la creatività e il corpo

Il corpo e la creatività – Metodo 35

Uno degli stereotipi più diffusi e insidiosi sulla creatività consiste nel ritenere che si tratti di una faccenda, come dire? del tutto immateriale, perché riguarda la mente, il pensare, il formulare ipotesi, l’avere idee e talento, l’illuminarsi.
Un’attività quasi incorporea. Puro intelletto.
Non è per niente vero. La creatività è anche corpo, e presenza del corpo, e uso del corpo. Il primo motivo è che il cervello è parte del corpo, e senza un cervello non si pensa. Un cervello è grande più o meno come un cavolfiore, e un po’ gli somiglia. Pesa circa il 2% dell’intero corpo, ma consuma più energia di qualsiasi altro organo: circa il 20% dell’ossigeno e delle calorie.

Moltissimi compiti creativi non coinvolgono solo il cervello. Partiamo dalla definizione oggi più universalmente accettata di creatività: l’invenzione di qualcosa di nuovo che è utile, cioè ha un valore socialmente riconosciuto. Creativity refers to the invention or origination of any new thing (a product, solution, artwork, literary work, joke, etc.) that has value. “New” may refer to the individual creator or the society or domain within which novelty occurs. “Valuable”, similarly, may be defined in a variety of ways.
E ora pensiamo alle mille espressioni creative che producono qualcosa di nuovo che ha valore e non possono prescindere dal corpo che agisce: pensiamo a un pittore, a uno scultore, a un fotografo, a un cantante, a un musicista, a un attore, a un danzatore, a un regista, a un liutaio, un cuoco o un atleta. Ma anche a un antropologo o un etologo che lavora sul campo. A un ricercatore in un laboratorio.

IL PENSIERO E IL GESTO. Una quantità di lavori creativi incrociano sguardo, gesti, manualità, voce, muscoli… uno sguardo alla photogallery di NeU può darvi un’idea. Perfino lo scrivere ha una componente muscolare: qualche anno fa, dopo aver consegnato un libro all’editore mi sono accorta di avere i calli alle mani: un lungo callo da mouse tra mignolo e polso, sul bordo esterno della destra, e quattro calli da zappa sul palmo, sotto l’attaccatura delle dita, perché tutte le volte che mi inchiodavo sul testo andavo nell’orto e ci davo dentro. E quel darci dentro, vi assicuro, era una parte intrinseca del lavoro di scrittura.

E ancora: il lavoro creativo si nutre di emozioni: ma le emozioni non sono altro che intense, istantanee reazioni fisiche a una sollecitazione interna o esterna. Variazioni del ritmo cardiaco, del respiro, della tensione muscolare. E alterazioni della chimica interna.
L’insight, l’illuminazione creativa, è sempre segnato da un istantaneo, riconoscibile contraccolpo fisico: un brivido, la pelle d’oca, un colpo al cuore. A riconoscere un insight non è la mente. È, in modo apparentemente paradossale, il corpo.

IL CORPO COME “MACCHINA CREATIVA”. E ancora: la creatività riguarda la gestione del corpo. L’alternanza sonno-veglia, la capacità di modulare tensione e rilassamento, i ritmi circadiani (c’è chi riescie a combinare qualcosa di buono solo al mattino, c’è chi ci riesce solo di notte. E bisogna tenerne conto). Naturalmente riguarda l’esercizio, per tutte le attività che impiegano il corpo come attrezzo creativo, dallo sport alla danza al canto al suonare uno strumento. Possiamo pensare al corpo intero come a una “macchina creativa”.

E ancora: la creatività risente delle condizioni del corpo. Ne dà conto l’esperimento estremo, e del tutto sconsigliabile, di B. L. Sauders. E devo dirlo chiaro: le sostanze psicotrope non servono e danneggiano la creatività. Lo ricorda David Cronenbergh: drugs and creativity don’t go together for me (…) What I need is clarity. Even not having enough sleep is a problem for me, never mind doing any kind of drugs. Del resto, è l’esercizio stesso della creatività a indurre, con il flow, uno stato alterato di coscienza. Tra l’altro, come ricorda John McIntyre: puoi provare a scrivere da ubriaco, ma la revisione devi farla da sobrio.
Dunque, se proprio volete, al massimo fatevi un caffè. Una passeggiata. Fate buoni sogni quando dormite, e concedetevi di dormire. Poi, dateci dentro a lavorare: mettendoci corpo e anima.

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18 risposte

  1. Quanto corrisponde al vero questa riflessione. Sarei tentato di dire, forse esagerando, che la vera certificazione che la mente, nel suo arrovellarsi, ha realmente prodotto un insight utile la si ha quando il corpo reagisce al contenuto scoperto, sintetizzato e verbalizzato, con un fremito fisico di eccitazione. Una sorta di timbro biologico con cui il corpo conferma la scoperta. Un altro tema da poter aggiungere a quanto scritto da Annamaria, può essere quello relativo al contributo che la pratica “meditativa” può dare alla ricerca di un equilibrio benefico per rendere più fertile un tilth creativo.

  2. Oltre a quanto dice Antonio, si potrebbe dire che il fenomeno creativo nasce da quella che potrebbe essere definita come “empatia” tra il corpo e la mente. D’altra parte proprio partendo dalle cattive conseguenze che la divisione cartesiana tra res-cogitans e res extensa ha prodotto, si potrebbe affermare che oggi il corpo sa molte più cose di quante non ne sappia la nostra mente. Per quanto riguarda la mia esperienza, posso ad esempio dire che molte di quelle che penso siano state le mie migliori campagne sono nate passando l’aspirapolvere o andando in bicicletta…

  3. Proprio questa mattina mi interrogavo su diverse cose e in uno dei voli della mente mi sono ritrovata a riflettere sui limiti che ciascuno ha e come essi siano (o possano essere se riconosciuti) la scintilla della creatività. Superare i limiti è l’origine di ogni pensiero o atto creativo, dove corpo, mente ed emozioni sono tutti chiamati a partecipare

  4. ho fatto il pubblicitario per oltre 40anni e tuttora dipingo e ancora creo immagini e comunicazione. in pubblicità si dice tanto per non essere modesti che un pittore con un’idea campa centanni, ma un pubblicitario deve avere cento idee al giorno per campare.

  5. Ho 79 anni.
    A volte la scarsa memoria, che ho da quando ero bamino, mi aiuta ad accettare nuovi stimoli. Eppure lotto, per contrastare il mio istintivo rifiuto alle numerose novità che mi giungono dal mondo esterno.
    Ovviamente la mia memoria, già tanto carente, sta ulteriormente peggiorando. Mi piacerebbe migliorare la mia creatività.
    Accetto consigli.
    Grazie per la vita che mi regalate.
    Ugo

    1. Ciao Ugo.
      Grazie per aver scritto a NeU.
      Poni una domanda impegnativa. Vorrei pensarci su un po’ prima di risponderti.
      E voglio preparare una risposta argomentata e strutturata: prometto che la metterò nella homepage di NeU, citando il tuo quesito, probabilmente entro la prossima settimana.
      Un saluto cordiale.

  6. Dipingo da molti anni e la mia esperienza conferma l’articolo. L’idea si consolida sollecitata da un suono, da un’immagine o da una frase. Poi, il gesto crea le atmosfere del lavoro: leggero uguale luce; deciso uguale ombra. La gestualità è sostenuta dal respiro che si fa, ora lieve, ora urgente, a seconda delle emozioni che lo sospingono. Le sensazioni che si muovono in me, fanno il
    resto.
    Ecco, io lavoro così.

  7. Quando parlo di creatività penso alla poesia. Ai poeti, tanto bistrattati e declassati. Ai versi di Dante. Perché quando ho bisogno di aria e voglio ossigenare il cervello apro un libro di poesia e le soluzioni spuntano come dei piccoli boccioli.
    Grazie Annamaria Testa.

  8. “E devo dirlo chiaro: le sostanze psicotrope non servono e danneggiano la creatività.”. Falso. Dal punto di vista scientifico, mi risulta che l’LSD – ad esempio – causa sintomatologie e patologie psichiatrice legate a sindromi associabili all’attività creativa. In più, in determinati contesti, questa sostanza aiuta la risoluzione creativa di problemi complessi.

  9. L’idea che lo sforzo creativo e le sostanze che alterano la mente siano strettamente legati è una delle grandi mistificazioni pop-intellettuali del nostro tempo. I quattro scrittori del ventesimo secolo il cui lavoro è soprattutto responsabile di questa mitologia sono probabilmente Hemingway, Fitzgerald, Sherwood Anderson e il poeta Dylan Thomas. […] Lo scrittore tossicodipendente è nient’altro che un tossicodipendente, sono tutti in altre parole comunissimi ubriaconi e drogati. La pretesa che droghe e alcol siano necessari per sopire una sensibilità più percettiva non è che la solita stronzata autogiustificativa. […] Hemingway e Fitzgerald non bevevano perché erano creativi, diversi o moralmente deboli. Bevevano perché è quello che fanno gli alcolisti. Probabilmente è vero che le persone creative sono più vulnerabili di altri all’alcolismo e alla dipendenza dagli stupefacenti, e allora? Siamo tutti uguali quando vomitiamo ai bordi della strada.
    (Stephen King, On Writing).

    1. Annamaria, il tuo appunto non è pertinente: degli Hemingway, Fitzgerald, Sherwood Anderson e Dylan Thomas non m’interesso proprio e come replica valgono come il due di picche mentre si gioca a briscola con carte napoletane. Il mio commento è di carattere neuroscientifico e per questo basta farsi un giro su PubMed. Non m’interessano qui neppure i danni alla salute. La questione è che LSD mostra effetti sui processi creativi e di problem-solving, non del tutto negativi. Se poi si vuole parlare di cultura pop invece che di dati, alzo le braccia come quando si dice che la Terra ha solo 6000 anni.

  10. Benché trovi in buona parte condivisibili le idee e le osservazioni qui espresse, trovo quanto espresso nel seguente paragrafo:
    “E ancora: il lavoro creativo si nutre di emozioni: ma le emozioni non sono altro che intense, istantanee reazioni fisiche a una sollecitazione interna o esterna. Variazioni del ritmo cardiaco, del respiro, della tensione muscolare. E alterazioni della chimica interna.
    L’insight, l’illuminazione creativa, è sempre segnato da un istantaneo, riconoscibile contraccolpo fisico: un brivido, la pelle d’oca, un colpo al cuore. A riconoscere un insight non è la mente. È, in modo apparentemente paradossale, il corpo.”
    abbastanza fuorviante: che le emozioni si traducano in variazioni corporee come il battito cardiaco etc. non giustifica la loro identificazione con questi cambiamenti/fenomeni; sono considerazioni parallele che non possono ridurre l’amore, la paura etc. a mere variazioni fisiche misurabili – la mente e il cuore non sono separati dal corpo da una parete, ma la mente è la mente, non si identifica con il corpo, l’arte, la poesia, il linguaggio, lo scambio umano e anche animale di sguardi testimoniano questo. Stesso discorso per l’insight: anzi, sono anche convinta che certi insight siano per così dire incorporei.

  11. L’insegnamento più grande di ciò che questo articolo afferma, l’ho avuto osservando Renzo Vespignani disegnare. Le sue mani erano la sua mente, lui non stava dipingendo quel bellissimo volto, con le mani ma con tutto il corpo, si percepiva il suo gesto come qualcosa di unico con il suo pensiero, con il suo “sentire”. La gestualità del segno partiva dal collo dal viso, dalle spalle, e stavi guardando non un uomo di 70 anni ma un fanciullo alle prese con il suo sentimento. Condiviso in pieno lo scritto. Continuiamo a credere che le parole che distinguono le cose ne facciano elementi diversi. Sappiamo benissimo oggi come non ci sia affatto separazione tra mano e cervello, fra schiena e cervello e che quando viviamo emozioni esse si estendono da cio’ che chiamiamo mente a tutte le terminazioni nervose. Scrive in proposito Deepak Chopra: “quando tu ridi tutte le tue cellule ridono, anche quelle dei tuoi organi interni, delle mani, così quando sei triste anch’essi lo sono”.

  12. Individuo tre problemi qui:

    – dire che la creatività è l’atto di “inventare un qualcosa di nuovo che è anche utile” lo trovo fuorviante. La pura immaginazione, per esempio, non è un atto creativo? L’atto di immaginare 100 soluzioni diverse per un problema, o 100 diversi usi per un oggetto, anche del tutto irrealizzabili (vedi esercizio di Edward de Bono) non sono atti creativi? Chi definisce cos’è utile? E non diciamo niente sulla creatività di tipo puramente speculativo?
    E ancora: definire la creatività come “l’invenzione di qualcosa di nuovo che è utile, cioè ha un valore socialmente riconosciuto” significa per te anche il contrario, cioè “l’invenzione di qualcosa di nuovo che è utile, cioè ha un valore socialmente riconosciuto” è uguale a creatività?

    – la tua definizione prende in considerazione solo l’”atto” creativo, mentre non dice nulla del “pensiero” creativo, l’attitudine creativa, che è proprio quello a cui il termine “creatività” si riferisce.

    – la tua libera traduzione di “valore socialmente riconosciuto” è, appunto, una libera traduzione dalla definizione originale che citi, dove appunto è specificato l’esatto opposto, cioè che ““Valuable”, similarly, may be defined in a variety of ways.”
    Per te, se un output non è “socialmente riconosciuto”, allora non è frutto di creatività?

    – come nota: io sono contraria all’uso di qualsiasi tipo di droghe, e trovo estremamente triste soprattutto chi utilizza droghe di qualunque tipo nella speranza di aiutare il proprio cervello a essere più creativo. Ma la tua risposta a Andrea Limardo la trovo poco scientifica e molto “di pelle”. Stephen King potrà dare il suo parere personale, ma appunto personale rimane: non lo si può vestire di ufficialità, ne di scientificità. Se scrivi nell’articolo che l’uso di sostanze non aiuta la creatività, rimane un tuo parere personale finchè non citi delle fonti a supporto della tua tesi, come fai con tutto il resto.

    Saluti.
    Emma

  13. Ciao Emma.
    – l’atto di immaginare 100 soluzioni eccetera, nel momento in cui le soluzioni non sono solo “immaginate” ma anche formalizzate (per esempio: nel momento in cui me le racconti, o le scrivi sul tuo blog) ha un’utilità e un “valore” (non economico, certo. Ma anche “utile”, come “valuable” va inteso in senso esteso).
    – quella che chiami “la tua definizione” non è mia. E una delle più antiche, ampie e accettate dalla comunità internazionale.
    Rimanda a un notissimo testo di Henri Poincaré. In questo sito diversi post discutono ampiamente il tema.
    – sì, ovviamente vale l’inverso.
    – chi ti ha detto che il termine creatività “si riferisce” al pensiero creativo? E’ una questione di ordini logici: “creatività” comprende il pensiero creativo, ma è una categoria più ampia. Quindi, se mai, è il pensiero creativo che si riferisce a creatività.
    – King è una fonte che, in fatto di droghe (e, a mio avviso, anche di creatività) la sa abbastanza lunga.
    – E comunque: “One hypothesis is that drugs enhance creative performance, but studies of creativity under normal
    versus intoxicated states do not reveal that drugs enhance creativity (Lang et al., 1984; Lapp
    et al., 1994).” Ecco qui: divertiti con la neurochimica: http://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1076/neur.9.5.369.16553#.UZANHxyMfvg
    la citazione che ho riportato è a pagina 373. Qui puoi leggerti l’intero articolo:
    https://www.ida.liu.se/~729A15/mtrl/creative_innovation.pdf

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