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Due storie vere di incontri improbabili

Questa volta vi racconto due storie: parlano di incontri improbabili e conversazioni impossibili e della voglia di superare le barriere linguistiche. La prima ha il dettaglio luminoso di certi ricordi d’infanzia e mi riguarda.

È l’inverno del 1961. Ho sette anni e, con i miei genitori, mi sono infilata all’alba in un pullman odoroso di fiati, ascelle e arance per la Grande Avventura Domenicale: si va a sciare.
A quei tempi “andare a sciare” vuol dire sci di legno. Scarponi di cuoio che si inzuppano. Calzoni elasticizzati che scendono, tirano e non scaldano. Grossi maglioni a trecce, che ingolfano e non scaldano. Guanti di lana che non scaldano, si inzuppano e poi ghiacciano: già, quella domenica il cielo è livido, fa un freddo boia e si è alzata un’aria cattiva che taglia la faccia. Giacche a vento: non pervenute.
In realtà, nessuno di noi ha la più pallida idea di come si fa a sciare. Così, dopo tre ore di strada e appena mezz’ora di frustranti scivoloni sul campetto dei bambini, l’intera famiglia se ne va scornata a ripararsi in baita, l’unica che c’è. La ressa è bestiale. Mi cola il naso, ho freddo, ho sonno e lacrimoni mi scendono giù per la faccia, silenziosi: i bambini degli anni Cinquanta piangono senza disturbare.
Una coppia di mezza età ha conquistato un angolo di tavolo. Si intenerisce e si stringe per farmi un po’ di posto sulla panca. Ne approfitta l’intera famiglia e i due non fanno una piega. Sono tedeschi, mi allungano un pezzo di torta.
Nel giro di cinque minuti parte uno scambio internazionale di panini, arance, cioccolato, caramelle, sorrisi e pacche sulle spalle. Sembra Natale. La coppia parla tedesco e inglese, i miei masticano solo un po’ di francese. Le poche parole tedesche che ricordano dal tempo di guerra, allora non così lontano, non sono certo adatte all’occasione. Dunque, non c’è verso di andare oltre il linguaggio dei gesti.
Ma poi mio padre se ne esce con un latine loqui possumus: da ragazzo si è fatto un paio d’anni di ginnasio e, soprattutto, è stato chierichetto ai tempi in cui le funzioni erano in latino e il prete ti bacchettava se sbagliavi. Tombola: quell’altro, il latino, lo insegna.
Continuano a parlare, e vanno avanti traducendo per le mogli, e non finiscono più mentre io, sazia di dolci, testa sul tavolo, mi addormento. Non riesco a immaginare in che razza di slang latino abbiano chiacchierato, ma di fatto ci sono riusciti. Mio padre oggi ha novantadue anni e si ricorda ancora di quella conversazione.

La seconda storia mi è stata raccontata poco tempo fa.
In Italia, dove vive da dieci anni, tutto lo chiamano Orso. È un omone rumeno di centotrenta chili, possente come un orso vero e gentile come gli orsi dei cartoni animati. Sua figlia Claudia ha vent’anni. Parla bene rumeno, italiano e spagnolo e vuole trasferirsi a Londra per migliorare l’inglese. Così, tra web e reti di amici, si trova un lavoro in un caffè-ristorante. Orso, da bravo papà, parte con lei: l’aiuterà a sistemarsi e controllerà che tutto sia a posto.
Atterrano a Heathrow con quattro pesanti valigie, si fiondano al caffè-ristorante e dopo mezz’ora Claudia si sta già dando da fare dietro il bancone e ne avrà fino a sera. Orso si ritrova solo, in mezzo alla strada, con quattro valigie, nel centro di Londra. Non sa mezza parola d’inglese. Non sa dove andare.
Cammina a caso trascinandosi le valigie. Sosta per l’ennesima volta. È davanti a un negozio di ferramenta. Il proprietario è un indiano “un omino piccolissimo, mi arrivava qui” dice Orso, facendosi un segno poco sopra lo sterno.
Succede che il gigantesco rumeno e il minuscolo indiano riescano a capirsi nel bel mezzo di Londra ricorrendo al tedesco smozzicato dei migranti, quello che entrambi hanno imparato in una vita precedente, da giovani, lavorando in Germania.
L’indiano si offre di tenere nel suo negozio le valigie mentre Orso va a cercare una buona stanza e gli dà indicazioni per trovarla. Quella sera e le successive, poiché la stanza c’è ma non è disponibile subito, l’indiano ospita Orso e Claudia a casa propria. Quando lavorava in Germania gli è capitato di dormire sotto i ponti e ha giurato a se stesso che, se mai avesse avuto occasione di dare una mano a qualcuno che fosse in difficoltà in un paese straniero, l’avrebbe fatto.
E così è stato.

L’immagine che illustra questa pagina è un’opera di Keith Haring
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24 risposte

  1. Buongiorno Annamaria,
    seguo sempre il suo blog (lo seguo da qualche mese, per la precisione da quando ho avuto modo di ascoltarla ad una serata sulla Creatività alla Fondazione Corriere).
    Desidero ringraziarla per ciò che scrive e comunica. Grazie di cuore!
    E grazie per queste due belle storie di questo post.
    Scaldano il cuore.
    Auguri!
    Barbara

  2. Il tuo blog è uno dei gioielli del web.
    Grazie per le storie di oggi, ma anche per gli importanti spunti di riflessione e studio che ci fornisci durante tutto l’anno.
    Buone feste, dal cuore!

  3. Ogni tanto ci vuole una bella storia per rompere quella crosta di cinismo che ci ricopre a liberare qualche emozione. Auguri.

  4. trascrivo un brano tratto da Imparare sbagliare vivere – edit. Franco Angeli La “cura” è una potenzialità comune agli esseri umani eppure non scontata nel suo farsi…una capacità che attraversa e mette in discussione il campo dell’etica e degli affetti, dell’economia e del welfare, dei saperi esperti e di quelli quotidiani. Non è cioè un sapere che fiorisce da sé, né si esaurisce nell’immanenza del “privato”. Occupa piuttosto, e più precisamente, quella preziosa e difficile terra di nessuno che intercorre tra la singolarità dei bisogni individuali e l’organizzazione sociale. Una terra che o si semina o inaridisce (Lorenza Zanuso)

  5. Tra i tanti linguaggi possibili, credo che ormai adoperiamo poco quello che una delle nostre migliori qualità ci consente: l’umanità. E’ questo il linguaggio analogico che ho percepito dalle tue storie che, seppur vere, oggi sembrano fantastiche. Grazie.
    Auguri anche a te.

  6. Belle storie di solidarietà, concetto sconosciuto a molti che oggi inorridiscono davanti allo straniero e riescono solo a disprezzarlo. Grazie un augurio grande.

  7. Bellissimo racconto-
    Il valore del latino poi sembra sempre impossibile, ma c’è,o almeno c’era.
    Durante la prigionia a Bergen-Belsen mio cugino si è salvato parlando in latino con la dottoressa russa…

  8. vorrei essere un insettino che vi segue nelle vostre ricerche infaticabili generose e fruttuose . Con il grazie di sempre e anche di più Buone feste ad Annamaria e Staff

  9. Grazie Annamaria per queste due perle di racconti, che scaldano il cuore e danno speranza: anche quando sembra impossibile c’è sempre un modo per intendersi, capirsi, essere solidali. Grazie ancora è buon Natale a te e a tutti i lettori del blog.

  10. Come ogni anno la Notte di natale, stanotte, Babbo Natale (BN) incontrerà la Befana (B):
    B: allora, cosa porterai quest’anno?
    BN: eh, poche cose … i sacchi piu’ preziosi sono ormai vuoti:
    – pazienza: FINITA … !
    – fortuna: FINITA … !
    – serenità: RUBATA … !
    – forza d’animo: QUASI FINITA … !
    – futuro: CANCELLATO !
    … ma io faccio parte dell’anno vecchio … per questo motivo affiderò a te, che fai parte del nuovo anno, il sacco più grande, quello della SPERANZA !
    B: Babbo, mi affidi un compito estremamente difficile ed un sacco molto prezioso, cerchero’ di farne buon uso …!

    Ad Annamaria, allo staff e attutì i lettori di NEU i migliori Auguri di Buone Feste e un 2014 pieno di soddisfazioni e felicita’

  11. Buongiorno e Buon Anno!
    Leggo saltuariamente ma con voracità e stavolta in particolare mi è sembrato di vedere scorerere le immagini. Se aggiungo che mi hanno scaldato il cuore divento melensa quindi non l’ho scritto.
    Queste pagine mi fanno sempre pensare a come sarebbe un mondo popolato da più persone che danno importanza alle persone.
    Intanto AUGURI! GiorgiaD

  12. Due storie stupende, vere, molto significative e narrate con grazia ed abilità linguistica. Io sono alla ricerche di storie commoventi per completare una mia raccolta di Racconti in cinque righe…mi piacerebbe usare questi spunti…che ne dici? ciaociao, e brava

  13. Carissima Annamaria,
    grazie per aver condiviso queste due belle storie.
    Forse abbiamo tutti una spasmodica voglia e necessità di leggere storie di speciali e inattesi rapporti umani veri e sinceri.

    Che sia un Natale e un nuovo anno scintillante per lei e per tutti.
    Mimma

  14. Belle storie . E poi nel 61 avevo 6 anni . Ho risentito l’odore degli scarponi unti di grasso .
    Eravamo eroi del ghiaccio con quelle attrezzature pazzesche . In particolare era dolorosissimo il dito schiacciato nell”attacco dei lunghissimi sci.
    Sono fuori tema ma grazie per aver evocato un bel ricordo

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