Nuovo e utile

Il senso del PIL e i dati danzanti di Hans Rosling

Questa mappa vi dà una visione di sintesi della distribuzione mondiale del Pil: (Prodotto Interno Lordo, in inglese GDP). È  un indice macroeconomico ma non interessa solo gli economisti. Misura il valore dei beni e dei servizi prodotti da un paese, ed è ritenuto il miglior indicatore del benessere: in sostanza, più alto è il PIL, meglio sarebbe. Ma le cose non funzionano proprio così. Qual è, in realtà, il senso del Pil?
Nella pratica, come scrive Giorgio Ruffolo, il Pil è… un PIRL, perché valorizza la produzione di qualsiasi cosa: comprese armi, carceri, spazzatura: con il tempo, scrive Ruffolo, il Pil si è svalutato: ha mostrato le sue lacune e i legacci rozzi che tenevano insieme i suoi pezzi. È inutile ripercorrere se non per memoria la lista dei suoi vizi. La pretesa di dare un qualunque significato positivo a un accumulo di beni e di mali. L’ assurdità di lasciar fuori del conto tanta parte del lavoro e della ricchezza che non possono essere conteggiati in moneta. La pretestuosità con la quale si conteggiano come beni gli stipendi pagati ai pubblici impiegati. E tante altre manifeste incongruità. Tanto da far dire a un grande economista, Oscar Morgenstern, che il Pil è la misura più stupida inventata dagli economisti. Oppure una trappola ideologica, come dicono Monni e Spaventa in questa bella intervista radiofonica.
Tutto questo con la creatività c’entra molto. Nel Pil  è implicita l’idea del produrre sempre di più, a qualsiasi costo. Ma per immaginare altre possibilità bisogna trovare indicatori alternativi.
Infine: cercando dati in rete per questo post sono incappata in due regali meravigliosi: la Ted conference di Hans Rosling “Le migliori statistiche mai viste”. Non perdetevela, è lluminante per tutti (sottotitoli in italiano).  E (guardatelo dopo la conferenza) il sito di Rosling, Gapminder.

13 risposte

  1. Per me si apre un mondo nuovo, o quasi. Trovo veramente sorprendente la potenza esplicativa che questo modo di parlare/vedere numeri è in grado di sprigionare. Mi prendo un po’ di tempo per cercare di spazzare via preconcetti, che è già un gran bel punto di partenza per non essere surclassati dagli scimpanzè 😉 Ilaria

  2. commento a margine: resto sempre incantata, con le Ted Conference, dall’abilità, dalla freschezza, dalla naturalezza e dall’efficacia dei vari oratori. Che meravigliosa opportunità poterle guardare e ascoltare. Valeria

  3. Gli indicatori e gli scenari a cui si legano. Nulla posso dire a proposito del PIL. Ma la danza degli indicatori mi fa pensare alla storia, materia poco conosciuta, studiata male e insegnata peggio, e alla didattica, terreno credo privilegiato di una sperimentazione seria di nuovo e di utile a tutti i livelli. Le possibili associazioni sono infinite: il PIL nella storia, la storia del PIL come oggetto di cultura materiale, gli indicatori numerici in rapporto al mondo delle idee e il loro successo nei vari periodi storici, l’etica della storia e la storia dell’etica attraverso i numeri e le loro rappresentazioni grafiche. Ciò che contengono e ciò che possono comunicare. Verità e manipolazione. Questo non è un post, è il programma di un corso di studi. E’ bellissimo. elisabetta

  4. Decolonizzare l’immaginario e diseconomizzare le menti. Da dove si parte? Dal basso o dall’alto? Forse dal fianco… C’entra moltissimo con la creatività, con la costante ricerca di strumenti adatti a fare, cambiare e innovare. Il progetto OASI non sarà l’unico o il più completo o il più funzionale ma al momento probabilmente il più interessante. Se non altro a porre le questioni e a organizzare il pensiero. Il fatto che sia una ricerca universitaria mi fa pensare ad una partenza dal fianco. Non esattamente dall’apice, dalla politica insomma, non proprio dal basso dell’opinione pubblica ma dal “mezzo” dell’istruzione di formazione. Un segnale molto positivo per costruire quella rete di connessioni per poter andare avanti…

  5. @ Eli mentre scrivevo il mio piccolo commento nel quale avevo colto con soddisfazione l’ambito universitario come fuoco di Prometeo ecco che spunti con un programma dedicato! 😉 Non male davvero, io mi iscrivo…

  6. Faccio una precisazione: quando definisco il post un programma di studi mi riferisco a quello di Annamaria, non al mio commento. Se qualcuno organizza un corso mi iscrivo anch’io…

  7. Oh sì. Infatti mi è piaciuto sottolineare la contemporaneità del mio post con il tuo, l’associazione alla medesima area di intervento e la tua focalizzazione del programma al “corso” di NEU che non avevo ben identificato 😉 Da seguire non di fretta o a singhiozzo come i miei interventi; iscrizione e frequenza obbligatoria o quantomeno raccomandata!

  8. Vorrei fare una precisazione a proposito del PIL, punto di partenza di questo post di NeU. Il PIL non nasce come indicatore del benessere di un paese (che ha una forte connotazione qualitativa), bensì come misura fondamentale della sua attività economica (senza alcuna connotazione qualitativa). E’ una cosa molto diversa. PIL=ricchezza=benessere è un’equazione errata, in buona parte frutto della distorsione operata dall’approssimazione dei giornali. Il PIL è uno strumento di lavoro per gli economisti, e solo per loro. Questo non vuol dire che non sia più che benvenuta l’elaborazione di indici alternativi per misurare non tanto l’attività economica quanto la felicità, il benessere, il grado di evoluzione socio-culturale eccetera. Indici che senz’altro andrebbero presi in considerazione nell’elaborazione delle politiche economiche che guideranno un paese. Ma vi prego: non demonizziamo il PIL, che resta una misura descrittiva di un preciso aspetto della realtà. Valeria

  9. Sono d’accordo con te Valeria, il PIL non va demonizzato ma ricollocato. Al di là del titolo provocatorio KILL PIL mi pare vi stia la necessità di smitizzarlo. Se le politiche macro economiche si fonderanno solo su quello come dato certo, e ne conosciamo già da decenni i limiti, significa che la complessità non è riducibile unicamente a quel rapporto e il fatto di non disporre di altri strumenti o di non riuscire ad affiancarli non ne giustifica l’uso univoco e risolutivo. Fermo restando, appunto, la descrizione puntuale ed anche efficace di un preciso aspetto della realtà. Laura Bonaguro (da Safari che non esegue il log)

  10. GRAZIE A… Valeria per la precisazione. E sì, alla luce di quanto lei dice anche il titolo di questa homepage può apparire fuorviante e approssimativo. Di fatto, però, succede che il PIL venga usato come, diciamo così, “termometro” delle condizioni di un Paese. Lo scrive benissimo anche Ruffolo: nel PIL in sé non c’è niente che non va. Il PIL ha i suoi meriti, ma va depilizzato: è ovvio che un po’ di febbre può avere mille significati, più o meno gravi, ma sta di fatto che quando abbiamo la febbre ci preoccupiamo. In sostanza, quel che mi preme segnalare è che il PIL è oggi, mi pare, l’unico indice macroeconomico che anche i non specialisti usano e osservano. E che, di conseguenza, riesce fin troppo facile appendere al PIL e ai suoi andamenti anche le prospettive di futuro che dovrebbero appendersi altrove. E qui sta il punto: dove? Alla radice di tutta questa chiacchierata c’è un altro fatto che, secondo me, dovremmo considerare. E si tratta di un fatto che riguarda da vicino le nostre prospettive creative. Come diceva Einstein, “E’ la teoria a decidere che cosa dobbiamo osservare”. Se non abbiamo una mappa teorica che ci aiuti a mettere ordine tra i fatti e i dati, non riusciamo a capire niente dei fatti e dei dati, e non riusciamo a progettare. Quale mappa teorica alternativa al PIL e condivisa ci daremo? Su quali valori sarà costruita? Su quali presupposti? Per progettare quale sviluppo? Per risolvere quali problemi?

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