La buona scuola, confezionata come un pasticcino

La buona scuola, confezionata come un pasticcino

Ha fatto assai rapidamente il giro del web la notizia che nella sintesi in 12 punti del documento governativo intitolato La buona scuola ci fosse qualche a capo non proprio ortodosso.
È giusto rilevarlo ma, insomma, è un errore d’impaginazione che può capitare quando si lavora di fretta o si sostituisce qualche riga al volo, e peraltro è stato corretto subito.
Non c’è stata alcuna correzione, ma tutto sommato anche questa è roba veniale, per alcune maiuscole che, almeno a me, sembrano di troppo (Graduatorie ad Esaurimento, Musica e Sport, Scuola-Lavoro) e per un po’ di termini inglesi (budget, coding, Digital Makers) i cui corrispondenti italiani avrebbero potuto essere impiegati senza alcun danno (bilancio di previsione, codifica) o, magari, perfino con il vantaggio di coniare una definizione nella nostra lingua per un fenomeno nuovo (produttori digitali?).

C’è invece un elemento formale che mi ha reso difficile leggere con la necessaria convinzione sia la sintesi, sia il documento esteso (se non l’avete ancora fatto, per favore dategli almeno un’occhiata).
Prima di dirvi di che si tratta devo fare una premessa: la forma materiale in cui una comunicazione – qualsiasi comunicazione – si esprime non è un elemento accessorio o decorativo ma offre sempre, nei fatti, una chiave di lettura sia del contenuto, sia delle intenzioni dell’emittente (la persona, l’azienda o l’istituzione che produce la comunicazione).
Per esempio, è la forma materiale in cui ci si presenta un testo a orientarci immediatamente e istintivamente nel lavoro di interpretazione che subito facciamo per capire quale contenuto aspettarci. In altre parole: dietro a una tipica copertina da libro giallo ci aspettiamo di trovare, appunto, una storia gialla. Se vediamo il disegno di una buffa papera non ci aspettiamo di leggere un trattato di fisica teorica, o di astronomia. E così via.

È ancora la forma ad aiutarci, poi, quando affrontando il contenuto di un testo ne ricaviamo un senso: titoli, sottotitoli, paragrafi, contributi visivi come foto o disegni, elementi grafici, scelte cromatiche e perfino il tipo di carattere usato ci offrono indizi di senso, e proprio per questo devono essere congruenti con contenuto e tono del testo. Non dimentichiamoci che, per esempio, il mondo intero ha sghignazzato quando il Cern, per annunciare la scoperta del bosone di Higgs, ha usato il Comic Sans, un tipico carattere da fumetti, peraltro bruttino.
Dunque, anche nel caso del documento governativo sulla scuola, è la forma ciò che da una parte rende disponibile “la sostanza” delle proposte, dall’altra ne orienta la percezione e l’interpretazione, connotandole in termini anche emotivi.

Ed eccoci al punto di difficoltà: da vedere è proprio grazioso, il discorso del governo Renzi sulla scuola. La grafica è bella e alla moda, e tutti quei colorini, quei pois (nell’edizione estesa), quell’alternanza di caratteri piccoli e grandi, di corsivi cicciottelli, di disegnetti (matite, un porcellino salvadanaio, un aeroplanino, faccette, tessere di Scarabeo, una coccarda, una sveglia…) mettono allegria e sono una gioia per gli occhi. “Basta con il grigiore!” sembra dire non solo la pagina 48, ma l’intero documento.
Peccato che sia proprio la grafica a portare i lettori, e anche la disorientata sottoscritta, in un negozio di dolci (guardate qui: eccoli, i colorini e i corsivi cicciotti. Oppure guardate questo: tra l’altro, è un manifesto fatto di oltre 13.000 veri pezzi di torta).
Insomma: la forma ci orienta a immaginare una scuola non “buona”, ma ghiotta come un bigné, fragrante come una pasticceria, dolce come un gelato (ehm, chissà che cosa ne direbbe l’Economist), “così squisita da mangiarsela”. È una scuola che sembra inventata più dall’Omino di burro di Pinocchio per sedurre alunni somari che da un motivato e tostissimo gruppo di esperti del MIUR, tesi a modernizzare finalmente il nostro sgangherato sistema educativo coinvolgendo insegnanti, genitori e l’intero paese.

Eppure, da leggere e nonostante i colorini (una lunga spiegazione tecnica in bianco su fondo rosa è davvero ardua da affrontare – pag. 99) il testo risulta semplice, concreto e piuttosto energico. Nessuna traccia di intricato pedagoghese o di tetro burocratese, a parte qualche residuo “ovvero” e qualche “nonché”. E sì, purtroppo c’è l’onnipresente inglese, inteso ahimé non come indispensabile lingua da studiare, ma come spruzzata di termini (da nudging a gamification) non sempre di facile decodifica nel contesto.

Ma torniamo ai contenuti. La premessa (pagine 5/9) è elettrizzante: c’è il progetto di una scuola dove crescere sviluppando creatività, pensiero critico, competenze forti e talenti, sbagliando e imparando in un ambiente autonomo, motivante e stimolante, aperto e interconnesso, dove il sapere incontra il saper fare e dove il merito dei docenti e degli studenti viene premiato. Se alle parole corrispondessero in un futuro prossimo le cose, sarebbe meraviglioso.
La parte sul trattamento dei docenti (assunzioni, stipendi, mobilità) è dettagliata e argomentata, e arriva fino a pagina 61. Le restanti pagine alternano messaggi forti ad altri piuttosto vaghi. Ma c’è da lavorarci, e a pagina 132, dopo un paragrafo intitolato (e rieccoci in pasticceria) “dulcis in fundo”, si trova un vigoroso appello a partecipare al progetto, e la formale promessa che dal 15 settembre se ne parlerà in ogni parte d’Italia.

Bene, sarà molto interessante e, mi auguro, utile. Magari, con qualche contenuto più a fuoco, potremo poi dotarci anche di un progetto impaginato in maniera ugualmente piacevole e accurata, un po’ meno zuccherosa e un po’ più agevole da leggere e consultare, credendoci davvero.

Questo post esce anche su internazionale.it. Se vi è piaciuto potreste leggere, sul medesimo tema:
Novantacinque tesi sulla scuola
L’Italia appesa nel vuoto delle competenze di base

12 risposte

  1. E’ una meraviglia leggere questo suo articolo, è quello che vorremmo aver letto sempre, è così che vorremmo fossero spiegate ai nostri giovani “cosa significano le cose”, come sono relazionate le cose. Solo da Eco e Calvino avevamo letto cose di questo tipo, la relazione tra forma e contenuto in modo così semplice e chiaro. Vorrei che molti leggessero queste tue frasi che forse a te sembreranno banali. Molti di coloro che scrivono (giornalisti, scrittori, autori ) non hanno più indizi ed attenzione a tutto il mare degli analfabeti in cravatta, a tutti quei milioni di poveri cristi che usano tre aggettivi, cinque o sei verbi e per i quali il mondo è le cose del mondo sono tristi o divertenti. Ci si meraviglia poi che libri testi articoli siano destinati a pochi, che il senso civico degli italiani sia sotto terra e che siamo lì dove siamo. Ha scritto De Mauro che il 40 % degli italiani non sa decifrare un testo complesso, il 70 non scrive mai più di due o tre righe, il 60% non legge nulla all’infuori delle targhette degli abiti. Per questo leggere ciò che lei scrive e come lo scrive rallegra l’animo.

  2. Un documento “carino” non è un documento serio.
    Un documento “alla moda” o “di tendenza” non è un documento innovativo.
    Gli errori ortografici, di digitazione, d’impaginazione, sintattici non sono ammissibili.
    L’uso non necessario di lessici stranieri in un documento istituzionale italiano ha davvero un brutto sapore.
    Perfettamente in accordo con te, Annamaria.
    La decorazione della forma non crea bella forma e non può vestire un buon contenuto.
    Non mi aspettavo di meglio da questa gente. Purtroppo.
    Comunque sono incolti, comunque più che comunicatori sono manipolatori. Purtroppo.

  3. Se i grafici stavano lavorando di gran fretta, tanto da non avere nemmeno il tempo per una rilettura essi stessi o da affidare a un copywriter, avrebbero potuto evitare gli errori derivanti dalla sillabazione automatica impaginando il testo a bandiera. Trattandosi di un documento ufficiale proprio del MIUR, la figura è stata pessima.

  4. Stimolato dall’invito del Presidente del Consiglio, nei giorni scorsi ho abbozzato un elenco di problematiche inerenti la scuola, basandomi sulla mia esperienza di genitore-padredibambinistudentidellascuolaitaliana.

    Poi …
    • ho letto questo post,
    • ho aperto e visionato velocemente il “dolce documento”,
    • ho scoperto che molte delle mie osservazioni erano presenti nel “dolce documento”,
    • ho cancellato, riscritto, ricancellato e alla fine ho lasciato perdere quell’elenco.

    Delle cose che avevo scritto riporto qui gli unici due punti che, nella mia esperienza, sono sempre stati presenti, una costante che chiamo Problema A+++:
    1. Aumento dei costi
    2. Riduzione dei servizi offerti

    In pratica: si spende di più per avere di meno.

    Purtroppo il Problema A+++ è una costante applicabile a quelle che definisco cinque ESSE:
    Salute, Sicurezza, Scuola, Servizi, Società …

    In realtà le ESSE sono sei ma l’ultima è venuta a mancare, masticata e cancellata nel corso degli anni da quegli abili predatori dai denti aguzzi e dai sorrisi beffardi.
    Come si chiama? Speranza.

    La brutta copia di quella pseduo-lettera terminava così:

    Siamo alle porte di un nuovo anno scolastico e:
    • ancora una volta, vedremo migliaia di bambini/ragazzi emozionati varcare la soglia delle scuole italiane con il loro carico di Sogni e Speranze;
    • ancora una volta, vedremo genitori e studenti tenere tra le mani pacchi di carta igienica, fazzoletti di carta, carta per fotocopie e bollettini di contributi “volontari” compilati/pagati;
    • ancora una volta, negli stessi giorni, assisteremo ad animate discussioni sulla NUOVA riforma della scuola tra uomini e donne ben vestiti ripresi nelle sale del potere dai telegiornali nazionali, uomini e donne con privilegi e trattamenti che gran parte di studenti e famiglie non potranno permettersi MAI; uomini e donne che la carta igienica la useranno, sprecandola per tirarsela addosso sbraitando e dimenando le braccia offrendo uno spettacolo misero … e tutto sprofonderà nella solita palude come piccole gocce di rugiada.

    Chiudo con un paio di quesiti ed un proposta relativi ai COMPITI DELLE VACANZE:

    Non discuto l’utilità dei compiti delle vacanze, che considero importante strumento di ripasso e allenamento mentale , però …

    Domanda 1: Perché se ho fatto il mio dovere e sono stato promosso devo studiare tutta l’estate come se fossi stato rimandato?

    Domanda 2: Perché “io” famiglia devo spendere altri soldi per acquistare ulteriori libri di testo?

    Domanda 3: se le mie vacanze di studente-promosso sono per metà occupate da compiti, quanta voglia avrò di ricominciare e rimettermi sui libri a settembre? Promosso o rimandato dovrò studiare lostesso …

    Proposta “Compiti delle vacanze”:

    Affidare agli studenti un vero e proprio progetto di ricerca in sostituzione dei classici compiti.

    Un progetto concordato con i professori che:
    I. tenga conto della vacanza (città d’arte, mare, montagna, estero …),
    II. integri tra loro più materie (es: geografia, storia, arte, statistica, scrittura, lingue),
    III. descriva uno o più aspetti della vacanza (trasporto aereo/marittimo, monumenti, turismo, industria, arte, società …),
    IV. possa garantire, allo studente, un riconoscimento in ambito scolastico.

    Tornando al “dolce documento”, l’impressione è che ancora una volta ci sia tantissimo fumo e poco arrosto e, ancora una volta, tutto si trasformerà in una minuscola goccia di rugiada disperso nella solita sconfinata palude, popolata dai soliti abili predatori.

    Spero di sbagliarmi e che il Problema A+++ si trasformai davvero in Opportunità A+++.

  5. Dei compiti preparati a casa dai genitori, ls scuola non se ne fa nulla. Allo stesso modo nessun buon medico dà al suo paziente la cura che egli stesso gli suggerisce.

  6. Molto intelligente. In perfetta consonanza con quanto da me scritto sul mio blog il 14 settembre,senza aver letto questo intervento e i relativi commenti
    (http://claudiosalone39.wordpress.com/, La buona scuola del Maestro Matteo)
    Ma allora non sono il solo a pensare che si tratti di un pasticcio (in senso artusiano)!
    Mi piacerebbe ricevere altri pareri.

  7. Mi è subito venuto in mente questo intervento quando ho visto La buona scuola reloaded, la presentazione del 15 dicembre sui risultati della consultazione pubblica sulla scuola (istruzione.it/allegati/2014/focus151214_all1.pdf). È un’accozzaglia di colori, disegnini, font, stili e caratteri di varie dimensioni che creano confusione e, mi sembra, danno un’impronta un po’ troppo ludica a un tema che invece è di grande importanza per tutto il paese.

    1. Ma no! Sono bastate appena 25 font e 15 revisioni per produrre questo capolavoro! Si vede che è stato fatto da un/una professionista della grafica, chiamata probabilmente a fare uno stage gratuito dietro raccomandazione (e ringrazia!), che non vedeva l’ora di dimostrare tutta la sua capacità e creatività (che poi magari la chiamano di nuovo, sempre aggratis). Non è certo un lavoro fatto da un/una dipendente del Ministero. Questo è un lavoro per più versi professionale applicato ad un contenuto sbagliato. Un dirigente di secondo livello, avventizio/a della grafica che gioca con powerpoint o keynote non riuscirebbe mai ad essere così lieve, armonico e minimale, neppure utilizzando un template per pasticcerie 🙂

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