Nuovo e utile

La classe dirigente e i primati (intesi come scimmie)

Un gruppo di maschi maturi, o più che maturi, con retribuzioni enormemente superiori alla media, ognuno con una straordinaria quantità di incarichi.
Così nel 2012 un editoriale sulla prima pagina del  Corriere della Sera descrive la classe dirigente italiana.
Per dirvi quanto un’élite gerontocratica possa essere deleteria in termini di sviluppo, creatività e innovazione vi racconto una cosa molto meno off topic di quanto possa sembrare.
Eccola.

Anche gli animali superiori sono creativi. Lo sono alcuni mammiferi (primati, delfini), e perfino alcuni uccelli come i corvi. E lo sono per uno scopo: procurarsi cibo, a condizione che il cibo, anche se difficile da raggiungere, ci sia.
Tutto chiaro fin qui? Bene: nelle comunità di primati, e non solo, a essere più capaci di comportamenti creativi sono le femmine e i giovani, che vengono ultimi nei turni alimentari. Poiché hanno meno da mangiare, devono ingegnarsi. Lo fa, per esempio, Imo, la più famosa tra i macachi. Invece a restare attaccati ai loro comportamenti specifici, e impermeabili a qualsiasi opportunità o novità, sono sempre i vecchi maschi, sazi e appagati.

La storia recente ci dice che con discrete probabilità anche nelle più evolute comunità umane il gruppo dei vecchi maschi sazi e appagati non è particolarmente propenso ai comportamenti innovativi. Se è così, abbiamo tre ulteriori problemi:
1) qui da noi il “cibo” (opportunità, riconoscimento, soldi, prospettive) per i giovani, la cui ricerca incentiva i comportamenti creativi, è così scarso che uno si perde d’animo e a un certo punto smette di cercarlo.
2) qui da noi non tutti i maschi anziani sono, almeno loro, sazi e appagati. È in quelle condizioni solo una piccolissima élite che prova a difendere con unghie e denti i suoi privilegi, mentre nei confronti della stragrande maggioranza degli over 45 c’è una discriminazione drammatica e iniqua, testimoniata da un consistente  studio Bocconi: in sostanza, quando si arriva attorno ai cinquant’anni si rischia di venir sputati con tutte le proprie competenze fuori dal mercato del lavoro perché si costa troppo.
3) se tutto questo, qui da noi, accade, il risultato ulteriore è paradossale: tra juniores (spaesati e risentiti) e seniores (frustrati e sviliti)  si accende un conflitto generazionale pesante e astioso, che non può essere risolto con ricette sbrigative ma che, come scrive Walter Passerini, dovrebbe portare a una nuova relazione con i padri, in un nuovo patto generazionale. Solo in questo modo, fra l’altro, può essere garantita la trasmissione di competenze indispensabile dare ai giovani forza, orientamento, sicurezza, risorse e supporto.

7 risposte

  1. Vero. Ma….. Sono d’accordo sulla diagnosi generale circa la classe dirigente “sazia, appagata ed attaccata con unghie e denti ai loro privilegi”. Un po’ meno d’accordo sul fatto che la societá “automaticamente” espella gli over 45 perchè troppo costosi e poco produttivi. Puó forse succedere nelle fasce di lavoro meno specializzate (manovali o operai generici) dove, percontro, le differenziazioni di salario con l’etá sono meno sensibili. Ció che avviene (e parlo per esperienza personale) é che superati i 35-40 le persone tendono a sedersi nell’illusione (vera nella generazione scorsa) di poter raccogliere con poca fatica i frutti di ció che si é seminato prima. E questo, a mio parere, é un errore. La dinamica della societá attuale richiede un continuo aggiornamento professionale con disponibilitá a cambiare lavoro e tipo di lavoro anche piú volte nel corso della vita, non smettendo mai di studiare, di imparare, di guardare avanti con lo stesso spirito e disposizione d’animo come se si avessero ancora 20 anni. Se si resta “giovani” lavorativamente parlando, non é vero che il rapporto tra retribuzione e produttivitá rende poco conveniente assumere gli over 45, é vero esattamente il contrario. Questo mio commento vuole essere sia una testimonianza (ho 70 anni ed ancora lavoro, ho cambiato lavoro e tipo di lavoro almeno 15 volte) che uno stimolo per gli over 45.

  2. Ciao Marcello. Gli stessi ricercatori di Bocconi sono rimasti sorpresi dal crescente (e recente) fenomeno della discriminazione anagrafica. Se clicchi il link arancione trovi l’articolo del Corsera che ne parla. In Italia abbiamo sia un problema di ostilità e di pregiudizio (nel post cerco di ipotizzarne i motivi), sia un problema, strutturale, di formazione permanente scarsa sia per qualità che per quantità: solo il 20% circa degli adulti si aggiornano, contro una media europea del 50% (cito i dati a memoria, ma sono piuttosto certa che siano queste le proporzioni). Intanto, in Germania, il ministro del lavoro incoraggia le aziende ad assumere gli over 50: ” è dimostrato che in media aumentano la produttività del 2%…. arricchiscono l’ambiente di lavoro con un bagaglio di competenze e conoscenze, sono più collaborativi e costruttivi, non hanno oneri familiari e quindi sono più flessibili negli orari e nella mobilità” Questo è Rampini, oggi, su Repubblica.

  3. Direi che sono d’accordo proprio su tutto. Ma aggiungo, i danni sono parecchi. I primati, intesi come classe dirigente (ad esclusione delle eccezioni, ovvio), stanno creando tanto disordine, troppo. Io parlo da Milano, vivo a Milano, in questo momento credo la città italiana con meno propensione allo sviluppo. Una città ormai completamente scollegata da qualunque produzione: se non c’è fabbrica, manca il prodotto, mancano gli operai, manca un’intera classe sociale fondamentale tanto quanto tutte le altre, gli operai sono come i mattoni, idem per i dirigenti, di cui però Milano è zeppa, oltre che zuppa. Morale: cultura del prodotto uguale a zero. Pance grasse da pranzi con carta di credito aziendale a sbafo, progettano, chiacchierano, presuppongono e analizzano, scrivono inutili business plan a dozzine, disquisiscono e…di fatto non fanno nulla, non servono. Ma in più, e qui c’è il danno con dolo, “bocciano” qualunque giovane, di fatto timorosi di essere sbranati in un boccone da menti in gamba, fresche, creatività allo stato puro, l’innovazione nel sangue. Io lavoro in Internet, un canale televisivo web, roba che a Milano ne capiscono la valenza in due, forse tre, gli altri sono sempre a “colazione” (la mia è alle 7 del mattino, loro non mangiano mai ?!), grassi e buffoni arroganti da strapazzo non mollano la poltrona, senza di quella potrebbero solo lavare vetri al semaforo. Il mio canale l’ho costruito esclusivamente lavorando con i giovani, ragazzi e ragazze che vanno a cento all’ora, entusiasti, appassionati, semplicemente vivi e sempre nuovi. C’è in giro una classe dirigente che usa Facebook per raccontarsi robe da matti. Si alzano la mattina e vince chi la spara più grossa, chi crede di essere un leader dell’arguzia e della battuta folgorante, chi pensa che Facebook l’abbia nominato di fatto tuttologo, esperto d’ogni cosa, libertà di dire ciò che si vuole sempre e comunque e su qualunque argomento. Attenti primati, esclusi corvi, delfini e macachi, perchè i giovani nemmeno vi ascoltano di striscio, vi stanno lasciando deperire e morire come in una riserva protetta, siete già in gabbia, il mondo è fuori. Sciallatevi vecchietti e rideteci sopra panzoni, la vita è bella, voi comici di prim’ordine, primati.

  4. Ricordo una massiccia campagna Telecom, con tante faccine sui poster, che chiedeva: “Come vorresti che fosse il futuro?”. Dato che più che pubblicità mi era parsa propaganda, nel senso peggiore del termine, mi ero chiesto come avrebbero voluto che fosse il loro futuro i dirigenti che avevano promosso quella campagna. Ho immaginato che fosse: immobile. Essere in una posizione di grandi privilegi e benefit non può che portare all’immobilismo. Parlando con uno degli alti dirigenti regionali della compagnia avevo chiesto, anche in relazione a quella campagna, la sua posizione circa l’utilizzo di giovani laureati -cervelli nuovi e disponibili a fare molto altro- nei call center, a fare uno dei peggiori lavori mai concepiti, in totale precarietà. In fondo l’algoritmo di Google lo ha sviluppato un giovane italiano emigrato negli USA. Non tutti devono fare cose prestigiose, ma meglio della la tentata vendita si può fare. L’amico dirigente mi aveva confermato la mia ipotesi: i giovani che utilizzano la testa potrebbero destabilizzare lo status così sgomitatamente raggiunto. Una volta in quella posizione meglio non cambiare nulla. I macachi allignano anche fra di noi.

  5. Buttarle sulla competizione generazionale è un ottimo metodo per parlare d’altro. Per gettare su chi ascolta la responsabilità della situazione. Così i macachi cavalcano la crisi arricchendosi. Ma si sa: la colpa non è della struttura economica del finanzcapitalismo (come direbbe Gallino) ma è della competizione generazionale… Uno dei tanti argomenti di distrazione di massa.

  6. Ma come, bisogna essere giovani per studiare matematica?! esiste una qualche prova di questa affermazione o si tratta dell’opinione personale di chi scrive? ho 36 anni e sto per rimettermi a studiare statistica dopo aver abbandonato qualsiasi forma di matematica da 20 anni. So di essere mentalmente arrugginita rispetto a tanti adolescenti ma spero di ovviare con l’esperienza.. farei meglio a dedicarmi alle parole crociate?

    1. Gentile Carlotta,
      ho la sensazione che questo commento si riferisca a un altro post di NeU, e per la precisione questo:
      https://nuovoeutile.it/vecchi-creativi/
      … là dove dice “Essere giovani è una precondizione per ottenere risultati importanti in alcune discipline che, come la matematica, gli scacchi o la fisica teorica, chiedono sforzi mentali intensivi e un approccio speculativo.”

      Cerchiamo di capirci. Non sostengo che occorre essere giovani per “studiare” matematica ma (legga bene) per “ottenere risultati importanti”: tali, per esempio, da comportare la vincita di una medaglia Fields (il Nobel della matematica)
      http://en.wikipedia.org/wiki/Fields_Medal

      Su NeU tendo a separare in modo chiaro i fatti dalle opinioni.
      E qui sto parlando di un fatto: i grandi matematici, da Gauss a Lagrange, rivelano le loro doti già da giovanissimi, e di norma ottengono i loro risultati più importanti quando sono ancora piuttosto giovani.
      Uno dei non molti che hanno ottenuto risultati importanti un po’ dopo i quarant’anni è Wiles (Teorema di Fermat):
      http://matematica.unibocconi.it/articoli/intervista-andrew-wiles

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