Nuovo e utile

Gli esami di riparazione e il baco nascosto

È passato: l’ennesimo figlio con gli esami di riparazione. È uno dei 500.000.
La madre al telefono chiede dettagli dei voti e dei compagni. Nel gruppo seduto ai tavolini del bar in piazza – sole settembrino e flemma del sabato – ci sono altri genitori di adolescenti.
Parte un brindisi rumoroso e improvvisato tra calici di bianco e tazze di caffè. La conversazione, che si stava avvitando tra Siria, governo, papa e Berlusconi, sterza subito, e vengono fuori tre storie vere. Eccole, coi nomi cambiati.

Storia di Gabriele e di Francesco. Francesco frequenta il secondo anno dell’istituto alberghiero. Vuole fare lo chef. Si becca debiti in biologia, francese e matematica. È un bravo ragazzo, i genitori lavorano ma sono fiduciosi che tra giugno e luglio si dia da fare con lo studio. Però lui ha uno strano comportamento evitante e uno sguardo un po’ così.
Sono i primi di agosto e la famiglia sta partendo per le vacanze: il padre, Gabriele, chiede a Francesco se va tutto bene. Si sente rispondere “lascio la scuola”. Il ragazzo ci si è tormentato sopra per due mesi.  Ne ha parlato con gli amici. È così certo di non farcela che non ha neanche provato ad aprire un libro. Andrà a lavorare perché non vuole più pesare sulla famiglia.
“Mi è suonato un gong nella testa” dice Gabriele “a sedici anni non molli: devi lottare”. Vacanze cancellate. Poiché (la famiglia risiede in un paesino) è impossibile trovare, ad agosto, i prof per le ripetizioni, Gabriele – che fa un altro mestiere, ma è un tipo determinato e di talento – prepara un piano di guerra con il figlio: studieranno insieme. “La prima settimana è stata un massacro” dice.
Poi, in pochi giorni, Gabriele fa fuori il libro di biologia, ri-raccontandolo al figlio dalla prima all’ultima pagina. Rispolvera il suo antico francese inventandosi conversazioni. Per matematica, a dare la mano c’è un compagno che fa il liceo scientifico. Risultato: in tre settimane Francesco recupera tre materie. In biologia prende otto. Sette in francese. Ce la fa, al pelo, anche con matematica.

Storia di Fabio e di Marco. Marco frequenta il terzo anno del liceo classico. Si becca un tre in greco e un quattro in latino. Fa i corsi di recupero, ma in realtà ciancica svogliato sui libri per tutto luglio senza cavare un ragno dal buco. Quando non ce la fa cerca online le versioni tradotte e, già che c’è, si spara un paio d’ore su Word of Warcraft.  Se no – tra l’altro, è un buon lettore – fa notte su un romanzo.
Bisogna inventarsi qualcosa: Fabio è un amico di famiglia, bravissimo latinista e potrebbe dare una mano, ma solo negli ultimi dieci giorni di agosto. Dai, dieci giorni non possono bastare a recuperare sul serio un anno di greco e latino del classico…
… eppure bastano: quattro ore intensive di greco al mattino. Tre di latino al pomeriggio. Ogni versione fatta integrando spiegazioni di grammatica, racconti sull’autore e la cultura del tempo, aneddoti. “Non solo era interessante: era divertente. Io passavo di lì e mi mettevo di nascosto ad ascoltare”, dice la madre di Marco. Il quale ce la fa con un sette  latino e un sette in greco.

Storia di Elena e di Margherita.  Margherita frequenta il penultimo anno del liceo linguistico con indirizzo giuridico. È curiosa, ha interessi eclettici. Si becca un debito in economia.
La madre è una giornalista economica: rilegge i testi insieme a lei. “La tua spiegazione la capisco” dice Margherita alla madre “ma il libro non può voler dire una cosa così semplice. Guarda qui com’è complicato”.  Invece è semplice e Margherita recupera perfettamente economia.

Tutto è bene quel che finisce bene? Sì e no. Da qualche parte nel sistema ci dev’essere un baco. Una voragine di tempo perso e di occasioni sprecate. Troppo facile dar la colpa ai ragazzi (svogliati! Distratti! Viziati!), o ai professori (demotivati! Demotivanti!) o alle famiglie (assenti! Indulgenti!), perfino ai libri di testo (costosi! Inutili! Astrusi!) o al problema – comunque rilevantissimo – degli investimenti.
Intanto il baco resta lì, in agguato, nascosto in qualche interstizio dell’anno che sta cominciando, pronto a rosicchiare altro tempo e altre occasioni. Bisognerebbe stanarlo. Magari, dargli un nome.
Qualcuno dice che si chiama “noia”. Qualcun altro, che si tratta di assenza di senso. Già, ma da che cosa derivano la noia e l’assenza di senso? Vorrei rimandarvi alla sintesi delle indicazioni Ocse-Pisa pubblicata qualche tempo fa su NeU.

La mia sensazione è che l’intero sistema sia bloccato da logiche procedurali e burocratiche che trascurano gli obiettivi a favore degli adempimenti. E voi, che ne pensate?

Una versione più breve di questo post è uscita anche su Internazionale.it

10 risposte

  1. Ho due figli nelle scuole elementari olandesi ed e’ veramente un altro mondo.

    Premetto che nei Paesi Bassi ci sono arrivata con una borsa di studio Erasmus e che già allora, (1990-1991) era che nelle università olandesi si insegnasse un po’ imboccando con il cucchiaino, mentre laurearsi in Italia era davvero una questione di survival of the fittest, dove il fittest non necessariamente era il più talentuoso o il più dotato, ma quello che sapeva gestire meglio il sistema. Intanto pero il divario tra iscritti e laureati era molto minore che da noi, che i laureati escono con competenze spendibili nel mondo del lavoro e che il discorso continuous education funziona anche a livello culturale, nel senso che non e’ mai troppo tardi per cambiar strada e spesso mi ritrovo ultraquarantenni che si reiscrivono all’ università perché nel frattempo col senno di poi hanno capito quali sono i loro punti di forza da valorizzare e le loro passioni. E si iscrivono come studenti part-time intanto che mandano avanti un lavoro e una famiglia,. e sapendo, per esempio, che ci metteranno il doppio del tempo a laurearsi, quindi 7-8 anni invece di 3 o 4. Sembra funzionare, anche se un licenziamento dopo i 50 anni e’ un dramma anche qui.
    La scuola olandese offre infinite possibilità nel senso descritto dall’ articolo, anche se i suoi bachi vanno trovati nel desiderio di omologazione e scarsa attenzione o incapacità di gestire i talenti e le persone out of the box. Ma almeno tentano di creargli un box apposta.
    Poi magari per i percorsi post-lauream trovi un gran quantitativo di ricercatori italiani presso le università o gli istituti di ricerca olandesi che emergono grazie al background teorico e il fatto che per essere arrivati fin li, evidentemente erano della razza dei fittest.
    Ma resta sempre interessante comparare situazioni diverse.

  2. Storia di Davide.
    Nel 1986, a 16 anni, lascia la scuola.
    Vuole essere libero da compiti ed interrogazioni.
    Vuole essere utile e non pesare ancora sulla famiglia.
    Ha tante idee, sogni e nessuna paura, può contare sulla propria voglia di fare.
    A Davide piace la meccanica, ma quel fresco diploma di riparatore auto che stringe tra le mani non coincide più con i suoi sogni.
    La decisione è presa e, due settimane dopo il termine della scuola, trova lavoro come operaio in una piccola officina meccanica; è un lavoro faticoso ma, tra morchie e polveri di ghisa, Davide coltiva ancora i suoi sogni.
    Dopo quattro anni l’officina però chiude …
    E’ il 1990, Davide ha 20 anni ed ha ben chiaro un concetto: se vuoi raggiungere i tuoi sogni non devi mollare ma devi lottare.
    Ecco un nuovo lavoro, alcuni mesi a tempo determinato a controllare pezzi meccanici:
    un piccolo passo avanti.
    Passano i mesi ed arriva la conferma: tempo indeterminato.
    Nel frattempo: ecco il primo corso di formazione personale, autofinanziato e molto costoso …
    Poi: le scuole serali ! Otto ore di lavoro di giorno e quattro di studio ogni sera e il sabato mattina. Un investimento di due anni per ottenere quel pezzo di carta che adesso potrebbe offrire nuove opportunità.
    Ed è così ! Un Diploma che, a 25 anni, apre le porte ad una nuova strada. Una strada piena di salite, di discese, di curve, di studio serale/notturno … ma anche di soddisfazione.
    Forse anche quella scelta di Davide, così come quella di tanti come lui, è stata causata da quel baco, ma sicuramente non dalla noia.
    Oggi Davide cammina ancora su quella strada, vuole crescere ed imparare ancora ed è convinto che dietro ogni scelta ci sia una nuova opportunità.
    Davide ha ancora molta strada da percorrere ed una storia da raccontare ai figli: c’era una volta un baco …

  3. Figlia di maestra. Leggo storie molto vicine alla mia. Bocciata in terzo superiore perchè annoiata dalla vita scolastica, leggevo di tutto tranne ciò che era previsto dal corso di studi. Ho finito il liceo scientifico trascinandomi un po’. Poi, per fortuna, è arrivata l’università. A Bari, in lingue. Là, l’esser un soggetto “deragliante” tra libri ‘imposti’ e non… mi ha permesso di essere sempre trasversale e di scrivere una tesi sperimentale usufruendo ben poco delle bibliografie del corso di laurea. Tuttavia quel titolo di studio non ha fortificato l’interazione tra “mente” e “braccia”, indispensabile a creare competenze utili a inserirsi in un contesto lavorativo. Motivo per il quale, ancora una volta, sospesi lo studio a due esami dalla laurea. In seguito è arrivata un’altra ondata di motivazione per fortuna(autoprodotta), la voglia di continuare a credere nello studio, investendo nella laurea magistrale, che inizierò a breve.
    Il baco sembra difficile da individuare in fattori diversi da insegnanti, libri,… Credo tutto faccia brodo. La formazione degli insegnanti, gli strumenti per l’apprendimento a disposizione,… Certo, vien da pensare forse stia solo a noi trovare lo slancio di cui abbiamo bisogno. Questi anni così conflittuali con lo studio, sono stati molto influenti sulla voglia di continuare a studiare e sul desiderio di lavorare, magari, facendo ricerca. (Sperando abbiano voglia di farcelo fare. Qui, in Italia. Lo dico da sorella e cognata di ricercatori ormai stabilitisi in Olanda o Stati Uniti).
    Nel mio piccolo, l’unica arma che ho contro il silenzioso baco è invogliare (coetanei e non) allo studio, anzi … alla curiosità. E’ un motore inesauribile. Cercare di far pensare al lavoro non come puro introito; bensì al lavoro come attività, qualcosa che sia sempre in fieri. Questo è il lavoro che vorrei. Ed è forse questo che potrebbe farci guardare in avanti. Stimolare gli studenti non ad uno stockpiling di informazioni, ma a recuperare informazioni che interagiscono tra loro.
    La conoscenza può salvarci.
    P.S. : grazie per la ricchezza di questo sito. Seppur i tanti link mi facciano emigrare, torno puntualmente a questo indirizzo.
    V.

  4. Da addetto ai lavori e studioso provo a suggerire non una ricetta, non una disgnosi, men che meno una soluzione, ma un’impressione generale: credo che sia l’ambiente.

    Ho l’impressione che il tempo dello studio e specialmente della riflessione, incluso il tempo di trovare il coraggio di interessarsi e applicarsi a qualcosa, sia divorato dall’eccesso di carico cognitivo: tv, internet, svaghi.

    la mente umana è elastica ma anche un elastico se esposto al sole o a sollecitazioni ripetute si imporrisce e spezza.

    il carico cognitivo e informazionale cui è sottoposto un dodicenne oggi è mille volte tanto quello a cui era sottoposto un dodicenne della mia generazione (classe 72) che pure è stata sottoposta alla TV – ma solo a partire guarda caso dai 6 anni in poi. quelli crucialissimi per lo sviluppo. la tv a colori e abbastanza grande per conquistare l’attenzione è entrata in casa mia nel 1978!

    questo non è indolore. e se pensiamo che negli anni ’50 la situazione era di ben altra fattura… è facile farsi due conti.

    da anni sostengo che una bocciatura dell’allievo serve a poco. assai meglio immagino sarebbe: “bocciare” la famiglia o almeno un genitore. se obbligassimo padre e figlio o madre e figlio ripetente a un soggiorno di due mesi estivi forzato senza tv e di studio/relax/vita in natura, penso che guadagneremmo molto.

    la vera ricchezza è il tempo ed è anche vero che dopo esserti giocato le ferie come genitore perlomeno poi presti un po’ di attenzione qualificata alla carriera scolastica dei figli.

    anche se non è del tutto colpa delle famiglie, mi trovo spesso a scoprire come i figli di famiglie consapevoli hanno sempre un buon 30% in più di possibilitò di superare gli impasse scolastici. qualcosa vorrà dire?!?

  5. Ho letto, mi sono identificata percorrendo la storia scolastica di mio figlio (3 anni di liceo linguistico, 3 anni rimandato senza conseguenze positive: responsabilità, maturazione, maggiore preparazione, ecc…) E ho pianto … E’ la noia il baco che abbruttisce insegnanti e studenti. Il “senso= lo cercano altrove, tutti … mentre noi genitori, persino i fratelli maggiori, lottiamo per far intravvedere al figlio questa strada, difendendo la scuola dove ancora si può intravvederla – la strada-, sperimentarla, affrontarla anche con lo zaino vuoto. I nostri ragazzi sono una specie di “eroi”, con armi sbagliate ad affrontare il nemico che bene non vedono spaendo che c’è! Grazie per la possibilità di parlarne: vorrei poterlo fare con i docenti di mio figlio e con gli altri adulti. Marina

  6. Per imparare davvero qualcosa ci vogliono tre condizioni:
    1)coinvolgimento emotivo,
    2)coinvolgimento sociale,
    3)insegnare quanto si è appreso.
    Punto 1: se la cosa, qualsiasi cosa, dalla matematica, al cinese, alla cucina, alla scienza delle costruzioni…, non ci coinvolge emotivamente ed affettivamente, non stiamo realmente imparando, stiamo solo riempiendo, a forza, un buco nel cervello che si svuoterà appena possibile. Un esempio fantastico della forza del coinvolgimento emotivo è il film The Millionaire.
    Punto 2: condividere socialmente la nostra passione di studio, poterne discutere con chi sa e ama, quanto e più di noi l’oggetto della nostra passione, moltiplica l’apprendimento, velocità e profondità, per un fattore mille.
    Il gruppo è SEMPRE una risorsa, maggiore e migliore, rispetto al singolo individuo. La cooperazione è SEMPRE migliore della competizione, sotto TUTTI i punti di vista, sia per i risultati immediati che per quelli a lungo termine, sia nella didattica che nel lavoro. Perché tutti vogliono convincerci del contrario?
    Punto 3:
    la mente ci gioca spesso brutti scherzi, a volte crediamo di aver capito, altre volte ci sembra di non aver capito. Solo quando insegniamo, quando ci sottoponiamo al fuoco di fila delle domande ingenue dei neofiti, capiamo veramente quali sono le nostre lacune e i nostri punti di forza. Insegnare è il feedback indispensabile per completare la nostra conoscenza.
    Esiste in Italia una scuola che ha messo insieme tutte queste cose? Si, è la scuola di Barbiana. Rileggere con umiltà “Lettera ad una professoressa” potrebbe illuminare molte persone, dal ministro, ai professori, fino ai genitori.
    Ma chi vorrebbe veramente una scuola così poco gestibile e burocratizzabile, che possa formare dei cittadini realmente colti, consapevoli, critici e responsabili?
    E’ molto più facile tranquillizzare la propria coscienza misurando l’apprendimento con le prove invalsi, prove scritte, certe, chiuse nel loro metodo perfetto e “scientifico” che ci dicono quanto del nostro insegnamento, frontale, inculcato, odiato e cristallizzato sia, nonostante tanta violenza, sopravvissuto nella mente degli allievi.

  7. Quoto Riccardo.
    Per quanto riguardo il baco, dopo lunga e attenta analisi di una serie infinita di eventi, tra cui 3 esami di riparazione la settimana scorsa, che come genitore di due adolescenti mi hanno sfinito, sono arrivata alla seguente conclusione: il baco è una condizione che è trasversale a qualunque attività che implichi una capacità dei ragazzi di agire con senso del dovere. Gli adolescenti sono evidentemente programmati per fare il meno possibile. Quando possono evitano qualunque tipo di fatica. QUALUNQUE. Tutto qui.
    La storia di mio figlio è la fotocopia di Francesco. Solo che questa estate ha tenuto in scacco tre famiglie, noi (genitori e l’altro fratello, la nonna e la zia + un’insegnante in pensione amica di mia suocera. Risultato. un’estate d’inferno per riuscire a strappare (ma solo le ultime tre settimane in Agosto) tre ore di studio al giorno e non di più per prepararsi in Latino, Inglese, Francese al Liceo Internazionale (praticamnete uno Scientifico con in più latino e francese e diritto). I voti sono stati 7,6,7. E una decisione tribolatissima maturata da luglio a settembre. Cambiare corso di studi, cmq fosse andata… E infatti sono riuscita a iscriverlo solo questo martedì, il giorno stesso dell’inizio della scuola: All’Istituto Tecnico per le Biotecnologie sanitarie e Ambientali, visto che a lui piacciono le scienze e in questa scuola c’è di tutto, dalla fisica alla Meccanica, alla Chimica alle Scienze Naturali e alla Biologia. Speriamo che sia la strada giusta! Lui sembra convinto… La differenza è che prima aveva tutto in un liceo solo, adesso oltre al Tecnico studiarà francese nel pomeriggio all’Istituto Francese. Chi la dura la vince! Infatti il primo giorno di scuola era come se lo fosse anche per me. Con tutto il mazzo che mi sono fatta!!

  8. Quando chi da lezioni private rimane sempre sconosciuto ! Io penso che le storie non testimonino solo della caparbieta’ degli studenti ma di quella degli insegnanti privati che, sotto la stretta del tempo, sono riusciti ad inculcare piu’ forza di volonta’ ed energia nei loro discenti.

  9. Per me il baco è la motivazione. Io sono stato fortunato i miei figli hanno capito che per entrare nell’ascensore sociale bisogna avere nello zaino un bel po’ di conoscenze e che niente gli è dovuto. Molte famiglie dovrebbero alzare la mangiatoia ed evitare che i figli vi si sguazzino dentro. Inoltre bisognerebbe trovare il modo di far diventare le scuole come delle chiese dove la famiglia intera possa di tanto in tanto entrare e cibarsi di conoscenza, si potrebbe iniziare a spettocalarizzare la scuola, spostare un po’ di soldi dai soliti media a queste culle di conoscenza potrebbe far del bene a tutta la comunità.

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