Nuovo e utile

Innovazione italiana: ha un’anima e mille facce. Le manca una parola

Avrei avuto altro da fare – e infatti l’ho pagata con un discreto lavoro notturno su una relazione di cui vi darò conto a breve – ma ieri pomeriggio ho passato un paio d’ore in Triennale per la presentazione di Cambiamo tutto!, il libro di Riccardo Luna. Già che ci sono, vi dico che online potete trovare anche un sito dedicato e una neonata pagina Facebook.

Questa la situazione: sala (quella grande, al primo piano) gremita, molte facce giovani ma anche un discreto numero di teste bianche o brizzolate, quell’atmosfera adrenalinica che vien fuori quando si parla di web, innovazione (e innovazione italiana), toni amichevoli e informali, presentazione svelta intervallata da video suggestivi.
Fin qui, tutto regolare.

Queste le cose inattese: la storia di don Antonio, startupper (ma forse lui non si definisce così) al rione Sanità di Napoli, che apre una cooperativa sociale, trova finanziamenti perfino dalla Clinton Foundation, rende agibili le estesissime catacombe sottostanti il quartiere (qui il sito. Roba da fare invidia a molti musei pubblici) e dà vita a una quantità di altre iniziative eccellenti, tra le quali un’orchestra di bambini, un bed&breakfast, uno studio di registrazione: ho recuperato questo e questo articolo per voi, e vi invito a leggerli.

E poi: la storia del grattacielo cinese ecosostenibile e resistente ai terremoti costruito in quindici (quindici!) giorni. Qui il video: il time lapse (comincia dopo meno di un minuto e mezzo) è piuttosto impressionante.
E ancora: l’idea che proprio il ritardo italiano su molti fronti possa, non così paradossalmente, trasformarsi in vantaggio. Vuol dire che c’è spazio per nuove iniziative e che la concorrenza non è ancora così feroce.
E l’idea che ci sia una via italiana all’innovazione: più attenta ai rapporti interpersonali, ben radicata nello straordinario e sottostimato capitale umano del paese.

Anche il libro di Luna è pieno di nomi e di storie: molte di successo, e alcune di occasioni perdute. Nel secondo capitolo c’è n’è una che da sempre avrei voluto mettere su NeU: è quella dell’Olivetti, che tra il 1962 e il 1964, ormai quasi interamente venduta a General Electric, butta via il progetto avvenieristico di un personal computer perché i dirigenti sostengono che l’idea “non ha futuro”.
Che nel 1992 non capisce le potenzialità di internet, anche se un suo ingegnere ha sviluppato la tecnologia necessaria (emulatore di modem e software). Che pochi anni dopo sottovaluta l’idea che sta dietro Arduino, una scheda da venti euro (ora la si trova in tutto il mondo) che permette a chiunque di progettare e programmare… qualsiasi cosa.
Da Arduino, e con le nuove stampanti 3D, mille altre storie stanno cominciando. E Luna ne dà conto.

Le storie di innovazione sono importanti: appassionano, sono ricche di suggestione e propongono modelli virtuosi di pensiero e di comportamento. Fanno capire che, davvero, tutto può essere possibile. Un messaggio importante soprattutto per i ragazzi di  per un paese che, in parte, tende a spegnersi per assenza sì di risorse, ma anche di entusiasmo, di visione e di fiducia.

Ho una sola cosa da aggiungere: se esiste, e credo che sia così, una via italiana all’innovazione, e se le startup italiane sono tutte un po’ speciali, non potremmo trovargli un nome italiano?
Dopotutto, “start up” non vuol dire altro che “avviare, partire, attivare”.
Se inventiamo un nuovo modo di inventare e di fare impresa, non potremmo scovare anche una parola per dirlo?
… che ne pensate? Che parola delle nostre potrebbe sostituire “startup” per indicare un’impresa nascente, innovativa, italiana e con un po’ di anima?

23 risposte

  1. Cara Annamaria,
    immaginiamo che un ente spaziale ci inviti a dare il nostro contributo all’innovazione di una tuta da astronauta. Cercheremmo di migliorarne l’usabilità, ne ridurremmo il peso, la presenza addosso e lo stress, come per un certo abbigliamento intimo. Dall’altra ci impegneremmo a fondo per renderla ancora più sicura e protettiva in condizioni estreme.
    Dalla base spaziale, protetti dalla nostra nuova tuta, guarderemmo quella pallina blu e bianca persa nel buio dello spazio siderale e forse capiremmo che non siamo nudi ma che la nostra tuta spaziale sulla Terra è il pianeta stesso. E che, nel progettare il futuro, dovremmo agire come per la tuta spaziale.
    A cosa possa servire costruire un grattacielo in quindici giorni, se non a ridurre le condizioni di vita di tanti esseri viventi vegetali e animali, se non a bruciare irrimediabilmente una quantità indecente, enorme, di risorse per costruire un termitaio che del termitaio ha solo la forma ma non l’ecologia, proprio non riesco a capire.
    Adriano Olivetti aveva dell’industria e del territorio un concetto olistico, che evidenziava le relazioni fra il fare, il sapere e il saper fare, in una visione di comunità e di condivisione.
    Quando “l’innovazione” si riduce alla sola e ormai più che banale tecnica, senza tenere in minimo conto delle persone e dell’ambiente, quando il nostro ruolo sociale è ridotto a quello di consumatori, non facciamo nulla per rendere migliore il futuro, facciamo tanto per negarlo.
    Un modo italiano per dire start-up? Nuovo e Utile andrebbe proprio bene.

  2. A proposito di Olivetti, alcune noterelle da chi ne è stato (1982-1984) condirettore creativo della Direzione Pubblicità. La vendita della divisione che aveva progettato Elea fu decisa dopo la morte di Adriano dal Consiglio di Amministrazione su parere di Valletta (Fiat) e Visentini. L’altra grande occasione perduta da Olivetti (regnante De Benedetti) fu quando, negli anni ’80, in seguito all’accordo con AT&T, si decise di smantellare l’ufficio ricerche (tanto c’erano i laboratori Bell…) che aveva ideato il computer M24, che per alcuni anni fu il best seller europeo, collocandosi prima dei vari prodotti IBM, allora leader di mercato. L’accordo con AT&T naufragò dopo poco più di un anno, lasciando Olivetti, come dire, in braghe di tela. Grande occasione colta (all’inizio della storia) fu quella dei cellulari (spinta da Elserino Piol) da cui nacque Omnitel: naturalmente venduta dopo un po’…

  3. Sarebbe interessante capire quante, tra queste start up, nascono con l’intento di fare impresa per davvero e non solo per ricevere finanziamenti.
    Sarebbe interessante verificare, tra qualche anno, quante di queste star up saranno ancora attive e davvero avviate.
    Sarebbe desolante accorgersi, tra qualche anno, che queste agevolazioni non hanno avuto un seguito.
    Queste iniziative sono sicuramente valide, le idee in Italia ci sono, così come ci sono persone che hanno voglia di fare e di mettersi in gioco.
    Però … tanti paletti, a volte troppi o troppo complessi, altre volte troppo vincolanti che vengono corretti costantemente in corso d’opera (non sempre migliorati) non facilitano l’accesso a queste opportunità.
    Fortunatamente in alcuni casi abbiamo qualche bella notizia, come ad esempio l’eliminazione del requisito di età max (35 anni) come requisito necessario per accedere alle SRL semplificate.
    Le idee non hanno limiti di età, sesso, colore o di altro tipo.
    Trovo assolutamente corretto e giusto dare spazio e possibilità ai più giovani.
    Ma, allo stesso modo, trovo corretto offrire le stesse possibilità anche a chi è meno giovane e si vede costretto ad allungare la propria carriere lavorativa. Anche chi è meno giovane può produrre buone idee partendo proprio dalle proprie esperienze.
    Un nome per queste nuove imprese? Non so, ma sicuramente un nome italiano che tenga conto di qualcosa di nuovo, di impresa e che creda nel futuro: InNOVA o INnovAZIONE …mah
    Un palazzo in 15 giorni? Non so, non mi piace il concetto di base e spero davvero di non vederne altri a breve … almeno in Italia.

    1. Proprio le scorse settimane ho sperimentato una start-up figlia del Politecnico (e di buona donna). Una società nata da un brevetto molto interessante relativo alle energie rinnovabili. Mi chiedono di collaborare su alcuni temi. Per poter definire un costo, com’è di norma nel mio stupido mestiere, finisco col fare l’ottanta percento del lavoro. Il costo indicato è congruo, anzi pensavano fosse molto maggiore, mi faranno sapere come procedere. Passa una settimana. Potresti farci un piccolo sconto? Quanto? Il venti percento. Siete matti! Però ormai il lavoro è fatto, pazienza, vai con lo sconto. I tempi cominciano ad essere davvero risicati. Passano altri dieci giorni. La Regione e la UE che finanziano il progetto di start-up hanno pochi soldi, ci chiedono un ulteriore sconto. Ancora? Quanto? Solo il cinquanta percento. Comincio a capire come funzionano gli enti pubblici, il preventivo va almeno triplicato. Vi rendete conto di cosa mi state chiedendo? Ci rifaremo sui lavori futuri? Dai, accidenti a voi, piuttosto che rimetterci tutto accetto, vai col cinquanta percento. Emh… però c’è ancora un dettaglio: i soldi saranno disponibili solo alla fine del duemilaquattordici, quindi siamo noi che rinunciamo. E il minimo rimborso pattuito in caso di interruzione del progetto? Dai ormai siamo in vacanza –bella la vita dei docenti universitari- ne possiamo riparlare ad Ottobre? Forse, se non annegano come io vado augurando. Me ne fossi stato tre mesi in vacanza avrei guadagnato di più. Un termine italiano per definire start-up? Calcio nel sedere.

      1. Ecco !
        Ancora una volta abbiamo la dimostrazione che: da una parte abbiamo “la favola”, ovvero la promessa di poter fare grandi cose e dall’altra “la realtà”, ovvero l’impossibilità di arrivare al “lieto fine” per mille motivi (lupi cattivi,pifferai magici,ecc …).

        Più che “start up” questo è un chiaro esempio di “stort up” …

        Credo sarebbe molto interessante e forse anche utile raccogliere e riassumere tutte le esperienze di chi ha tentato ma ha dovuto rinunciare (come nel caso di Rodolfo).
        Qualcuno dovrebbe farsi questa domanda e raccogliere questi dati per rendere il servizio più efficiente.

        Capire e comprendere i motivi di quelle rinunce potrebbe davvero contribuire a trasformare quella “favola” in “realtà” e quella realtà in una splendida “start up” …!

  4. Della ricchissima proposta odierna di NeU “seleziono” per ora solo il sempre stimolante invito a riprendere la sconcertante e inquietante vicenda della Olivetti, e commento di getto, prima ancora di vedere come si deve libro e sito di Luna, tornando alla prima ricostruzione di quel successo italiano mancato. Mi riferisco al volumetto di Lorenzo Soria Informatica: un’occasione perduta. La divisione elettronica dell’Olivetti nei primi anni del centrosinistra, Einaudi, 1979. Un libro utile proprio perché datato, concepito in un’epoca nella quale ad ammantare di una pretenziosa veste anglofona gli strumenti che avrebbero potuto parlare italiano era stata ancora solo IBM, ere tecnologiche prima che una potenziale mela delle nostre campagne piemontesi ci fosse proposta come Apple instillandoci complessi di inferiorità. Bando ovviamente ad ogni nazionalismo e ad ogni disprezzo per la lingua inglese, se seriamente studiata e correttamente utilizzata come veicolo di idee per l’umanità, ma certo non è inutile meditare, nella giusta prospettiva, su quanto l’ingegno italiano avrebbe potuto dare al mondo. Non so perché nelle pagine di quel libricino del 1979 riesco a rivivere qualcosa di più di una storia dei se e dei ma. La rinascita recentissima delle Edizioni di Comunità non può che rallegrare chi non ha mai dimenticato lo spirito di Adriano Olivetti ogni volta che prende in mano un tablet – una tavoletta? – o qualcosa di simile ripensando all’epoca della macchina per scrivere……..La parola italiana per start up? Confesso umilmente che, pur schierato da sempre contro l’uso improprio dell’inglese, devo ancora pensarci…..E non mancherò di farlo, ringraziando per l’idea.

    1. In Italia possiamo catterizzare “startup” con: nuovo e bello, che mi piace sintetizzare con il termine “arte”. Inoltre, come Nazzareno, userei anche “impresa”.
      Allora propongo: “artimpresa”. Che è un termine con una certa assonanza con “startup”.

  5. Propongo NIMP dove
    1. N=
    -“NO” impresa tradizionale
    -“NEW”

    2.IMP=
    -la “I” di “ITALIA”
    -la parola IMPRESA
    -la STARTUP (-P finale di UP)

  6. Se negli anni sessanta si parlava di ” miracolo italiano”, e di “boom”, perché non indicare la fase attuale di lenta ma innovativa ripesa con una bellissima parola di origine greca, che individua una macchina, ma soprattutto un concetto, e che si chiama “Dinamo”? “Nuova dinamo italiana”, “italian dynamo”, “fase dinamo”, “Nuove imprese dinamo” eccetera. Uguale in tutte le lingue.

  7. Come detto anche da Nazzareno, credo che il “solo” termine IMPRESA racchiuda tutto ciò che serve.

    Dal Dizionario Hoepli online, IMPRESA è:

    1) Ciò che si comincia a fare con l’intento di portarlo a termine.
    Azione, iniziativa importante, difficile o fuori dal comune: eroica.
    enf. Azione gravosa, faticosa: fargli capire che ha torto sarà un’i.

    2) Attività di chi imprende un lavoro commerciale o industriale

    3) Attività economica finalizzata alla produzione e allo scambio di beni e servizi.
    estens. Società, ente che svolge una particolare attività commerciale o industriale: i. commerciale, industriale, agricola, edile, editoriale, teatrale.

    Quali nomi?

    IMPRESA ITALIA,
    NUOVA IMPRESA,
    NUOVA IMPRESA ITALIANA,
    IMPRESA,
    InPRESA,
    RImPRESA,
    ecc ….

  8. Concordo con Nazzareno: il termine esiste già e va rispolverato e rimesso a lucido.

    (Rodolfo, comprendo bene la situazione che descrivi. Purtroppo. Fa male, ma si impara.)

  9. avviare = evvaii… = ewai

    forza cominciamo! = damose da fa’ (romano) = da.da.fà oppure da.se.fà oppure mo.se.fà = mosfà = mofà

    oh, issa! = ISSA (Impresa Sapienza Speranza Applicata, Impresa Spedita(di)Sorpendente Acume, in caso di insuccesso: Impresa Senza Speranza Alcuna, 🙂

    O la va o spacca = laspa

    ma nei desideri di una start up c’è sicuramente il Volo e l’Italia = Volalia, ItaVo, VItalia, VolIta(che strizza l’occhio a Lolita)

    o il Futuro, il Domani, l’Alto(sù)ItaSù, EIaSù(Europa Italia sù)

    III (Impresa Italiana Intelligente)

    ISI (Impresa Sorprendentemente Intelligente, easy)

    Per Aspera ad Astra =RaStra, ItAstra, SpeRastra, Spestra, Istra,…

  10. Riguardo agli errori dell’Olivetti potrei citarne a bizzeffe, ma il più cocente, per me, è stato il flop del Quaderno. Un prodotto straordinariamente innovativo, per l’epoca(1992). Molto piccolo e leggero,(quanto un foglio A5, 1kg) realmente portatile, che consentiva sia di registrare la voce(in digitale! e a computer chiuso!), che di scrivere dei testi, MA non era possibile riascoltare la registrazione e scrivere contemporaneamente(!) e non aveva una interfaccia per stampante!!!(standard): è come costruire una bicicletta da corsa senza sellino e/o senza ruote!
    In un’intervista dell’epoca il responsabile del progetto rispose che “il mercato non aveva capito il prodotto” (sic)!!!
    E’ inutile parlare di(stimolare la) creatività quando il sistema-impresa è, anche nelle imprese “innovative”, un grande schiacciasassi che tritura e livella tutto…
    Riguardo al personal computer nel 1964, penso invece che abbiano avuto ragione i dirigenti Olivetti. Il personal computer è figlio della standardizzazione: il primo microprocessore usabile (Intel 8080)(standard hardware) è del 1974, ma il sistema operativo DOS(standard software), è del 1982! Pensare che si potessero costruire e vendere personal computer nel 1964 è semplicemente anacronistico! L’Olivetti, invece, per prima e con un successo enorme, dieci anni dopo, fece l’Audit 4, 5 e 7 macchine realmente innovative e, per l’epoca, facili da usare; grazie anche alle praticissime cartoline magnetiche riregistrabili, quando il mondo dell’informatica andava ancora a schede perforate…

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