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Pareidolia: perché il cervello vede facce nei posti più strani? – Idee 134

La condividiamo con tutti gli organismi viventi: mammiferi e uccelli, api e pulci, piante, microorganismi unicellulari. È indispensabile per la sopravvivenza. Ne parla Psychology Today: è la capacità di riconoscere schemi, strutture ricorrenti (pattern), e quindi di fare alcune cose molto importanti come distinguere tra le entità che si possono mangiare, le entità che è meglio evitare, quelle interagendo con le quali ci si può riprodurre.
È una capacità che oggi stiamo trasferendo anche ai nostri computer che, certo, non sentono (almeno per ora) l’imperativo di riprodursi, ma già sanno riconoscere configurazioni complesse: facce, voci, parole, impronte digitali. Sull’accresciuta capacità di riconoscere schemi verbali si fonda, per esempio, il miglioramento delle prestazioni di Google Translate.

Gli esseri umani, però, hanno una marcia in più: sono capaci di assegnare un significato simbolico agli schemi e di caricarli, oltre che di un senso, di un valore emozionale. Qualche volta, però, esagerano, e immaginano di riconoscere schemi e coerenze anche là dove c’è solamente pura casualità.
Si chiama apofenia la tendenza che abbiamo a interconnettere configurazioni di dati casuali (numeri, suoni, immagini) riconducendole a uno schema che ha un senso. La parola rimanda al greco apò (από, via da, lontano, separato) + phàinein (φαίνειν, mostrare, apparire, essere manifesto) ed è stata inventata dal neurologo Klaus Conrad. Il caso più diffuso di apofenia riguarda proprio le immagini, e ha un altro nome che viene dal greco: pareidolia, da para (παρά, sopra, al di là, oltre) e eidōlon (εἴδωλον, immagine, forma).

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La struttura visiva che riconosciamo più facilmente è il volto umano. Così, lo racconta il New York Times, è possibile che la signora Diana Duyser di Hollywood “veda” la faccia della madonna nel panino grigliato al formaggio che ha appena preparato. Non lo mangia, e assai laicamente lo vende su eBay per 28.000 dollari. Del resto, c’è chi ha riconosciuto la faccia di Fidel Castro in una patatina, e chi ha visto Madre Teresa in un pasticcino arrotolato alla cannella.

Il fatto è che nel nostro cervello ci sono aree deputate esclusivamente al riconoscimento facciale, e che per riconoscere una faccia ci basiamo su relazioni molto elementari tra le componenti: c’è uno schema a T (occhio-occhio, naso, bocca). Gli occhi sono più scuri della fronte. La bocca è più scura delle guance. E così via. Qui, se volete approfondire, c’è un video in cui Doris Tsao del California Institute of Technology vi spiega come funziona, e come ha fatto lei a capirlo osservando il cervello dei macachi.
Per inciso: non solo i macachi, ma anche i piccioni e i corvi distinguono le facce, e riconoscono le persone con cui hanno familiarità. Plos, invece, ci dice che la capacità di riconoscere facce si attiva, negli esseri umani, entro il primo anno di età e attorno ai dieci mesi.

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Massimo Polidoro racconta
di una passata visita in quel di Pavia, dove su un silos la configurazione di alcune macchie di umidità permette di intravedere un uomo con la barba. E scatta subito il pellegrinaggio dei devoti. (Se avete cliccato sul link all’articolo, già che ci siete andate anche a scoprire che cos’è l’effetto Barnum, e concedetevi un oroscopo automatico a cura del Cicap).
È, invece, lo Smithsonian a ricordarci che anche le automobili hanno una faccia: e come potrebbero non averla? Considerate che i fari sono due occhi più che plausibili e che la presa d’aria è orizzontale è scura. Manca il naso? Pazienza, tutto sommato ne facciamo a meno anche negli emoticon.

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Su Instagram e Pinterest ci sono decine di gallery che documentano la pareidolia: sono sorprendenti e divertenti. E c’è un intero sito che raccoglie centinaia di immagini di oggetti “con una faccia”: purtroppo la qualità delle foto è mediamente modesta. Il posto migliore per confrontare opere d’arte e immagini fotografiche sotto il profilo della pareidolia è il bellissimo articolo di Emanuela Pulvirenti pubblicato su Didatticarte.

10 risposte

  1. A riguardo si può leggere anche “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”, una vecchia ma sempre interessante raccolta di Oliver Sacks, il cui caso che dà il titolo all’intera opera riguarda proprio una persona che aveva la capacità di riconoscere schemi.

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