Che significa giocare? Che cos’è un gioco? Perché giochiamo? Sembrano domande semplici ma basta provare a rispondere per capire che non lo sono. Giganti come Kant, Wittgenstein e Freud si sono scornati col concetto di gioco senza venirne veramente a capo. Non aiuta nemmeno il sapere in pillole di Wikipedia, che dice: per gioco si intende un’attività di intrattenimento volontaria e intrinsecamente motivata, svolta da adulti, bambini, o animali, a scopo ricreativo. Cioè: un gioco è ciò che facciamo quando giochiamo.
LA COMPONENTE CULTURALE DEL GIOCARE. Johan Huizinga, antropologo, nel ‘37 pubblica Homo Ludens e definisce il gioco come «fondamento di ogni cultura e di ogni organizzazione sociale». Sta di fatto che giocare sviluppa l’intelligenza e la creatività e aiuta l’adattamento: tutti gli animali superiori giocano e, a guardarli, sembrano condividere con noi umani le regole di base del giocare. Ma guardate qui: giocano anche i coccodrilli e le tartarughe, giocano i pesci, i polpi e perfino le vespe.
SVILUPPARE LA SOCIALITÀ. E guardate come giocano i bonobo che vivono nella foresta del Congo. Sono, insieme agli scimpanzé, i nostri cugini più vicini, ma mentre la società degli scimpanzé è dominata dai maschi e aggressiva, quella dei bonobo è dominata dalle femmine, ed è fondata sulla sessualità e sul gioco inteso come strumento per rafforzare i legami sociali e accrescere la tolleranza e la fiducia reciproca.
ESPLORARE POSSIBILITÀ. Con l’avvento dei computer cambia qualcosa? Niente e tutto. I giochi si evolvono tecnologicamente e diventano fotorealistici (guardate com’è cambiata la grafica dei videogiochi tra il 1958 e il 2016) ma le funzioni di base restano identiche, anche quando i giochi ci proiettano in altri mondi. Dà una bella definizione di gioco Will Wright, il papà del popolarissimo The Sims, secondo cui i giochi sono «spazi di possibilità».
APPRENDERE GIOCANDO. I bambini all’asilo e a scuola dovrebbero poter giocare. L’importanza del gioco per lo sviluppo sano e l’apprendimento dei bambini è stata documentata al di là di ogni dubbio, scrivono gli studiosi dell’Alliance for Childhood. Eppure il gioco sta rapidamente sparendo dai nidi d’infanzia e dalla scuola primaria. Nella scuola primaria americana (e, temo, non solo lì) non c’è letteralmente tempo per giocare: gli insegnanti dicono che il curriculum non prevede il gioco, e molte amministrazioni scolastiche non lo valorizzano.
IMPARARE A DECIDERE. I giochi servono anche per imparare a decidere: lo intuisce John Nash che, oltre a conquistarci le ragazze, sviluppando la teoria dei giochi vince un Nobel: in questa intervista, ci dice che la sua Teoria dei giochi è applicata anche al di fuori dell’economia. Per esempio nei giochi di intrattenimento, nelle esercitazioni tattiche e nei giochi di strategia, i wargame come gli scacchi e il Go.
E forse proprio la variante bellica della teoria, i wargame (ve lo ricordate il film?) ha fatto venire in mente a Jane McGonigal, game designer che sembra a sua volta uscita da un videogioco, l’idea che proprio i giochi potrebbero «fare un mondo migliore».
Articolo aggiornato nell’agosto 2016.
Un gioco è lo stimolo per usare la creatività.