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Creatività, la destra e la sinistra nel nostro cervello – Idee 24

È intitolato La creatività non è né di destra né di sinistra un articolo uscito sul Corriere della Sera. Non posso non segnalarvelo, ma avrei preferito un titolo come “La creatività è sia di destra sia di sinistra”, visto che stiamo parlando di emisferi cerebrali. La tesi di Arne Dietrich e Riam Kanso è semplice: nel lavoro creativo le diverse aree interagiscono (se esagerano, ecco i fenomeni sinestesici). I due studiosi sostengono che il pensiero creativo non può essere collegato a nessuna area specifica del cervello, né a destra né a sinistra, né avanti né dietro. L’unica certezza, sulla base delle ricerche realizzate con elettroencefalogramma, risonanza magnetica, o tecniche in grado di cogliere il cervello “in funzione” – come risonanza magnetica funzionale e tomografia a positroni – è che un’area anteriore del cervello, la corteccia prefrontale, si attiva mentre si svolgono compiti creativi.

Che l’emisfero destro sia creativo e il sinistro no, è una leggenda: senza l’emisfero sinistro, focalizzato e selettivo, il destro rischia di andare per farfalle. Tra i primi a studiare i due emisferi c’è il Nobel Roger Sperry. Lo fa su soggetti (animali e umani) il cui cervello è diviso chirurgicamente. Se volete farvi una visita guidata nelle dinamiche cerebrali, leggete l’ottima presentazione di Alberto Oliverio, magari soffermandovi sulla tavola 31.
Intanto Rossmann e Fink confermano che la creatività, proprio come affermava Sarnoff  Mednick negli anni Sessanta, è correlata all’associare velocemente elementi lontani tra loro. Il test che misura questa capacità (eccovelo, purtroppo in inglese) si chiama RAT (Remote Associates Test).

È intitolato Guarda a sinistra, vai a destra uno splendido articolo del Sole 24Ore sull’asimmetria cerebrale negli animali: mammiferi, lucertole, pesci, tartarughe, uccelli, topi, ratti, api, formiche. Si tratta di una costante della storia della vita, sviluppatasi secondo una linea evolutiva di miliardi d’anni, a partire forse da un minuscolo verme. Sapevate che i pulcini escono dal guscio con la zampetta destra, che tutti cercano cibo con l’occhio destro, ma percepiscono il pericolo con il sinistro? Il comportamento animale, proprio come il comportamento (e la creatività) umana, è frutto dell’interazione tra le due parti.

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15 risposte

  1. Seguo il dibattito sulla creatività con molto interesse. Sono un creativo, su molti fronti (www.marcoorlandi.it)e so di cosa si parla. Mi occupo di Disegno, Poesia, Insegnamento, Illuminazione, Design, Grafica e mi irrita una cosa: tutti gli addetti ai lavori che oggi fanno sfoggio di competenza e conoscenza, di metodi e analisi ( vedi Oliverio ) come frutto della loro applicazione, non citino mai Betty Edwards se non in calce alle loro paludate riflessioni ed in corpo 6 sulle loro pubblicazioni. tutta la prima parte della presentazione di Oliverio è estratta dal testo della Edwards “DISEGNARE CON LA PARTE DESTRA DEL CERVELLO”. Senza la Edwards, molti di quelli che oggi insegnano creatività e disegno, sarebbero a spasso. Nessuno sapeva insegnare a disegnare prima della Edwards e nessuno aveva il coraggio di applicare i prodromi di alcune sperimentazioni e teorie scientifiche all’arte e alla creatività. Oggi è possibile per tutti. Con il suo metodo si insegna a tutti a realizzare un ritratto in tre mesi. sarebbe auspicabile se ne riconoscesse la fonte.

  2. La Betty Edwards di cui parla Marabut è una notissima insegnante d’arte americana che, come ricorda perfino Wikipedia, “uses the findings of brain research as an organizing principle for her system, and is especially guided by Cerebral hemisphere and split-brain research which suggests that the two hemispheres of the brain have different functions”. Appunto: “usa le scoperte”. Alla massa di ricerche sul cervello (tra queste, quelle del già citato Sperry, negli anni Sessanta del secolo scorso) fa ovviamente riferimento anche lo psicobiologo Oliverio quando ci racconta come funziona il nostro pensiero: è certo e necessario che alcune fonti siano condivise ma, con tutto il rispetto per un’opera fortunatissima, e utile a molti, mi permetterei di dubitare che il testo di Edwards (che, ripeto, non è una neuroscienziata) sia “la” fonte per eccellenza di tutti i ricercatori che si occupano di neuroscienze.

  3. Tutti, siamo creativi, chi più chi meno. Ognuno di noi si occupa di molte cose. Anch’io seguo il dibattito sulla creatività ( ho letto molti libri in proposito De Bono su tutti ) ma non mi ritengo un creativo in particolare. Penso che la creatività sia naturale e forse neanche il soggetto in questione se ne rende conto di cosa ha realizzato.

  4. A me torna sempre un po’ difficile ragionare nei termini “prima di non c’era nessuno che”, perché ogni passo è sempre preparato o accompagnato da piccoli significativi spostamenti. Quindi riconosciamo a tutti i propri meriti, ma eviterei frasi assolute. Fermando lo sguardo solo sul nostro paese incontro maestri che hanno dedicato parte della loro attività alla formazione e all’insegnamento. Pur non occupandomi espressamente di arti figurative, da più di trent’anni colgo nelle proposte di Munari continui spunti e suggerimenti, di un livello che nel trascorrere del tempo si mantiene sempre molto alto. Forse non avrà mai nominato parte destra o sinistra del cervello, non intendo andare a controllare, ma in quanto a sollecitare capacità di vedere, di associare e di produrre credo lavorerà con noi ancora per molto tempo.

  5. Dopo quello che si è visto ieri in Parlamento (io mi ostino a scriverlo maiuscolo ma so che sbaglio…) sono più d’accordo con il titolo del Corriere (la creatività non è nè di destra nè di sinistra), che con quello proposto da Annamaria (la creatività è sia di destra sia di sinistra) 🙂

  6. @ Graziano. Quel che si è visto ieri in Parlamento è più che deprimente, e molto più che preoccupante. Ma, proprio perché non mi riconosco in quanto è successo, continuo a pensare che sia doveroso e necessario cercare e immaginare progetti che vadano oltre. E per farlo è necessario coltivare una visione creativa. Non farlo, invece, vuol dire ritenere che l’attuale regime e i suoi esponenti siano, oltre che immodificabili, immortali. Non credo che sia così. D’altra parte, proprio il nostro cervello – e il post di questa settimana non è casuale – ci dice come percezioni, istanze, codici opposti si possono integrare in modo fertile: ragione e emozione, analisi e sintesi, causalità e analogia, sguardo di dettaglio e visione d’insieme, parole e numeri e immagini e forme e colori, sogno e realtà. Nei gruppi creativi, ce lo dicono numerose ricerche, ad essere fertile non è la presenza di “molti” individui creativi, ma il fatto che ci siano molti individui diversi tra loro per età, genere, etnia, esperienze, estrazione culturale. La diversità, e anche la diversità di orientamento, è ricchezza. E non mi stancherò di ripeterlo. E certo, siamo tutti sfiniti. Ma credo che rinunciare all’utopia sia rinunciare a costruire il futuro.

  7. Ho letto le schede di Oliverio e le ho trovate di grande conforto. Spiego. Conosco una persona affetta da demenza senile (niente di triste! l ‘ho persa e pianta il giorno che non mi ha riconociuto e da allora la considero come una persona nuova ) e quando si affronta il problema cosi’ da vicino, nasce quasi in contemporanea la paura che una cosa del genere possa succedere anche a noi. Leggo alla scheda 21 che la plasticita’ non riguarda soltanto le funzioni motorie e sensoriali, ma anche quelle cognitive. Il cervello si puo’ allenare. Usare il cervello significa allora, non solo ampliarne le capacita’ , ma mantenerlo vivo nel tempo. Conoscere cose nuove, fuori dalla nostra solita sfera d’ azione, vuol dire non solo arricchirsi culturalmente, ma anche far del bene al cervello. Insomma potro’ non inventare niente di nuovo e utile, ma almeno faccio prevenzione. gio

  8. In ogni situazione, anche la più ingarbugliata, ci sono elementi che prefigurano la soluzione e elementi che portano ad un più intricato groviglio. L’attenzione, libera per quanto si può dal blocco dell’emotività, ci fa individuare il punto da sviluppare che ci porta alla soluzione. Ma siamo veramente attenti? o attivi? Il peggior nemico della soluzione (della soluzione-Italia, se si vuole) è pronto a sollevare il polverone delle emozioni per confondere suoni, colori, dettagli e visione d’insieme. Penso che la rivoluzione, invece che per le strade delle città (anche se posso capire), bisognerebbe farla negli emisferi del nostro cervello, destro e sinistro uniti nella lotta.

  9. Sono reduce dal convegno del Corriere sulla presentazione, e dibattito, del 44° rapporto Censis. Ho sentito alcune cose molto interessanti e, appena riesco, ve ne farò sintesi. Alla fine resta, però, una domanda, centrale: ma perchè in alcune sale del Paese si può assistere a discussioni così importanti per il nostro futuro e in altre si parla solo di come aggiungere tre o quattro deputati per durare due mesi in più? Annamaria, e tutte le altre e gli altri: dobbiamo muoverci!!!

  10. L’etimologia è sempre una buona compagna. Se “responsabilità” è la capacità di dare una risposta, se “crisi” è la scelta, le stesse parole della nostra antica lingua ci indicano la strada: diamoci una mossa!

  11. Ieri sono stato al convegno, organizzato dal Corriere della Sera, per la presentazione del 44° Rapporto Censis, a Milano. Evidenzio, in estrema sintesi, qualche mia osservazione. 1 – Colaninno (Alitalia e, ora, Piaggio) ha detto che uno dei nostri problemi, in questo duplicando Marchionne,è che gli italiani lavorano poco. Che fuori dall’Italia si lavorano 27 ore al giorno e in Italia 3 o 4 (testuale). Che per noi valgono solo i diritti e i doveri vengono dopo. Dario Di Vico, penna principe del Corriere, oggi, supporta questa teoria e pubblica un articolo, nella pagina opinioni, dal titolo”La verità che ci nascondiamo: dovremo lavorare tutti di più” e conclude con la frase “sia chiaro, nessuno ci propone di diventare cinesi ma solo di imparare dai tedeschi”. Nella pagina dove viene fatto l’articolo sul convegno, a firma di Paola Pica, e credo che l’idea sia sua, e la ringrazio se così, c’è una tabella di supporto che dice che, fonte Ocse, nel 2009, l’Italia è il primo (PRIMO) paese al mondo per ore lavorate per lavoratore all’anno, 1773, seguita da tutti gli altri e con la Germania (quella dalla quale, secondo Di Vico, dovremo imparare, all’ottavo posto con 1390 ore lavorate ogni anno (il 22% meno di noi). Ma se un capitano d’industria tra i più famosi e importanti d’Italia (si professa di sinistra, peraltro), dice una cosa “tecnicamente” sbagliata, da questa considerazione non si possono che trarre conclusioni e strategie, per forza di cose anch’esse sbagliate; e il il problema è, quindi, grosso. 2 – Ho trovato, invece, coerente, preciso, sviluppabile l’intervento di Giuseppe Mussari, che non conoscevo bene e al quale dico solo: chapeau! Peraltro, in un passaggio, ha anche detto, quasi testuale, parlando implicitamente a Colaninno che, di fianco, scuoteva la testa, “è molto facile per noi parlare con lo stipendio che prendiamo”, a un Paese che ha 2,4 milioni di ragazzi sotto i 35 anni che non lavorano (qualche fannullone ci sarà, per la carità, ma…). Per chiudere, a mio parere, ma sono sicuro di non sbagliare…: il problema vero del Paese è la politica, bipartizan, peraltro,… In alcune sale del Paese, e quella di ieri ne è uno splendidio esempio si può assistere a discussioni così importanti per il nostro futuro, e hanno una stampa limitata ad un piccolo articolo, e in altre si parla, invece, solo di come aggiungere tre o quattro deputati per durare due mesi in più (e le pagine dei quotidiani sono piene solo di queste discussioni…)!

  12. Visto che siamo i primi al mondo per ore lavorative, bisogna considerare anche un altro aspetto molto importante : in che condizioni lavorano gli Italiani ? Oltre alla sicurezza ( i dati sulle morti sul posto di lavoro sono raccapriccianti ), il lavoratore italiano si deve confrontare con un nemico enorme : La Burocrazia, che rende pesante qualsiasi lavoro riducendone notevolmente la produttività. Ad un mio cliente tedesco, per una operazione , ho dovuto presentargli tutta una serie di contratti – firme contro firme e via dicendo, tempo impiegato circa 40 minuti. Mi ha detto sconsolato : in Germania, basta una firma. Aggiungendo :se sbagli però, paghi. Ho detto tutto. Ha ragione Graziano, il problema del paese è la politica, ma mi chiedo : chi ha votato gli attuali onorevoli campioni?

  13. Prendo spunto dall’intervento di Graziano ed esco un po’ fuori tema. Ho sentito dire anche da economisti che in Italia si lavora poco. L’affermazione mi sorprende. Dovremmo lavorare di più? No. Dovremmo produrre di più – e meglio. Se la produttività del lavoro è bassa, se la competitività del paese è bassissima, se il sistema non funziona non serve lavorare più ore. Serve una organizzazione del lavoro più avanzata, serve un livello più basso di corruzione (nel senso più ampio del termine), più trasparenza, più professionalità, meno improvvisazione in tutti i settori per elevare la qualità delle scelte strategiche e dei prodotti/servizi. E’ davvero sconcertante che grandi manager (o presunti tali) dicano cose “tecnicamente” sbagliate. c’è da domandarsi quale visione del futuro del nostro paese ci sia dietro queste affermazioni.

  14. Interessanti e sconvolgenti i test condotti da Sperry su pazienti “split brain” (pazienti con cervello diviso chirurgicamente), dove un emisfero non sa cosa sta facendo l’altro emisfero.
    In pratica: il corpo calloso che unisce i due emisferi viene reciso, in questo modo non si trasmettono più le informazioni reciprocamente.

    Incredibili anche altri casi/esempi, come ad esempio “l’uomo che scambiò sua moglie per un cappello – O. Sachs”: http://it.wikipedia.org/wiki/L%27uomo_che_scambi%C3%B2_sua_moglie_per_un_cappello

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