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Letti di notte 2: sedici nuovi romanzi italiani, da Frascella a Zucca

Eccovi, come promesso, una seconda puntata di micro-recensioni. Ciascun link arancione vi rimanda alla pagina dell’editore.
Qui potete guardarvi la prima puntata con altri dodici titoli – da Abate a Franzoso – e una spiega di com’è cominciato questo viaggio notturno nella recente narrativa italiana.
E adesso non dite che non trovate mai niente da leggere, eh. 😉

Christian Frascella – La sfuriata di Bet. Tra una famiglia sgangherata e sdoppiata, un’amica incinta, uno sciopero, un amore scolastico reticente, un ricordo spaventoso e un gesto d’impulso che rompe le regole della scuola, la tenera, tosta, ombrosa protagonista femminile cerca di districarsi tra le mille contraddizioni di un’adolescenza vissuta e raccontata senza mediazioni. Scrittura piacevole, vivida e veloce. Divertente.
Fabio Geda – L’estate alla fine del secolo. Due i protagonisti, che all’inizio della narrazione si incontrano per la prima volta: un nonno ebreo, anziano, solitario, intrappolato nel proprio passato e un nipote dodicenne catapultato dalla Sicilia ai monti dietro Genova per stare vicino al padre, ricoverato in ospedale. Due le dimensioni temporali: la storia presente del nipote, la storia passata del nonno, bambino durante le persecuzioni razziali. Lo sguardo sensibile di Geda, ancora una volta, restituisce bene il coraggio, lo smarrimento, la speranza onnipotente dei ragazzini. Intenso.
Massimo Gramellini – Fai bei sogni. “Tutti abbiamo una prova da superare, in questa vita, e la mia consisteva nel sublimare l’esperienza dell’orfano di madre”. Il racconto lucido, delicato, acuto, a volte ironico, a volte struggente (e mai patetico) di un lutto, e dell’intricato percorso per superarlo. Un libro che l’autore dedica “a tutti quelli che, nella vita, hanno perso qualcosa”. Cioè, in pratica, a tutti. Un libro sul diventare adulti. E una buona scrittura, che riesce a non perdersi nel tumulto dei sentimenti.
Andrej Longo – Lu campo di girasoli. Il risvolto di copertina definisce questo romanzo “una fiaba nera”. Il tono fiabesco deriva dall’ambientazione, un Sud estivo infuocato tutto suoni e colori, e dall’invenzione linguistica di un dialetto meridionale che non esiste ma è ricco di eco. Il tono nero viene dalla vicenda: c’è la contrastata storia d’amore tra la bella Caterina e Lorenzo, nipote orfano dello scarparo, c’è una rapina, c’è una violenza, c’è una redenzione. E, come in tutte le favole, la distinzione tra buoni e cattivi è netta. Una storia aggraziata, di assai piacevole lettura. Magico.
Michele Mari – Fantasmagonia. La costruzione dell’immaginario del piccolo Shakespeare. Come i fratelli Grimm raccolsero le loro fiabe. E poi: cacche primigenie e catarri che diventano dipinti magnifici, Pinocchio alla ricerca di papà, la possessione di Emilio Salgari e i sonetti sbagliati di Cecco Angiolieri. Sfizioso.
Francesca Melandri – Più alto del mare. Fine degli anni Settanta: Paolo e Luisa vanno a visitare l’uno il figlio, l’altra il marito reclusi nel carcere di massima sicurezza dell’Asinara. Restano per una notte bloccati sull’isola per colpa di una mareggiata, guardati a vista da una guardia carceraria. Tra questi scarni elementi si sviluppa una storia semplice, importante, intensa, scritta in modo limpido e coraggioso e con straordinaria misura. L’umanità dei personaggi, il contrasto tra la claustrofobia violenta del carcere e l’incanto senza tempo dell’isola… tutto raccontato in modo magistrale attraverso gesti e immagini. Proprio bello.
Marco Missiroli – Il senso dell’elefante. Un condominio abitato da strani personaggi ritagliati attorno a una caratteristica emergente (un ragazzo con handicap psichico e sua madre, un vecchio avvocato gay ficcanaso ma discreto, un oncologo infantile tradito dalla moglie…) e un altrettanto strano portinaio, ex prete riminese. Anita, l’amante dai fianchi larghi. Il Tarocco dell’imperatore. Tutto tenuto assieme da una scrittura frantumata, ellittica, nervosa, per niente compiacente nei confronti del  lettore, e da una storia di solitudini. Non banale, ma non facile.
Giovanni Montanaro – Tutti i colori del mondo. A partire dalla realtà storica della cittadina belga di Geel, la più grande comunità psichiatrica aperta del mondo, Montanaro immagina l’incontro tra un giovane Van Gogh che non ha ancora cominciato a dipingere e l’orfana Teresa Senzasogni, dichiarata pazza senza che lo sia per poter essere ospitata gratuitamente a Geel secondo tradizione. Quanto accade, e soprattutto quanto non accade tra la ragazza e il pittore viene raccontato in un’accorata lettera lunga quanto l’intero romanzo, scritta dopo dieci anni dall’incontro, quando entrambi i destini, quello di Teresa e quello di Vincent, si sono compiuti. Accorato.
Alberto Ongaro – Un uomo alto vestito di bianco. Dopo una misteriosa telefonata il giornalista d’origine italiana Alexander Blackmouth sparisce da Londra all’improvviso. Il suo amico, voce narrante del romanzo, nonostante le minacce della mafia cinese, comincia a cercarlo tra la capitale inglese e Singapore. Una storia d’impianto e scrittura tradizionali e solidi, con molte strizzate d’occhio e qualche citazione diretta dei classici dell’avventura, da Conrad a Maugham, un’apologia del genius loci e qualche lentezza. Esotico.
Laura Pariani – La valle delle donne lupo. Nate in un minuscolo paese di montagna, in Piemonte, cresciute nella casa vicino al cimitero in una famiglia di becchini, due cugine trovano una nell’altra un po’ di conforto a una vita durissima. Ma i maschi di casa non tollerano alcuna complicità o affettività femminile: una finisce in manicomio, l’altra dalle suore. Da quelle parti, la cosa più importante della vita di una femmina è saper fare i lavori di casa, sbassare la testa e tacere. Una scrittura vigorosa dà il sapore selvatico della narrazion
e orale al racconto della maggiore delle due, ormai vecchia, e in passato guaritrice, becchina e, per i paesani, strega, e alla descrizione cruda di vite che oggi sembrano impossibili. Intenso.
Valeria Parrella – Lettera di dimissioni. Parenti e sentimenti, amici, speranze, passione politica e un pezzo di storia italiana e gli umori e gli squarci (materiali e morali) di Napoli intrecciati e raccontati con un linguaggio caldo, ricco e pastoso. Appassionante la prima parte. Nella seconda, insieme alla protagonista e fra le meschinerie della burocrazia teatrale italiana, tutto sembra disfarsi in un vuoto di senso. Struggente e coinvolgente.
Raffaele Simone – Le passioni dell’anima. L’autore è un linguista e questo è il suo primo romanzo. Ambientato a metà Seicento, e scritto in forma epistolare, racconta gli ultimi mesi di vita di Cartesio e la sua sfortunata visita a Cristina, regina filosofa di Svezia che ama interrogare i sapienti. Accurato il lavoro sul testo, che integra in una confezione credibile brani autentici e apocrifi, alterna incontri, intrighi, fraintendimenti e dà conto dello spirito del tempo. Consistente, in tutti i sensi.
Emanuele Trevi – Qualcosa di scritto. Non è un romanzo né un saggio, ma una storia quasi vera. Il protagonista, giovene studioso impietosamente soprannominato zoccoletta, rivive, attraverso la frequentazione dell’esagerata, bisbetica Laura Betti, gli ultimi anni del Pasolini che scrive Petrolio come se si trattasse non di un romanzo, ma di un percorso iniziatico. Bella scrittura, densa, potente, opulenta, contemporanea e senza compiacimenti. Nel primo capitolo, considerazioni sulla letteratura che meritano di essere lette. Intrigante.
Hans Tuzzi – Vanagloria. Intricato romanzo di ambiente altoborghese, ambientato in una Milano quasi contemporanea (gli ultimi fuochi del periodo berlusconiano) e ribattezzata Paneròpoli. 450 pagine che mescolano cultura alta e riferimenti pop raccontando l’interagire di una miriade di personaggi: tra questi, diversi accademici invischiati in trame di potere, ambizione e desiderio, una colta famiglia ebrea funestata da figli deficienti, una correttrice di bozze rancorosa, un decano della psichiatria, i Magnifici Otto, tutti di nome Franco, tutti omosessuali attorno ai cinquant’anni. Scintillante, cattivo e seduttivo.
Marco Weiss – Il bravo soldato. Editore semisconosciuto, bel disegno di copertina, argomento non così frequentato: la storia di un servizio militare fatto negli anni Sessanta. Potrebbe essere una palla e invece no: incipit strepitoso, e poi uno zoo di tipi umani e un’infinità di microvicende insensate che, sfiorando la Storia del periodo, si intrecciano fino a seppellire in una risata stranita e, a suo modo, compassionevole, l’intero sistema. Ottima scrittura, misurata e netta. Merita.
Giovanni Zucca – Mani calde. Le mani calde appartengono a Pier Luigi Bozzi, neurochirurgo collerico e geniale. A sentirle così è Davide, ragazzino di nove anni in coma per trauma cranico. Nel racconto di una doppia guarigione, fisica (Davide) ed emotiva (Bozzi) le voci dei due protagonisti, assorti in un intenso dialogo mentale, si intrecciano con quelle dei genitori, dei parenti, del personale di sala, e con la voce straniera di Patricia Pop, libera professionista del sesso. L’autrice è aiuto-anestesista: sa quel che racconta e lo racconta bene, con umanità e a volte con humour, costruendo una storia tanto semplice quanto vitale.

Una risposta

  1. Dopo l\\\’opinione del giurato, ecco quella dell\\\’autore/ice (cioè di uno o una che è fra quelli recensiti) e che resta ovviamente anonimo. Di libri rilevanti ce n\\\’è uno solo: quello di Trevi. Tutto il resto è \\

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