aveva tempo per lavare i panni perchè doveva fare il pranzo, che non poteva portare a compimento perchè doveva andare a messa. A messa. Qui a quanto pare, in questo luogo non luogo dell’anima e del corpo, sembrava che tutto si sospendesse e che il tempo si assentasse per un momento, lasciando alla donna senza tempo tutto lo spazio di cui aveva bisogno per il proprio raccoglimento. Che dire, se non fosse esistito questo magico non luogo, proabilmente la donna senza tempo non avrebbe trovato il tempo nemmeno per vivere. Addirittura ci si chiedeva come fosse riuscita a trovare il tempo per nascere, ma questo davvero, oltre il fu Bianconiglio, a noi altri non è dato saperlo. Ci basti sapere che la donna senza tempo era trappola essa stessa e al tempo stesso intrappolata. Era lei la prima artefice del suo stato sempiterno atempistico. Povera donna! Come riuscisse, nonostante tutto, a portare avanti la sua titanica impresa di fare le cose senza farle rimane un mistero. Come rimase un mistero, agli occhi di increduli stranieri, come i frutti del suo non tempo impiegassero così tanto tempo per maturare. E certo! Il tempo non era mai sufficiente, non ce n’era mai abbastanza. Come si può infatti crescere senza tempo? Era una bella incognita, alla quale in pochi seppero dare se non risposte, almeno una soluzione per arginare questa sconfinata mancanza di tempo. E fu così che questi piccoli germogli, acerbi per non si sa quanto tempo, raccolsero tutte le forze che l’universo loro concesse per riuscire, pur senza tempo, a prendere forma e crearsi degli spazi in un tempo deforme. Ognuno a suo modo e maniera sopravvisse a questa perenne carenza mettendo fine a questa apparentemente invincibile tirannia.

  16. AV 00 – nero/verde
    Anno Vecchio -Anno Venturo

    Anno Vecchio era stato davvero un Anno NERO, aveva AZZERATO sogni, speranze e demolito certezze.
    Anno Vecchio non era cattivo, era solamente il risultato di comportamenti umani scellerati.
    Anno Vecchio ad un certo punto sperava davvero che il mondo finisse il 21 dicembre.
    Nonostante tutto Anno Vecchio si era trascinato faticosamente al 31-12 quando, proprio allo scoccare della mezzanotte, un raggio di luce verdissimo attraverso’ i suoi stanchi e tristi occhi che, subito dopo, si chiusero per sempre.
    Anno Vecchio non saprà mai che quella luce VERDE, quella luce abbagliante, non era altro che l’arrivo dell’ Anno Venturo, pieno di incognite ma ricco di sogni e speranze.
    Buon anno a tutti

  17. V V 250
    Varma Varom
    —–
    SORPRESA FINALE
    L’alcova di raso rosa mi attendeva ed io di buon umore mi disponevo all’uopo. Ripensavo alla ”giornata” trascorsa e a quanto mi ero sentita bella.
    Sono Varma Varom e vi condurrò per mano nella “mia giornata” e comprederete fino in fondo la mia felicità.

    E’ stata una giornata fantastica, sublime, soprattutto di caccia grossa. Scusate l’impeto verbale, ma erano secoli che non mi accadeva una fortuna così.
    Ma forse devo cominciare dall’inizio. Per prima cosa devo dire che abito in una residenza tra i boschi da una vita e più. Un posto stupendo del quale dispongo praticamente in modo esclusivo. Sono fortune che capitano ormai ai pochi eletti in via di estinzione. Così appena alzata mi sono guardata intorno e ho girovagato nell’immensa tenuta di mia proprietà. Non esageriamo con proprietà, diciamo di mio uso come affermano le monache che, avendo fatto il voto di povertà, non posseggono niente e quello di cui dispongono è appunto “di mio uso”.
    Io ci abito e basta. Così come ci abitava il mio nonno, il mio bisnonno e tutta la discendenza da mio padre indietro. Mio padre! Un grande signore, ci somigliamo soprattutto nell’incarnato e nel sorriso.

    Dicevo che non c’è mai nessuno nel bosco, invece ieri mattina, no oggi, no ieri notte, no, no …insomma prima di ….“L’alcova di raso rosa mi attendeva ed io di buon umore mi disponevo all’uopo” c’erano molti giovani belli e aitanti. Ora mi è chiaro il piano dei signorotti titolari della tenuta: vogliono di rendere la dimora produttiva dal punto di vista turistico organizzando dei tour a tema. Ottima idea. Perché non sfruttare la storia, la leggenda e quell’aurea di mistero che circonda il sito? Troppo giusto! E’ questa evidentemente la ragione della presenza dei giovani.

    Io ero un po’ discinta, ma non eccessivamente. Senza trucco, ma che bisogno ho io di queste sciocchezze? Certo è che i giovanotti aitanti hanno sgranato gli occhi e io, imbarazzatissima indietreggiando finivo su un rovo.
    Ho lanciato un urlo vedendo il sangue e la vestaglia di raso strappata. Sono accorsi subito i ragazzi per aiutarmi abbandonando i loro canti intorno ad un fuoco scoppiettante che l’oscurità rendeva più magico. Carini, appetitosi… Certo i loro apprezzamenti erano un po’ pesanti.
    Uno di loro in particolare ha osato di più, mi ha trascinato dietro ad un cespuglio e ha cominciato i suoi palpeggiamenti e connessi. Io ho messo in azione i miei occhi parlanti e piano piano l’ho attirato a me e poi… lo immaginate no?!! Che delizia!
    Ma, caro e perspicace lettore devi sapere che mi è accaduto un fatto inusuale: mi sono innamorata del bel giovane e ho “abusato” diciamo così della linfa vitale in modo parziale, q.b. per capirci. Ma subito mi sono rifatta quando sono arrivati gli altri: li ho praticamente seccati. Poi sono fuggita.

    Ora io sono soddisfatta e posso addormentarmi, dopo l’anelato pasto di sangue, prima che il sole mi riduca in cenere. (*_))

  18. DA, 18, nero

    Darhel – “Dare amore”

    Darhel è un nome bellissimo, significa “Dare amore”. Di lui non conoscevo altro.

    Eravamo giovani.

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