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Parole: strumenti per costruire, armi per combattere, ali per volare

Ai nostri studenti mancano le parole. Qualche giorno fa esce sul Corriere un articolo allarmato sull’incompetenza linguistica dei ragazzi che escono dalla scuola superiore. Penso uh, ci risiamo. E vado a cercarmi la fonte: un consistente studio dell’INVALSI, l’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema di Istruzione.

In sostanza, gli esperti dell’INVALSI hanno preso in mano 499 prove scritte d’italiano prodotte nel corso dell’esame di maturità 2010 da studenti dei licei e degli istituti tecnici e professionali e le hanno rilette – è il caso di dirlo – parola per parola, facendo attenzione alla capacità di impostare un testo, di scriverlo in modo corretto, di usare le parole giuste e di metterci dentro, magari, qualche idea.

Se vi guardate le schede (pag. 14/16) vedete che si tratta di una valutazione complessa e accurata. Bene: oltre il 50% dei temi esaminati rivela carenza nell’area ideativa. Il 39% errori di impostazione del testo. Il 26% errori di grammatica. Il 22%, errori che riguardano l’uso della parole (pag. 24).
In sostanza, un ragazzo su due non sa mettere insieme uno straccio di testo ordinato, preciso e consistente, e nel 57,6% dei temi non c’è un’idea di fondo (pag. 49). Il 78% degli studenti ha problemi con la la punteggiatura (pag. 29). L’87,9% impiega termini non appropriati (pag. 33)…
Vi invito a investire una ventina di minuti per leggevi i commenti (pag. 37-64), a partire da quello di Luca Serianni, per il valore di quanto dicono e per il bel modo in cui lo dicono.
Conclusione: rilevare negli scritti di ragazzi e ragazze che arrivano alla maturità l’incapacità di elaborare un tessuto coerente in grado di trasmettere un significato chiaro, equivale a rilevare l’incapacità presente e futura di queste stesse persone di sviluppare e trasmettere un pensiero critico sul mondo (pag. 62).
Un tessuto coerente, scrive Serianni. Cioè un efficace intreccio di parole. Se per caso non l’avete visto, a questo punto vi rimanderei all’ultimo post sulla promozione della lettura.
Una parte del problema probabilmente sta da quelle parti, fraintendimenti ministeriali compresi.

E ancora: nel momento in cui è l’espressione formalizzata e trasmissibile di un pensiero, il linguaggio, oltre che espressione altamente creativa in sé, è al centro di qualsiasi processo creativo. Ammesso che abbiano qualche idea in testa, molti di questi ragazzi non sono in grado, per incapacità di tradurla in parole, né di riconoscerla né di raccontarla né di cavarne qualcosa di buono. Un bel guaio, accidenti. È come se avessero in mano il tesoro di due milioni di anni di civilizzazione e non sapessero capire di che si tratta e immaginare che farsene.

Eppure le parole sono strumenti per costruire, armi per difendersi, ali per volare, bussole per orizzontarsi, talismani per cambiare, passaporti e credenziali per essere accolti. Come spiegarglielo, ai ragazzi, usando le stesse parole il cui potere viene ignorato e frainteso?
Vado a cercarmi alcuni video che, anche per immagini, parlano di parole. Ecco Words, bellissimo. Ecco Words hurt, che dice quanto le parole taglienti feriscono. E infine ecco il poetico, struggente Bottle, che va alle radici del linguaggio come scambio (di segni, di doni) che costruiscono identità e relazioni. Ma, senza parole, è difficile elaborare strategie adeguate per incontrarsi. E ci si scioglie in una mare di non-senso.

17 risposte

  1. Ho sempre pensato che saper intendere e volere significasse saper gestire il linguaggio. In realtà anche la comprensione del non-verbale oggi passa attraverso la cultura. Se solo immaginassero quanto rende schiavi la non comprensione e l’incapacità di autodeterminarsi…

  2. Mmm… lo avessimo fatto in Italia, Words Hurt non mi sarebbe piaciuto e avrei detto “possibile che noi italiani…” ecc ecc. Il messaggio che passa è che le parole sono armi, wow, dopotutto anche legali. Fossi un bullo, farei tesoro della lezione 😉

  3. …non sono molto d’accordo sull’aver preso i temi di maturità. Se penso al mio, su dante, era davvero bruttino, corretto scorrevole, ma bruttino. La maturità non è il momento ideale per vedere se un ragazzo è bravo a crivere. Troppa tensione, meglio prendere i temi durante l’anno o quelli dell’anno precedente. il mio miglior tema fatto e letto in classe era della 2 liceo (classico). E poi parliamo anche dei titoli che danno…non proprio il meglio del meglio degli argomenti… Ciò però non toglie una carenza lessicale nei ragazzi giovani, anche parlata.

  4. Ho letto il rapporto INVALSI che condivido in gran parte anche se, come nota Federica, i temi di maturità non sono probabilmente i testi migliori da prendere come base di analisi. Il rapporto è sicuramente completo anche se, dal mio punto di vista, mette su piani simili l’uso corretto del linguaggio come mezzo di comunicazione e l’uso del linguaggio nell’arte dello scrivere. A me sembra che il primo sia un obbligo mentre il secondo può anche essere un’opzione. Come esperienza personale posso aggiungere che, quando ho avuto occasione di fare delle selezioni di personale, ho usato proprio la padronanza del mezzo espressivo scritto come strumento di analisi; prima del colloquio fornivo un certo numero di temi legati alla professione, ad esempio di progettista elettronico, ed invitavo i candidati a scegliere e sviluppare per iscritto uno o più temi di loro gradimento per illustrare le loro competenze, senza limiti di tempo o di pagine. I risultati sono stati letteralmente strabilianti: già dalla scelta dei temi, dal loro numero, dal tempo impiegato si poteva avere una prima idea della preparazione del candidato; poi dall’analisi dei contenuti, della forma, della proprietà di linguaggio, nonché dalla capacità di sintesi si otteneva una vera e propria radiografia del modo di pensare e di organizzare le idee. Il successivo colloquio orale, basato sui temi sviluppati, ha sempre confermato la valutazione basata sull’esame dello scritto. Inoltre, e non è da sottovalutare, i “raccomandati” lasciavano un’indelebile traccia scritta della loro (purtroppo frequente) imbecillità, sollevando da ogni impaccio l’esaminatore che li scartava. La domanda è, purtroppo, la solita… Come ne usciamo..? Come e quando ne usciamo tenendo anche conto del fatto che quei ragazzi di oggi saranno anche gli insegnanti ed i manager di domani..?

  5. Forse, semplicemente non sanno dare nome alle emozioni che provano, anche alle basilari. Non è un problema esclusivo alla grammatica, secondo me, ma anche un problema di conoscenza di se stessi che non c’è, dovuta ad un eccessivo estrovertimento in cui non c’è mai un momento per pensare a se stessi. In tutto ciò, concludo dicendo che quoto Federica. Serena

  6. @ Federica. Capisco il tuo punto, ma non mi sembra che INVALSI abbia considerato la qualità letteraria dei temi. Piuttosto, oltre alla correttezza ortografica e lessicale, la capacità di articolare un discorso che non fosse senza capo né coda e, magari, di metterci dentro qualche straccio di idea. Sta di fatto che – a parte le lettere d’amore che, sembra, non usano più – la stragrande maggioranza dei testi che capita di scrivere in età adulta non riguarda argomenti di assoluto fascino emotivo, a cominciare dalla tesi di laurea per finire con una lettera al condominio, o una petizione perché i giardinetti sotto casa siano tenuti in ordine. E quasi tutti i testi che chiunque scrive per professione, faccia l’architetto o l’avvocato, il marketing manager o il consulente d’impresa, il notaio, il commercialista, l’analista finanziario, il PR, il pubblicitario, e sì, perfino il cronista di nera o il critico televisivo non riguardano argomenti più che tanto appassionanti. A rendere utili ed efficaci questi testi sono le idee che ci stanno dentro, e la capacità di articolarle e argomentarle all’interno di un discorso comprensibile, interessante e magari convincente. Ma perfino il testo di una canzone o un romanzo giallo hanno bisogno di avere un capo e una coda e, dentro, una trama fatta di idee compiute, connesse tra loro e disposte con un buon equilibrio. Insomma: i temi di maturità hanno titoli che sono quel che sono. Ma proprio perché anche i risultati sono quel che sono, secondo me, i temi medesimi aiutano a capire, molto più di un puro flusso di coscienza autobiografico o di una finta performance letteraria, se i ragazzi sanno ragionare in modo plausibile e, poi, scrivere in modo accettabile quel che hanno pensato a proposito di QUALSIASI argomento. Se posso aggiungere un po’ di esperienza sul campo: in questi ultimi sedici anni ho insegnato in diverse università, e sempre – se escludiamo Bocconi – in facoltà umanistiche. Bene: la mia impressione è che la capacità media di scrittura sia andata rapidamente decrescendo a partire dal 2000. Continuo a trovare ragazzi che scrivono piuttosto o molto bene: di solito sono gli stessi che parlano bene, che parlando dicono cose interessanti, che interagiscono e discutono di più e che se la cavano bene agli esami. @ Marcello42: quest’idea di selezionare le persone anche attraverso la scrittura mi sembra davvero eccellente. E non mi stupisce che sia anche così efficace. Come ne usciamo? Mah, non credo che sia facile, e che basti fare una cosa sola. Secondo me potrebbe essere utile fare almeno queste cose: – accendere un’attenzione collettiva sul tema. – cercare best practices e casi virtuosi e raccontarli: ci sono insegnanti che sono riusciti a migliorare in modo significativo la capacità dei scrivere dei loro studenti? Come hanno fatto? Quali tecniche hanno usato? – mettere a disposizione degli studenti del primo anno di università che si sentono incerti con la parola scritta corsi e seminari ben fatti. Alcune università offrono già questa opportunità ai loro studenti. – incoraggiare la lettura, e soprattutto incoraggiare la lettura in giovane età. E’ molto più facile “allevare” un bambino lettore che convertire alla lettura un adulto non lettore (si veda il post precedente a questo). – lavorare sul territorio, usando la rete delle biblioteche. – studiare le esperienze straniere. Ce ne sono diverse che si sono rivelate efficaci.

  7. @ annamaria: certo… incoraggiare la lettura. Sicuramente è la strada migliore e la più efficace. Ci sono insegnanti che lo hanno fatto benissimo, fornendo ai loro allievi gli strumenti per analizzare i testi non solo dal punto di vista dei contenuti narrativi ma anche della struttura narrativa, delle figure retoriche, del flusso temporale, etc… Leggere diventa un bellissimo gioco oltre che una bellissima esperienza emotiva. Non tralascerei, come esperienza emotiva, il fascino del leggere a voce alta, sia da soli che in coppia: le parole pronunciate sono molto più belle e coinvolgenti delle stesse parole lette con il pensiero. E’ un’altra cosa che si è un po’ persa, ed è un peccato..! Poi ci sono anche le “tecniche”: si può scrivere bene anche senza essere degli scrittori, basta essere ordinati, applicare alcune semplici regole e capire – soprattutto – che un testo si scrive una volta e si legge N volte. Quindi anche se si spende un po’ di tempo nel migliorare un testo per renderlo più comprensibile, più univoco, si farà risparmiare tempo a tutti gli N lettori.

  8. Dobbiamo prendere atto che, tristemente finchè vogliamo, la rilevanza sociale delle capacità che si trattano in questo post è in declino. Mi capita di frequentare quotidianamente (da umile lavoratore) dirigenti intermedi e responsabili di vertice di aziende importanti. Credetemi: l’apprezzamento per queste capacità non esiste. Non sono ricercate. Dove prevale la cultura del realizzare c’è l’esibizione di un pragmatismo per cui queste abilità risultano un impaccio. Dove, più spesso, c’è una cultura di conservazione e di piccolo cabotaggio, i riti della corte si sposano meglio con la vaghezza e l’acquiescenza. Un ragionamento solido è un po’ pericoloso. Anche io lavoro con le parole e con i disegnini, porto in giro delle slides che finiscono quasi sempre per essere una mediazione tra posizioni strutturalmente inconciliabili, alla quale si applica un’impossibile pretesa di condivisione attraverso il travisamento, la riduzione del contenuto e l’affronto alla logica. Credetemi di nuovo, i clienti le preferiscono quando fanno schifo, quando sono farcite di dettagli inutili, quando violano tutti i principi di una comunicazione efficace. Mi piacerebbe oppormi. Studiare e comunicare su questi temi è necessario. Ma temo che il mondo stia andando da un’altra parte e chi pretende di elaborare una propria posizione sia ridotto in spazi sempre più marginali e dominati da organizzazioni impenetrabili. Non sono la Spectre, ma gruppi con una modalità di cooptazione che non valorizza questa capacità.

  9. Ogni tanto uno dice una cosa e, poi, succede. Evviva: scrivevo qui sopra, giusto ieri, che un buon modo per cambiare le cose è diffondere pratiche virtuose. Lo fa oggi La Repubblica con un articolo intitolato La buona scuola – se l’innovazione sale in cattedra

  10. Pro Invalsi, contro Invalsi , tradizione, modernità, calma piatta, laboriosità, bla bla, nella scuola c’è di tutto. Ma le parole, le vere protagoniste a scuola sono volatili. Si scrive poco, pochissimo : gli studenti qualche testo l’anno (per le verifiche obbligate, i docenti idem , scrivono? come e quando?) . Le parole volteggiano, balbettano , evaporano nell’aria e quando atterranno ti guardano sconsolati: ma lei è proprio fissata con lo scritto. “Fissati” dello scritto comunichiamoci perchè diamo certe consegne, cosa funziona di più, gli inciampi, i successi, le scritture varie e variabili che possiamo bilanciare a quell’oralità continua , così indispensabile!?. Sempre grata ad Annamaria \ collaboratori e lettori perchè mi smuovete quel po’ di pensiero mircaB

  11. La scuola ha fallito. Gli sforzi di questa classe dirigente scolastica non hanno dato frutti. Viene da chiedersi se sono stati ben investiti i nostri denari. L’unico messaggio che la scuola può dare è la voglia di saper di più e la sua importanza. Tutto ciò e’ altrove, se mai questi ragazzi dopo anni di questa scuola avranno ancora la voglia di cercarlo.

  12. No, non lo trovo più. Ma, cercando, ne ho incrociato un altro, mica male. E ti propongo quello.

  13. Credo che una grande responsabilità, circa l’uso inappropriato delle parole, sia da attribuire agli addetti ai lavori (insegnanti, giornalisti, pubblicitari). Un esempio recente su tutti: pubblicità l’Oreal (a proposito di un fondotinta) vi si declama la “coprenza” del prodotto.
    Che dire?

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