quanto vale la cultura

Quanto vale la cultura? – Idee 40

Questa volta NeU vi parla estesamente di un singolo documento. Che, però, basta e avanza. Si tratta di un documento consistente. Ed è ben scritto, con esempi e case history. Dice quanto vale la cultura in Europa: tanto. Anzi, tantissimo. È stato preparato per la Commissione Europea. Si intitola L’economia della cultura in Europa. Si propone di valorizzare l’impatto delle attività culturali e creative sull’economia, l’innovazione, la crescita, la competitività, l’occupazione.
È stato pubblicato nel 2006, ed è passato praticamente sotto silenzio: qualche numero, specie per quanto riguarda l’ICT, andrebbe aggiornato, ma il senso globale resta, ed è impressionante Vi invito, almeno, a scorrerlo. A scaricarlo e a conservarlo. E a tirar fuori questi dati ogni volta che sentite qualche sciroccato dire che la cultura non si mangia.

DALL’ARCHITETTURA AL WEB. Nel documento si parla di molti di noi che ci occupiamo di design, architettura, pubblicità, moda, fotografia, artigianato, cinema, musica, radio e TV, libri ed editoria, web, videogiochi, teatro, arti visive e dello spettacolo… e si parla anche di tutela e valorizzazione del patrimonio costitituito da musei, biblioteche, siti archeologici e archivi. Di turismo culturale, di festival…

UN IMPRESSIONANTE RITMO DI CRESCITA. Tutta ‘sta roba fattura, nel 2003, più di 654 miliardi di euro. Ben più del doppio dell’intera industria automobilistica (271miliardi). Contribuisce al PIL UE più di tutte le attività immobiliari. E cresce, in cinque anni, del 12.3% in più della crescita economica globale (questi e altri dati a pag. 7).

QUANTO VALE LA CULTURA NEI DIVERSI PAESI EUROPEI. In Italia vale il 2.3% del pil. In Uk il 3%. In Francia il 3.4% (pag. 72). In quasi tutti i paesi europei il settore della cultura e della creatività offre il maggior singolo contributo alla crescita della ricchezza nazionale (tabella a pag. 74).
Nel 2004 quasi la metà degli addetti al settore culturale ha una laurea o un diploma, contro il 25.7% dei laureati sul totale dei lavoratori (pag. 95). Ma c’è un’altissima percentuale di lavoratori autonomi (pag. 99) e temporanei (pag. 102). E una quantità di microimprese.
È il nostro mondo. Se vogliamo difenderlo e promuoverlo, dobbiamo saperne qualcosa. Guardate quel che succede a Londra e a Berlino (pag. 177), ma anche a Graz (pag. 184). O ai Rom di Bucarest (pag. 194).

AGGIORNAMENTO: se volete qualche dato più recente, guardatevi questo articolo uscito su Tafter Journal. O lo studio di Ernst&Young sull’industria culturale e creativa in Europa, presentato a fine 2014..

16 risposte

  1. Grazie NU. Questo voluminoso documento lo leggerò attentamente e chissà che non ci aiuti a ribaltare una serie di luoghi comuni che viziano le analisi e le politiche economiche del nostro ministro del tesoro. Per far ripartire l’Italia, oltre a cambiare governo, dovremmo cambiare anche lo sguardo sul mercato. Antonio

  2. Non sembra possibile prelevare il file pdf. Sono l’unico? Il server sembra non rispondere dopo aver caricato i primi KB.

  3. Davvero è importante avere questi dati, ma sospetto che dal 2006 siamo caduti un po’ più in giù e non per pessimismo della ragione. Il Pil è del 2006… ma oggi? la cultura e il suo pil di conseguenza, hanno subito bastonate non indolori da cui occorre ricostruire una vera cultura non quella del mercato, ma quella del pensiero e delle opere. Sperare in un nuovo governo è utile, ma prima mi leggo questo documento corposo del recente passato e poi spero di credere in un progetto realizzabile: farci tutti un po’ carico… che sarebbe nuovo e utile anche da ora. ‘benandrina’

  4. Ciao Paolonobile, grazie per la segnalazione: a noi della redazione comunque non risultano problemi legati al download del pdf, con nessuno dei principali browser in circolazione. Facci sapere nel caso incontrassi ancora difficoltà. Neuromante

  5. Ciao Benadrina, ciao Antonio. Credo che questo documento sia importante, e meritevole di essere diffuso, per diversi motivi. Eccone alcuni: – per la prima volta prova a individuare il territorio vasto e accidentato della produzione culturale e creativa. E ne offre una catalogazione per quanto possibile sistematica. Prima, era tutto avvolto nelle nebbie. – dà dei valori e dei parametri di confronto. E’ quanto serve per farsi un’idea dell’importanza globale del settore, al di là delle percezioni soggettive. – individua trend e ambiti di attenzione, alcuni molto positivi (per esempio l’alta scolarità media degli addetti ai lavori, o la crescita percentuale superiore a quella percentuale del totale della crescita economica), altri da migliorare (la polverizzazione. La condizione precaria di gran parte degli addetti. La scarsa produttività di alcuni sottosegmenti, paragonati con altri…), altri ancora da approfondire (la necessaria flessibilità. Gli alti livelli di specializzazione richiesti… e, naturalmente, le diverse politiche di investimento nazionali). – segnala quanto la produzione creativa e culturale è importante per lo sviluppo del territorio, e specialmente per le grandi città. E’ possibile che diversi numeri siano, in questi ultimi anni, cambiati. Sono certa che i numeri dell’ICT siano molto cresciuti. E che quelli della pubblicità siano calati. Ma non credo che l’importanza relativa del settore sia diminuita. Anzi, può darsi che sia addirittura aumentata, vista la flessione recente di alcuni mercati importanti (quello dell’automobile, per esempio). @Paolo: ho riprovato anch’io, e il doc, mi pare, si scarica agevolmente. L’abbiamo inserito in NeU così resta facilmente reperibile per tutti.

  6. @Annamaria e @Neuromante: ora carico bene il file. Non so perchè questa mattina non voleva saperne. Grazie.

  7. Grazie, è davvero importante contribuire a far circolare questo documento. Farò del mio meglio!

  8. Mi fa davvero molto piacere che, a distanza di anni, si continui a citare questo importante studio. E’ stato proprio quello che ha permesso alla Commissione europea di cominciare a delineare una vera e propria politica delle industrie culturali e creative.

  9. @ vmontalto. Una delle conseguenze del documento è stata la decisione di istituire, nel 2009, l’anno europeo della creatività. Purtroppo non si può dire che l’edizione italiana abbia lasciato un segno, in termini di migliorata percezione del fenomeno o di nuove iniziative. La cosa si è risolta con qualche convegno. Oggi la pagina web dedicata è del tutto abbandonata. Una piccola, ulteriore conseguenza divertente è stata la citazione di NeU fra le fonti segnalate per il tema sulla creatività assegnato nel corso degli esami di maturità di quell’anno (probabilmente Gelmini si è distratta un attimo). Tema, peraltro, svolto da una percentuale irrisoria di studenti. Credo che valga la pena di riprendere il discorso per due motivi: a elezioni concluse, e con i problemi di bilancio che ci sono e la propensione a fare tagli di spesa indiscriminati, gli scarsi investimenti italiani nel settore continuano a essere a rischio. Mentre, ad esempio, andrebbe migliorata la produttività di alcuni comparti, e di altri andrebbe stimolata la crescita. D’altra parte, è cambiato il governo di alcune tra le maggiori città italiane. Per le quali creatività e cultura sono rilevanti fattori di sviluppo. Torino, per esempio, in questi anni l’ha dimostrato. Milano, Napoli potrebbero farci un pensiero.

  10. Ne sono sempre stato convinto. E non parliamo del potenziale! Proviamo a pensare tutto ciò che non si fa e a tutto ciò che si potrebbe ancora fare! Soprattutto in Italia. Enzo Di Leo

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