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Lauree e lavoro oggi in Italia: qualche fatto da sapere

Alcuni giorni prima che l’infelice battuta sugli sfigati che si laureano a 28 anni venisse a intorbidare le acque, la Fondazione Agnelli ha pubblicato con Laterza un limpido rapporto sulla situazione dell’università in Italia.
In estrema sintesi, la riforma universitaria del 2000 raggiunge tre obiettivi:
– fa crescere il numero dei laureati (dai 161mila del 2000 ai 208mila del 2010) e fa diminuire la dispersione (le mancate iscrizioni al secondo anno diminuiscono dal 20% al 17%).
– accelera i tempi della laurea (le lauree triennali si ottengono in media a 26 anni, con un risparmio di oltre due anni. Le magistrali a 27, con un risparmio di oltre un anno nei confronti dei laureati del 2000). E molti di più si laureano in corso.
– allarga la base sociale dei laureati triennali: oltre il 70% sono figli di non laureati. Per le lauree magistrali, invece, questo non succede.
E poi: ancora oggi chi si laurea trova più facilmente lavoro di chi ha titoli di studio inferiori. Ma ormai c’è poca differenza di stipendio tra diplomati e laureati, mentre è aumentata la precarietà. In sostanza: i due obiettivi (soldi e stabilità) che più interessano i giovani e le famiglie non sembrano automaticamente e immediatamente garantiti dalla laurea. Risultato: le iscrizioni all’università non crescono, e in certi casi diminuiscono.

Però uno sguardo ai recenti dati OCSE fa scoprire altre cose interessanti: per esempio, che il vantaggio della laurea, in termini di stipendio, non è immediato, ma dovunque cresce con l’età e l’esperienza. Cresce anche per le donne, ma assai di meno (e, poiché oggi si laureano più donne, è possibile che il vantaggio economico e occupazionale complessivo diventi inferiore, a meno che non si facciano passi avanti verso un’equa e necessaria parità di stipendi e opportunità).
Ancora i dati OCSE ci dicono che l’investimento italiano sull’istruzione superiore è basso e cresce meno che in tutti gli altri paesi censiti, che i laureati sono ancora troppo pochi (20,2% dei giovani fino a 34 anni, contro il 37% di media OCSE), che in Italia facciamo poca formazione permanente e aggiornamento (meno della metà della media europea).
Infine, val la pena di dire che l’istruzione conta, oltre che per i singoli, per il benessere di un intero paese: ne determina la capacità di innovare (che, non dimentichiamolo, è frutto di una creatività orientata e sviluppata dall’istruzione. Il talento non basta…).

C’è dunque da augurarsi che il tema-università venga affrontato con efficacia e determinazione. Magari cominciando a entrare nel merito delle cinque proposte per cambiare le cose che la Fondazione Agnelli fa al governo Monti. Alcune di queste prevedono qualche forma di valutazione dei docenti e delle università. E qui si apre un ulteriore tema spinoso: quali parametri usare? Un recentissimo articolo di Repubblica titola Daremo le pagelle ai professori per fare la classifica delle università, ma c’è da aspettarsi che le cose non andranno così lisce, in parte per cattivi motivi (difesa di posizioni e privilegi), in parte per ragioni buone (valutare la produttività, specie quella umanistica, è tutt’altro che semplice), in parte perché, più che di classificare, si tratterebbe di dare ordine a un disegno che, oggi, appare davvero ingarbugliato.

9 risposte

  1. Un post breve ma ben documentato ed equilibrato, su una materia delicata e intricatissima come questa… Chapeau, Annamaria. Come sempre. Citerò e userò questo articolo nelle più disparate sedi. In rete e fuori.

  2. la triennale si ottiene in media a 26 anni!?!?!?!?!?! 7 anni per completare 3 anni di univesità (peraltro edulcorata)!?!?!?!!?! Scusate, sono senza parole. Perché mi ritrovo a essere d’accordo con Michel Martone….. Valeria

  3. @ Valeria. Guardati pagina 10 del rapporto della Fondazione Agnelli (il primo link del post). Il 40% circa delle lauree triennali si ottiene in corso. Un altro 25% con un anno di ritardo. Non tutte le triennali sono edulcorate. Alcune sì. Non tutte. E non tutte le università sono uguali. Non tutti si iscrivono all’università a 19 anni. C’è tuttora (pagina 16 del medesimo rapporto) quasi un 20% di iscrizioni tardive. E c’è gente che lavora mentre fa l’università. Insomma: ci sono ampie aree di miglioramento. E lo dico (anche) da docente. Ma c’è un sacco di gente, fra gli studenti, che ce la mette tutta. Un giudizio sbrigativo come quello di Martone non aiuta, anche se va detto che si tratta di una battuta infelice estrapolata da un discorso più ampio. In sostanza: credo che l’unica maniera per affrontare il tema in modo efficace sia prendersi la briga di fare tutte le distinzioni necessarie.

  4. Annamaria, sono d’accordissimo sul fatto che una battuta da un esponente governativo, e questa battuta in particolare, sia fuori luogo. E so che non tutte le lauree sono edulcorate, ci mancherebbe. Io stessa sono stata studentessa universitaria lavoratrice. Ma quel 26 è una media imbarazzante! E a furia di distinzioni perdiamo di vista il fatto che un problema, e grave, c’è! Culturale, innanzitutto. Sociale, anche. Economico, pure. Per non parlare di un mondo del lavoro dove questi laureati arrivano già super-maturi. Che in Italia ci siano eccellenze (e ci mancherebbe, ripeto!) è un dato di fatto. Ma per me quel 26 rimane scandaloso. Valeria

  5. A me non spaventano i 26 anni, e penso che di scandaloso ci sia altro: il prima durante e dopo laurea. Prima non c’è orientamento, non esiste infatti alle Superiori un sistema diffuso di conoscenza delle lauree e degli insegnamenti previsti, né tantomeno un’adeguata metodologia di valutazione di capacità e predisposizioni – spesso nascoste o condizionate dal contesto educativo – dei futuri studenti. Durante il corso di laurea si è lasciati a se stessi, isolati dalla realtà lavorativa e dalla situazione occupazionale. Dopo si viene espulsi con un calcio nel sedere, anche con punteggi alti, se non massimi. La flessibilità di cui tanto si parla ma che in questo Paese è giunta distorta, prevederebbe un tutoraggio/orientamento costante dello studente per tutto il suo ciclo di studi fino all’inserimento lavorativo. Solo così si può pensare che le imprese non disconoscano il valore dei loro precari e dei loro stagisti, e quindi inizino a valorizzare una laurea anche da un punto di vista economico/contrattuale.

  6. Però, però. E lo dico da prof, prendendomi tutti i rischi del caso. Se anche certi ragazzi, ogni tanto, si dessero una mossa. Non hai idea delle mail che ricevo, a volte. Per esempio dai tesisti. Il testo tipo è questo: Salve. Sto facendo una tesi su bla bla. Mi dà la bibliografia? (oppure, peggio ancora) Ha qualche suggerimento (così, a caso)? (oppure, peggio peggio ancora) …lei come la farebbe? (oppure, ugualmente peggio) … ho bisogno di un’intervista. In calce trova quindici (sfuocatissime, supergeneriche) domande sull’universo. Conto su una sua sollecita risposta. Distinti saluti. Accidenti. Oggi basta un clic per cominciare a farsi un’idea. Per trovare i testi. Per capire com’è fatta una tesi, di queste minime del triennio. Per trovare articoli interessanti. I nomi giusti delle cose. Dettagliatissime spiegazioni. Basta perfino farsi un bel giro su NeU. Ma invece no. Neanche la fatica di strutturare un quesito sensato, una richiesta consistente, una mail cortese, santa polenta :((

  7. Spero che tu ti renda conto, Annamaria, che se avessi fatto il commento che hai scritto qui sopra da ipotetico ministro (ti vedrei bene…) del governo Monti saresti sbeffeggiata come una Fornero qualsiasi su tutti i giornali e i blog del regno. P.S. Viva il governo Monti (non dettaglio nè contestualizzo, faccio il tifo, e basta)

  8. beh, Graziano…. avrei due vantaggi: – ho avuto un posto fisso per soli tre anni su 38 di professione (dal ’76 al ’79, per la precisione). – posso produrre un’ampia galleria di interessanti esempi autentici.

  9. Anche lo Innovation Union Scoreboard della UE riconosce un miglioramento in termini di lauree e dottorati http://bit.ly/ymRU3F. Mi pare che invece dietro le reazioni alle dichiarazioni di alcuni ministri ci sia una cultura che dobbiamo abbandonare: – lo stesso posto per tutta la vita è destinato a scomparire; non per volontà politica, ma per la fluidità dell’economia. Succede ancora poco qui, ma è un segno di arretratezza, non di società equa – le lauree ritardate sono un segno (per molti, non per tutti) di scarsa serietà: dello studente, e anche delle molte – troppe – università impresentabili

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