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Progetto fotografico: scatti seriali per catalogare mondi – Idee 140

È curiosa l’idea che sta dietro Camera restricta, il prototipo di macchina fotografica “disubbidiente” concepito dal designer Philipp Schmitt. Grazie a un sistema di geolocalizzazione, la Camera resticta impedisce di scattare foto in luoghi già troppo fotografati. Va detto che, però, non ce la fa a disubbidire coi soggetti troppo fotografati: gattini, tramonti e tranci di pizza, per esempio.

Se la ripetizione è stucchevole, la serialità è, invece, ancor più che affascinante: ipnotica.
Certo: la serialità non funziona coi tranci di pizza e, temo, neanche coi gattini. Ma guardate che cosa succede quando il progetto fotografico di un autore riesce a configurarsi non solo come visione, ma come catalogo di possibili e molteplici aspetti del reale.
Eccovi, dunque, cinque casi (più uno) che, anche se non siete addetti ai lavori, val la pena di conoscere e, soprattutto, di guardare.

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1) KARL BLOSSFIELD E LE GEOMETRIE VEGETALI
Blossfield è uno scultore tedesco. Insegna al Museo d’Arti Decorative di Berlino. Comincia a scattare foto di piante per motivi didattici, costruendosi da solo una macchina fotografica capace di ingrandire fino a trenta volte il soggetto. Nel 1928 pubblica gli scatti migliori del suo progetto fotografico in un libro intitolato Forme d’arte in natura (Urformen der Kunst) che lo rende rapidamente celebre in tutto il mondo. Sono sue le prime due immagini che vedete in questo articolo. Qui potete averne una visione d’insieme. E anche qui. E qui potete sfogliarne alcune.

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2) AUGUST SANDER E LE CLASSI SOCIALI
Anche August Sander è tedesco. Da ragazzo lavora in miniera. Si appassiona alla fotografia facendo da assistente al fotografo che lavora per la compagnia mineraria. Si fa prestare da uno zio i soldi per comprarsi una macchina fotografica, e a meno di trent’anni è proprietario di uno studio.
Nel 1911 comincia a scattare ritratti per un progetto fotografico che intitola di Gente del ventesimo secolo. Vuole mettere insieme un catalogo della società tedesca, diviso in sezioni: Contadini, i Commercianti, le Donne, Classi e Professioni, gli Artisti, le Città e gli Ultimi (veterani, vagabondi e senzatetto). Sessanta di questi ritratti entrano in un libro pubblicato nel 1929, e intitolato Volti del tempo. Sander viene perseguitato dai nazisti, e suo figlio muore in prigione.
È considerato il maggior ritrattista del primo Novecento. Sul sito della Tate Gallery trovate un’ampia rassegna delle sue immagini (clic su ciascuna per ingrandire). Qui un interessante commento di Michele Smagiassi che offre, del lavoro di Sander, un’ulteriore chiave di lettura.

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3) VIVIEN MAIER E IL SUO RIFLESSO
Spostiamoci a Chicago. Vivian Maier fa la bambinaia. Nel tempo libero, a partire dagli anni Cinquanta e per oltre cinquant’anni, gira per le strade della città scattando foto. Spesso cattura la propria immagine riflessa in un vetro, nella vetrina di un negozio o in uno specchio. Oppure fotografa la propria silhouette, o la propria ombra. Più che un progetto fotografico è un’ossessione. Mette insieme un archivio di oltre 150.000 negativi, stampe e film in super 8, ma tiene tutto nascosto. La scoperta dei materiali, e di Vivien Meier, avviene per caso, dopo che l’intero contenuto del magazzino in cui Maier conserva da anni il lavoro di un’intera vita viene sequestrato e messo all’asta per via di un affitto non pagato. Qui alcuni degli autoritratti di Maier. Qui qualche altro scatto e un articolo di Brain Pickings.

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4) BERN E HILLA BECHER E L’ARCHITETTURA INDUSTRIALE
Torniamo in Germania. I coniugi Becher, entrambi in precedenza studenti della Kunstakademie di Düsseldorf, alla fine degli anni Cinquanta cominciano a fotografare strutture industriali nella valle della Ruhr. Nei decenni seguenti fotografano fabbriche e strutture affini in Europa e negli Stati Uniti, ordinandole per tipologie. A partire dagli anni Settanta, il progetto fotografico dei coniugi Becher viene ospitato in diverse mostre e musei. Qui potete vedere la rassegna del MoMa (fate clic sulla fila di piccole immagini al centro della pagina). Qui un commento del Guardian. Qui un video, con un’ampia raccolta di immagini e i commenti fuori campo degli autori.

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5) CINDY SHERMAN, L’IDENTITÀ E LA METAMORFOSI
Cindy Sherman comincia a fotografare se stessa quando ancora frequenta il Buffalo college, nei primi anni Settanta. Incrocia arte concettuale, lavoro sugli stereotipi, travestimento. Il suo progetto fotografico consiste nel modificare la propria identità mettendo in scena intere gallerie di tipi umani femminili. Dice: all’interno del mio lavoro io mi sento anonima. Quando guardo le mie foto non vedo mai me stessa. Non sono autoritratti: divento una persona differente. Con la serie Untitled film stills cattura i cliché femminili cinematografici (la vamp, la ragazza smarrita, la donna in carriera, la vittima). Il New York Times la definisce “l’angelo provocatore della fotografia”. Qui la rassegna del MoMa: guardatevi i ritratti storici, tanto intensi quanto disturbanti (gallery 6), per esempio

progetto fotografico(+1) PINE E JACQUELINE WOODS E IL CATALOGO DELL’OVVIO
Può una eterogenea raccolta di foto banali scattate da sconosciuti trasformarsi in un progetto fotografico non banale? Forse sì, grazie al magico potere ordinatore della catalogazione.
Immaginate centinaia di scatti di persone che fanno la stessa identica cosa. Nella stessa identica posa. E immaginate che le foto vengano ordinate nello stesso modo in cui – lo racconta Michele Smargiassi – i coniugi Becher ordinano le loro architetture industriali. Se volete vedere il lavoro che i Woods hanno fatto su migliaia di foto raccolte a caso, e trasformate in serie di immagini che hanno un senso, lo trovate nel sito che presenta The American Typologies.

Infine: è Paul Fusco l’autore di una delle serie di immagini più emozionanti mai scattate. Siamo nel 1968. Robert Kennedy è stato appena ucciso. Qui su NeU potete leggervi l’intera storia, che è a sua volta emozionante.

3 risposte

  1. Affascinanti e molto interessanti le immagini di Blossfield.
    Ombre, sfumature e contrasti regalano forme e composizioni davvero uniche.
    Vivian Maier potrebbe essere definita geniale e maniaca, o forse semplicemente “pioniera del selfie”, in particolare del tanto celebrato e considerato “nuovo” (oggi) selfie-allo-specchio.

    Chissà cosa avrebbe potuto produrre con uno smartphone tra le mani ed uno spazio web a disposizione, ma la risposta non è poi così complessa perché “Vivian Maier” vive ancora … proprio dentro molti di noi.
    Basta fare un giretto nella grande rete per rendersene conto e “ritrovarla” .

    Il fascino del bianco e nero è indiscutibile e mi appassiona sempre più, a partire da capolavori come quelli citati nel post principale passando dal cinema muto di Mèlies (www.youtube.com/watch?v=8OmqWrn6EMs) o Griffith (www.youtube.com/watch?v=I3kmVgQHIEY) che ho scoperto solo recentemente.

    Grazie Annamaria

  2. Mi discosto un po’ dal tema offerto da Annamaria: scatti seriali. Desidero annotare una riflessione su Viviana Maier e renderle omaggio.

    Vivian Maier era una fotografa di strada: aveva un talento che, come diceva Cartier-Bresson le permetteva di cogliere “il momento decisivo”. Si nascondeva dietro la sua Rolleiflex e spiava le città, Chicago e New York, negli anni cinquanta e sessanta.

    I suoi rullini sono stati portati alla luce dopo la sua morte e hanno illuminato il nostro tempo *_))

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