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Roma, 15 ottobre, violenza: il grado zero del senso

Oggi avrei voluto pubblicare un post sul linguaggio. Rimando, ma di poco, anche perché il tema del linguaggio – il modo in cui funziona, e il suo potere – c’entra, e molto.
Scrivo invece qualche riga sui fatti di Roma. Mi sembra necessario.
Avrete già visto e letto mille cronache. Segnalo comunque il post di Giovanna Cosenza, compresi i commenti (molti sono, a diverso titolo, illuminanti) e i link.
Mi preme, poiché questo è un sito in cui si parla di creatività, isolare tre fatti fondamentali.
– Il 15 ottobre parte una manifestazione mondiale di straordinario peso. È un fatto nuovo: 951 città e 81 paesi coinvolti, secondo gli organizzatori.
– Una cosa del genere sarebbe stata sia impensabile sia impossibile da organizzare prima dell’avvento di internet.
– L’obiettivo dichiarato è il più ambizioso che si possa immaginare: rimettere in discussione le regole dello sviluppo economico. Che non stanno funzionando. Vuol dire tout court rimettere in discussione il futuro per cambiarlo in meglio, o in meno peggio.

E in che cosa si risolve, qui, tutto questo? Santa polenta, in un corteo. Dico: un corteo. Come quelli che facevamo nel 1968. Prima che l’uomo arrivasse sulla luna. Come quelli che Pellizza da Volpedo immortalava a inizio ‘900. Quando prendeva il volo il primo dirigibile.
E che cosa succede poi? Alcune centinaia di bestiali teppisti spaccano tutto. Come i luddisti inglesi con i telai a fine ‘700, agli albori della Rivoluzione industriale. E forse il paragone non è così peregrino, se Anarchopedia rimanda dalla voce Luddismo alla voce Black Bloc.
Bene: abbiamo una pazzesca novità in termini di partecipazione globale, su una sfida pazzescamente difficile e urgente, lanciata con uno strumento (il web) pazzescamente efficace. Tra l’altro, efficace non solo in termini di organizzazione, ma anche di soluzione di problemi complessi attraverso la cooperazione (non so se a voi ha fatto lo stesso effetto, ma io dalla storia di Foldit sono stata davvero impressionata). E avrete notato tutti come il web sia stato determinante, qui a Milano e non solo, nel corso dell’ultimo confronto elettorale.

Faccio due domande ingenue.
Dov’è finita l’energia creativa del movimento?
Non c’è una spaventosa sproporzione tra l’enormità e la complessità del problema, i rischi dell’affrontarlo, la povertà e l’arretratezza del linguaggio con cui lo si sta affrontando nonostante la novità degli strumenti a disposizione?
L’intelligenza non costa niente, se non la fatica di applicarla. La violenza è il grado zero del senso.

27 risposte

  1. Ecco le mie risposte alle tue domande: Dove è finita l’energia creativa del movimento? Secondo me è dispersa nei vari rivoli in cui questo movimento si incunea, grazie (o per colpa, secondo i punti vista) alla pressione dei media. Se lo sforzo del movimento viene letto anche da chi vi partecipa non tanto in termini di risultati fattivi (81 paesi coinvolti, 951 città ecc ecc) quanto in funzione del disastro che meno di un migliaio di persone, in un solo paese ed in una sola città è riuscito a compiere, trovare e ricompattare tale energia diventa una impresa a dir poco titanica. Leggendo i giornali, ascoltando i tg, questo è quello che viene sottolineato in continuazione. Per trovare i dati di coinvolgimento e partecipazione ho dovuto faticare non poco. Non c’è una spaventosa sproporzione tra l’enormità e la complessità del problema, i rischi dell’affrontarlo, la povertà e l’arretratezza del linguaggio con cui lo si sta affrontando nonostante la novità degli strumenti a disposizione? Si, secondo me. Ed è anche vero che chi osteggia questo movimento sembra al momento essere più in grado di gestirlo che non chi cerca di portarlo avanti. Forse perchè la violenza è un linguaggio più diretto e riconoscibile che non una pacifica manifestazione? Ci penso spesso… se esco di casa, mi unisco ad altre persone e con esse vado a dire qualcosa ad altre persone, devo specificare che “manifesto per… o contro….”. Se esco di casa, mi unisco ad altre persone e con esse vado a spaccare vetrine, automobili, testa di altre persone, devo specificare che “manifesto per… o contro….”? Così, a pelle, mi viene da dire (purtroppo) di no. Come se ne esce? Mantenendo la fiducia nell’energia, nella cultura e nella non violenza. Di esempi nella storia ce ne sono parecchi, anche se non legati alle ultime tecnologie. E se, come già successo, lo sport ci desse una mano?

  2. Concordo con le domande tutt’altro che ingenue poste da Annamaria. Credo si debba, però, partire da una chiarezza assoluta:no alla violenza, no al sopruso. Il post di Giovanna è illuminante. Il WuMing ripropone quella che Saviano chiama la macchina del fango: siccome tutti vogliamo opporci, dobbiamo accettare che tra noi ci siano coloro che si oppongono con la violenza. Bene:per me quelle frange sono dalla stessa parte della casta. Usano le stesse armi del sopruso, dell’indifferenza alla volontà espressa dalla maggioranza e, forse, sono corrotti, comprati e usati. Ricordiamo che queste opacità hanno legittimato le prime brigate rosse! Quindi metodo democratico,per prima cosa. Crescere, passare dalla protesta alla proposta, seconda cosa. Significa sporcarsi le mani con i meccanismi di rappresentanza, consolidare la nostra identità attraverso segni , strutture, percorsi continuativi e non episodici. Questo è quello che sappiamo, ad oggi almeno.

  3. Le manifestazioni autoconvocate da movimenti diffusi ma eterogenei che dialogano e si aggregano sulla rete, sono una novità positiva di questi anni, alimentata dalla tecnologia e da un diffuso desiderio di partecipazione. E con questa nuova modalità oggi devono e dovranno fare i conti i partiti, gli stati, i governi e l’intero establishment dell’economia e della finanza mondiali. Questa modalità, però, sconta un difetto in termini di gestione e organizzazione politica che la mette sempre a rischio di infiltrazioni o azioni di parassitismo politico. C’è un corpo grande, fluido e pieno di energia che si mette in moto ma manca la sintesi per la gestione concreta del passo successivo, quando, cioè, la mobilitazione diffusa deve diventare, per esempio, corteo e, quindi, gestione ordinata e utile della contrapposizione con l’assetto istituzionale con cui ci si confronta. La storia dei movimenti di rivendicazione ed emancipazione del secolo passato è piena di esempi significativi (e di sconfitte) ma sono soprattutto le più recenti mobilitazioni in medio oriente che stanno li a testimoniare di quanto sia difficile governare verso obiettivi comuni e ricondurre a sintesi politica, l’impeto rinnovatore fatto di tante anime e sensibilità politiche che si gonfia ed ingrossa emotivamente nella rete e che poi confluisce nelle strade e nelle piazze, nel reale insomma, quasi “senza testa”. Un organismo incompleto, grande ma fragile. Lo si è visto plasticamente nel corteo di Roma di sabato scorso. 500 teppisti mascherati hanno reso invisibili centinaia di migliaia di persone, organizzate solo della loro pacifica volontà di esserci. Un piccolo corpo parassitario ha disarmato, immobilizzato e paralizzato il grande organismo ospite. Secondo me la rete è il mezzo nuovo e rivoluzionario che consente la mobilitazione, la sperimentazione e la congiunzione di nuove culture ed energie politiche ma che, ancora non è in grado di sostituirsi alla prassi del modello perfetto del partito politico tradizionale. Almeno così come si è venuto costruendo e strutturando negli ultimi cento anni in occidente. Modello perfetto che nel nostro paese è messo certamente in crisi dalla pessima qualità della attuale classe politica che però non ne offusca l’efficienza, in termini di gestione di un progetto politico mediato, condiviso e organizzato. La funzione, per dirla con le parole di Antonio Gramsci, di “intellettuale colletivo”: Su questo, secondo me, conviene riflettere e proporre “creativamente” nuove soluzioni.

  4. A proposito di linguaggio, in questo caso come in tutto ciò che riguarda la nostra vita, esso è uno strumento di potere. Quello che è successo a Roma e quello che successe a Genova, a mio parere, sono la testimonianza che viviamo in una democrazia malata, seppur con il pazzesco potere del web, di smobilitare, di farci fare cortei come nel 68. La macchina del fango, dicevano ieri sera al programma Presa Diretta, c’è sempre stato…si ma non vuol dire che questa macchina non debba essere contrastata con tutti i mezzi verbali e non verbali possibili. Ovviamente, quando parlo di azioni non verbali mi riferisco a modi per boicottare in qualche modo il potere, non violenti, ma mi rendo conto che non è facile. Eppure si potrebbe fare. Il linguaggio del potere , la violenza, il sopruso dei black block ha disorientato lo spirito del movimento, il suo scopo è quello di irriderlo, di delegittimarlo, nota politica paleofascista e post fascista, fascista e basta. Che fare? Concordo quà e là un pò con tutti e credo soprattutto che per le prossime volte, bisogni praticamente trovare un modo, magari collaborando con le questure( mah…), anche attraverso referenti politici( mamma mia), sfruttandoli ad hoc a proprio vantaggio( per il bene comune) per arginare questi episodi. Sarà possibile o solo utopia? Oppure attraverso il web si potrà identificarli e riconoscerli tutti, pur con le loro obbrobriose maschere?

  5. Il nero, si sa, copre tutti i colori. E dunque non c’è da stupirsi se la creatività – assai variopinta e diffusa, sabato scorso, per le vie di Roma – è stata oscurata dai “supereroi” in nero, che si sono presi la piazza e le prime pagine di tutti i media. Non voglio parlare delle tante fughe che ho dovuto fare fin dai primissimi momenti della manifestazione. Le mani alzate davanti ai guastatori (s-)facisti e alle forze dell’ordine in assetto antisommossa. Nè di cosa abbiamo dovuto escogitare per uscire indenni dai sampietrini che volavano in piazza San Giovanni e dalla furia che si sarebbe scatenata di lì a poco. Anche quella – forse – è stata un’azione creativa. Non oso pensare a come sia andata per quel gruppo di ragazzi down dal viso dipinto, accompagnati da alcune operatrici per testimoniare i tagli ai servizi pubblici e al socio-sanitario; quei genitori con bambini sulle spalle (cartello “Ci sono anche io fra il 99%”), il gruppo di migranti visti fra piazza della Repubblica e Termini (striscione “Ingaggiami contro il lavoro nero”); i giovanissimi musici vestiti di rosa e i ragazzi che leggevano brani di Dante con il cartello “La poesia è anticapitalista”. Poi i professionisti e precari di ogni età. Così eterogeno, fresco e ingenuo questo serpentone del 15 ottobre. Incapace di isolare definitivamente chi si infilava e sfilava felpe nere e caschi. Veri e propri parassiti del capitale umano e creativo altrui. Sul mio profilo Fb ho postato solo poche foto che raccontano di loro. Quel mezzo milione di persone che non hanno fatto notizia, perchè lo scenario da Genova 2001 ha spazzato via tutto. daniela

  6. Modelli elitisti per interpretare un fenomeno che sta nella pancia della società. Senza contare la possibilità dell’azione (od omissione) esterna al “movimento”. Qui l’intelligenza serve a poco, purtroppo. Come accade spesso.

  7. Uffa. Siamo alle solite. Quelli che sono incazzati e lo saranno sempre anche contro gli indignati. Quelli “polically correct” che si “dissociano da ogni tipo di violenza” Già Di Pietro e Maroni studiano nuove leggi sulla violenza. Gia Bersani dice che basta applicare quelle che già ci sono. Sembrano scene di un film già visto. E un altro fenomeno si mette “di traverso” alla politica e alle idee ormai LOGORE. Io penso che – a prescindere dall’impegno politico – in questa sede si dovrebbe cercare l’ispirazione (l’insight) di un modo creativo di uscire da questi schemi di governo-democrazia ormai consumati e inadeguati alle trasformazioni che globalizzazione, web, multinazionali e quant’altro avvengono di continuo. Insomma: a parte condannare ogni tipo di violenza, abbiamo un’idea di CHE FARE di realmente incisivo, eclatante, geniale, FRAGRANTE… adesso? Eugenio.

  8. Fragrante? Eclatante? Geniale? Eugenio, forse ti stai annoiando. Che ne dici se studiassimo un po di storia. O sei di quelli che vogliono cambiare il “format”: Antonio

  9. Touchè Antonio. E’ che tante volte, ripensando alla proposta di Annamaria, si pensa che le manifestazioni, i cortei, eppoi gli episodi di violenza, le condanne, le dissocazioni… aderiscano a dei clichè oramai consumati di un modo di fare politica, di un LINGUAGGIO (o se vuoi di un format) inadeguato. E qui entro in crisi. Certo, hai ragione; magari a ri-leggere qualche libro di storia non ci farebbe male. Potremmo trovare un’idea nuova. E’ che siamo troppo fissati che la storia si ripete (o sono gli storici che si ripetono).

  10. Rispondo alla prima domanda: la creatività del movimento?…sparita…si imita maldestramente quella degli anni ’60 / ’70, con l’unico risultato di far apparire il movimento, una “triste e folkloristica” rappresentazione di quegli anni. Altro risultato dell’imitazione 68ina, è il rendere inefficace il movimento, tanto da dover poi in un certo senso legittimare la violenza per far sì che il movimento sia ascoltato e rispettato! quasi a dire:”ah, voi non mi prendete sul serio?…ed io sfascio tutto!” Saluti Emiliano P.S. ieri ho visto LA7 le interviste a l’Infedele degli Accampados…eccone uno stralcio per chi se le fosse perse… http://www.youtube.com/watch?v=DavbC78qnSY

  11. “la storia si ripete?”..Corsi e ricorsi storici? Si, ma “la storia siamo noi”, questo vuol dire forse che anche noi ci ripetiamo, siamo sempre gli stessi ed ogni nuova generazione deve sbagliare come la precedente o far bene, se può. Ma messa così, scade comunque nel nichilismo e non mi sta bene. Abbiamo bisogno di una reazione, qualcosa che scuota dal profondo e non dico la solita rivoluzione violenta, sfascio tutto e accerchio il tiranno. Qualcosa di nuovo si potrebbe pure inventare, ne abbiamo i mezzi, abbiamo il web, ma abbiamo il coraggio oppure no? O è come diceva Primo Levi, siamo qui, nelle nostre tipide case, e alla fine” chissenefrega”…

  12. Volentieri riporto quanto ho scritto su facebook come commento allo stesso post. Creativita’ e soprattutto realismo e pragmatismo credo siano essenziali ora. Se posso, io credo che il problema sia l’abuso di potere reiterato e prolungato di chi da troppo tempo sta’ al potere e all’opposizione. E cioe’ io credo che, come altre volte e’ successo nel corso della storia, e’ evidente che siamo alla fine di un ciclo. La differenza e’ che nel passato il potere non aveva mass media che permettessero di veicolare il consenso, non come ora almeno. E l’altra differenza e’ che nella storia i vari cicli si son conclusi con guerre e rivoluzioni finite poi male e che poi spesso si trasfiguravano in nuove dittature. Ora, con creativita’, realismo e disciplina, ed utilizzando alcuni di questi stessi media che per il momento sono ancora liberi, gli “Esclusi” dovrebbero organizzare l’alternativa politica. La rete virtuale per coordinare ed assemblee locali per organizzare localmente e capillarmente l’alternativa politica. Alternativa politica e cioe’ un nuovo partito indipendente e laico. E chi sono gli esclusi? I vari movimenti che nei numeri hanno dimostrato di poter fare la differenza, e cioe’ i vari comitati che hanno organizzato e vinto i referendum scorsi e che hanno raccolto più di un milione di firme per il nuovo ref. sulla legge elettorale, le donne! Le donne e gli uomini di Se non ora quando, la rete dei precari, pensionati che sopravvivono con 3-400 euro al mese, il mov. di Torino Corretti e non Corrotti, in nuovi italiani multiculturali, le seconde generazioni, i giovani in generale ecc… E si dovrebbe anche saper guardare ed imparare da luoghi lontani che una volta definivamo repubbliche delle banane che in questi anni, grazie al grande sonno dell’occidente che si e’ concentrato sul medio oriente, stanno vincendo la loro rivoluzione partecipativa e democratica, ad es. il Brasile su tutti. E poi guardare agli USA, come ha vinto Obama le elezioni? Con una campagna massiva, con un grande movimento popolare, di iscrizione di nuovi elettori soprattutto giovani, afro-americani ed ispano americano negli USA bisogna andarsi a registrare per poter votare. Qui c’e bisogno di una grande campagna per ridare valore al voto. Insomma che gli esclusi che mai sono entrati nelle stanze del potere, si organizzino e si propongano alle elezioni. Deve iniziare un nuovo ciclo e speriamo che le nuove generazioni sappiano preservarlo dagli abusi di potere. Ma dobbiamo avere fiducia, secondo me non c’e’ altro modo, lo so e’ utopia e’ sogno ad occhi aperti, ma anche in quei luoghi che per anni ho frequantato e tutt’ora visito per volontariato e per lavoro, anche in quei luoghi era utopia e sogno, eppure il loro sogno lo stanno camminando un passo alla volta. Chiedo scusa per la lungaggine per gli errori ed imprecisioni, ma ci tenevo a lanciare il mio sassolino nell’acqua, vediamo quanti cerchi ed a voi i sassolino. Grazie ciao

  13. Io credo che non ci siano risposte univoche a queste domande, ma credo che la bomba più esplosiva dell’oggi sia la frustrazione, l’incapacità di vedere un domani degno di chiamarsi futuro, l’impotenza unita all’ignoranza. I movimenti servono, perchè da soli si può raggiungere poco, ma serve anche arricchire le proprie capacità individuali e metterle in gioco, perchè le risposte siano concrete – magari poche e piccole, ma esistenti. Nel mio post di stamattina butto giù qualche idea, o forse in realtà la mia è più che altro una sensazione, un istinto. Sensa slegarci dal movimento globale, cerchiamo ache di trovare soluzioni pratiche ed individuali, tirandoci fuori dalle logiche dominanti e ribaltando la questione: non cosa dovrebbe (ed è vero che potrebbe, ma..) fare il sistema per me, nè cosa posso fare io per entrare nel sistema, ma come posso io servire me stesso e la società al contempo (sennò siamo da capo), a prescindere dal sistema. Teorizzare aiuta a capire, ma se non si FA qualcosa in fretta, le sabbie obili ci risucchiano, ora che le abbiamo “capite”. http://scrivoxvizio.wordpress.com/2011/10/18/dalla-frustrazione-allazione/ Serena

  14. Ecco il punto. La storia NON si ripete, qui. La storia oggi è un documento condiviso scritto da ogni singolo essere umano. Era mai stato così? Se la memoria non mi inganna, credo che non sia mai accaduto prima che la voce di ognuno di noi potesse essere ascoltata in tempo reale dal mondo intero, e il mondo intero potesse contemporaneamente rispondere , avendo tutte le voci il pari peso. E quando parlo di voce non sento il coro indistinto di un corteo, ma la MIA voce, chiara e pulita, che esprime le sue opinioni e le rende visibili, leggibili. E insieme alle opinioni posso condividere concetti, idee, formule, posso scoprire enzimi e posso partecipare a tutti gli eventi del mondo. Posso indignarmi, per effetto dell’osservazione di brutture e di ingiustizie così lontane dall’idea pacifica e democratica che ho della vita, eppure così presenti durante il mio quotidiano, reale e virtuale, vicino e lontano. Allo stesso tempo però posso entusiasmarmi, per effetto dell’osservazione della forza che c’è in questo mezzo, la rete, il web, in cui si realizza per la prima volta la vera uguaglianza sociale. Comunicare è partecipare, condividere è migliorare. Va bene, di slogan siamo pieni, non mettiamoci anche i miei… Insomma, siamo di fronte ad una specie di primo effetto della consapevolezza queste straordinarie risorse. Il grado zero di cui parla Annamaria: eccolo, in tutta la sua espressione. Forse un grado necessario – ovviamente parlo della necessità del corteo, non della violenza. Un corteo fatto all’unisono, come lampadine umane che si accendono contemporaneamente lungo il globo, uno spettacolo che ha lo scopo di sventolare un fazzoletto, di fronte alle porte del potere come per dire: “heilà, ci saremmo attrezzati. Abbiamo accesso al sapere e alle risorse in maniera orizzontale, non potete prenderci più in giro, e soprattutto non ci servono i vostri sistemi loschi, corrotti, complessi e oscuri di far funzionare le cose”. Dov’è l’energia creativa del movimento? L’energia creativa deve trovare il modo, e in parte l’ha trovato, per veicolare il primo, più grande messaggio: tutti gli uomini sono creativi. Altro passaggio è quello di capire che l’energia creativa, se efficacemente usata per comunicare valori sociali, attraverso il web diventa virale ed è capace di realizzare vere e proprie rivoluzioni – si veda il caso del video Vodafone e della primavera egiziana. Come ben dice chi mi ha preceduto, l’energia creativa è nei movimenti che hanno ripreso a credere nei principi di bene comune; è nelle donne, è nelle donne, è nelle donne, è permeata nella rete tutta, e deve asservire al compito di realizzare la vera democrazia. Non c’è sproporzione tra l’enormità del problema e la povertà del linguaggio con cui lo si affronta nonostante i mezzi a disposizione? In parte sì, c’è, ma è vero anche che usciamo – perché ne siamo usciti – da un periodo di “oscurantismo consumistico globalizzato”, che bene non ha fatto all’energia creativa e alla comunicazione in generale. C’è bisogno di fare in modo che cresca la fiducia nel potere che ognuno di noi ha di essere partecipe e di esercitare il giusto peso sulla società, grazie a uno strumento che è stato costruito, è basato e si mantiene su calcoli matematici, dunque è fatto apposta per garantire l’uguaglianza. Dunque cosa dire, io sono a dir poco esaltata dal posto che il mondo potrebbe diventare, se riuscissimo a coordinarci come si deve. Abbiamo gli strumenti, li abbiamo rodati, non resta che continuare su questa strada con impegno e tenacia. Ma stavolta non immagino un corteo, immagino cambiamenti, spinte dal basso, strumenti positivi e virali che possono essere la chiave per cominciare a far girare il mondo come tutti desideriamo che giri, cioè in maniera giusta, equa, pacifica, senza fame, senza guerre, e con molta più responsabilità per ognuno di noi. Io, come giovane, metto tutta la mia forza e le mie energie al servizio di movimenti come quello di Se non ora quando, ad esempio; e non lo faccio per proselitismo, ma perché credo che queste donne, insieme a tanti altri movimenti in giro per il mondo, abbiano riconosciuto, proprio come me, quanto grande sia questo momento per la svolta dell’intera umanità. Grazie a tutti/e.

  15. Riporto da Facebook: D’accordo su tutta la linea. Appartengo ad una generazione più recente, che non ha vissuto quegli anni, e decisamente non capisco questa volontà di replicare i tempi passati. E vuoi perché sono uno studente di Economia, mi trovo in disaccordo con alcune visioni strambe, e mi pongo la seguente domanda: ma costa tanto mettersi a studiare un po’ il tema, per magari trovare delle soluzioni e proporre delle reali alternative? Non sarà un “Non paghiamo il debito!” a risolvere tutto. Il punto è che non vedo i contenuti, non vedo le novità [e chi ha guardato Linfedele ieri sera magari mi capirà…]. Giusto per iniziare, mi è capitato sotto gli occhi questo post di Nouriel Roubini. Per chi non mastica Economia non è semplice, lo ammetto. Ma merita un tentativo: http://www.economonitor.com/nouriel/2011/10/17/full-analysis-the-instability-of-inequality/

  16. L’amico Marco mi coinvolge ed invita in questo dibattito. C’è contraddizione fra la potenziale creatività di un movimento alimentato dal “sogno-desiderio” di un mondo diverso e la necessità di pragmatismo che Marco giustamente invoca. Occorre un linguaggio nuovo… nuovo significa “dobbiamo costruirlo insieme”, perché d’istinto ciascuno usa quello che ha, quello da cui proviene: incontrare il diverso significa imparare una lingua nuova, anche nel caso il “diverso” non è una persona ma una svolta storica. Di Pietro usa il linguaggio che ha e si richiama alla legge Reale… chi si sente impotente usa la violenza (da un lato) o l’arroganza (dall’altro – che è l’altra faccia della medaglia della violenza). Il linguaggio nuovo invece è cosa lunga… costruzione lenta e comune, per veri perdi tempo… come siamo noi che parliamo qui, senza urlare.

  17. Provo a fare un passo avanti. A partire da un altro pensiero semplice. Non possiamo pretendere di veicolare contenuti nuovi in forme vecchie. Non è solo un fatto estetico o espressivo. E’ un fatto funzionale: o collassa la forma, o si corrompe il contenuto. Nonostante la scarsissima dimestichezza, continua a frullarmi in testa una citazione evangelica. Due clic (la magia quotidiana del web) e la trovo. E’ questa, ed esprime il medesimo concetto: “E nessuno mette vino nuovo in otri vecchi, poiché il vino nuovo spacca gli otri, si riversa e gli otri si rovinano. Il vino nuovo va invece versato in otri nuovi e così si conservano ambedue.” … e non dimentichiamoci che, ai tempi, anche quello lì era un movimento che voleva cambiare le cose. Torniamo ad oggi. Il web ha quattro (enormi) ambiti di potenzialità, ugualmente importanti in termini di cambiamento: – è un meraviglioso strumento per organizzarsi. E in questo modo già viene usato correntemente. – Ma è anche un meraviglioso strumento per diffondere idee e messaggi a costo zero, per raccogliere consenso, per condividere storie e metafore capaci di agire sull’immaginario collettivo in termini di motivazione ed emozione. E anche in quest’ambito abbiamo molti buoni esempi. Ma, qui da noi, si è trattato soprattutto di forme di comunicazione spontanea (video, narrazioni), nate spesso in risposta a fatti di cronaca. Pensiamo alla risata collettiva sulla vicenda Gelmini/neutrini, al post “se Steve fosse nato a Napoli”, al tormentone di Sucate… mi sto domandando se non c’è un modo per mettere a sistema tutto questo. E per finalizzarlo non solo al commento del presente, ma anche, in qualche modo, alla narrazione di un futuro possibile e alternativo. – In terzo luogo, il web è anche un luogo ideale per raccogliere idee e proposte di azione, per commentarle e selezionare quelle che (è la saggezza della folla, per citare James Surowiecki) sono più fertili. In quest’ambito si comincia da zero. Mi spiego. Immaginate questo appello: “Ehi, gente, il 15 ottobre ci si mobilita in tutto il mondo per mettere in discussione i paradigmi economici attuali. Qui c’è un elenco dei contenuti, e qui c’è un elenco dei punti critici, il primo dei quali è la non violenza. Dobbiamo proprio fare un corteo, o qualcuno ha idee migliori?” E, forse, qualche idea migliore sarebbe venuta fuori. Oggi si usa la rete in questa maniera in tanti ambiti diversi. E anche qui su NeU c’è una sezione che offre molti esempi di crowdsourcing. Perché non usare il web così anche per inventare, insieme, nuove forme dell’agire politico? – Il quarto punto è il più importante. E spiega perché nel post cito la storia di Foldit, che apparentemente non c’entra. E invece, credo, c’entra eccome. Il web è anche un luogo per elaborare (organizzando la discussione in maniera strutturata e finalizzata, però: qualcosa di molto diverso da quanto succede, per esempio, in un blog) modelli interpretativi e soluzioni originali. Accidenti: qualche migliaio di persone comuni, organizzate attorno a un compito, sono riuscite a risolvere con Foldit un problema sul quale scienziati e modelli computerizzati non cavavano il ragno dal buco. Ma anche: migliaia e migliaia (e migliaia ancora) di persone comuni, con Wikipedia, sono riuscite a mettere a a disposizione di tutti, gratuitamente, un sapere di qualità mediamente buona o più che buona. In una quantità di lingue. Riuscite a immaginare un singolo editore capace di fare altrettanto? Il segreto, per Wikipedia come in Foldit, sta nell’aver messo a punto a monte una struttura piuttosto sofisticata, e capace di ordinare i singoli contributi. E, sarà una faccenda visionaria, ma mi piacerebbe che una sfida del genere venisse lanciata anche sulla messa a punto collettiva di un nuovo modello di sviluppo economico. Questo, fra l’altro, obbligherebbe i singoli contributori anche a studiarselo un po’, il problema, prima di lanciare il loro pezzo di soluzione. E anche questo non sarebbe male.

  18. La creatività del movimento è dappertutto. Basta saperla cogliere. Certo è che il web non ha cambiato il risultato elettorale a Milano. Sono stati i voti, cioé l’alzarsi dal divano dove il flaccido culo riposava e recandosi alle urne. Il web ha contribuito. Ma non è stato decisivo. Questo per dire che la tua analisi è picciola e parziale, a mio modesto avviso. D’altra parte non di corteo si trattava: ma di preludio all’occupazione di tante piazze di Roma attraverso gli accampamenti. Il 15 ottobre voleva essere, nelle intenzioni, lo start-up di un’infezione virale che chiedeva alle persone di riprendersi le proprie vite scendendo in strada e facendo della propria stessa esistenza un social forum: io sono il miglior social forum di me stesso, non facebook o il web. Comunque! Così non è stato. E sappiamo tutti perché. Ora? Ora ricominciamo. A pensare, a immaginare, a lottare. Senza avvitarsi in pessimismi cosmici. sidmicius.wordpress.com

  19. Gentile Annamaria, Roma è anche la dimostrazione di quello di cui parla Charles Mckay (conosciuto attraverso Wikipedia), e cioè \\\’la pazzia delle folle\\\’, o almeno di parte di esse e di come questo si rapporti alle grandi illusioni collettive (frase sempre sua, è il titolo di un suo libro), in questo senso il riferimento ad un virus funziona. Quello che a me sembra un problema enorme è come coniugare la creatività del singolo con le dimensioni, a volte enormi del gruppo, il crowdsourcing può servire a risolvere \\\’collettivamente\\\’ un problema, ma non credo che possa fare altro per lo meno non sul piano della politica intesa come governo di una collettività, la pratica della quale non è ancora riempire un otre vecchio con del vino nuovo. Piergiorgio

  20. @AnnaMaria, sul suo quarto punto: vorrei segnalarti – anche se sicuramente già la conosci – l’iniziativa WikItalia di Riccardo Luna ed altri, che va proprio nella direzione che tu indichi: costruire un sistema in grado di mobilitare energie collettive nella sperimentata certezza che contributi inutili o “cattivi” si elidano da soli. http://www.wikitalia.it Ida

  21. WikiItalia è un bel progetto: va nella direzione che ho in mente, è concreto e versatile. Spero proprio che cominci a funzionare presto, bene e che si espanda. Grazie per averlo ricordato. Quel che sto sognando è qualcosa di per certi versi analogo, con una struttura di articoli aperti a contributi, una raccolta di best practices internazionali e una serie di quesiti aperti da risolvere anche attraverso appelli al crowdsourcing sui temi dell’economia e dello sviluppo. Il presupposto è che le scelte economiche orientano e determinano lo sviluppo, influiscono sul futuro del pianeta e sono – per dirla in maniera paradossale – una faccenda troppo importante per lasciarla in mano agli economisti. O, peggio ancora, ai finanzieri e alle banche. Il fatto è che i sistemi economici contemporanei sono un garbuglio davvero complesso. E, per dirla in maniera evocativa il battito di un tasto alla borsa di Tokyo non solo può scatenare una tempesta alla borsa di New York, ma può anche raddoppiare il prezzo del mais in una paese in via di sviluppo. Qualcosa di simile, ma senza una parte teorico divulgativa -secondo me indispensabile, anche per diffondere consapevolezza e cultura è stato fatto con openideo, un progetto bellissimo che NeU ha presentato qualche tempo fa in questa pagina, dedicata alle forme di cooperazione virtuosa in rete.

  22. … e intanto vi segnalo una buona sintesi delle interpretazioni e delle posizioni riguardanti i fatti del 15 ottobre. E’ uscita sul blog Valigia Blu.

  23. Vorrei azzardare l’ipotesi che la violenza in questione, giustamente comunque definita grado zero del senso, non appartenga alla categoria del teppismo. Pur concordando sulla svuotata creatività del movimento, la violenza che ne impedisce sistematicamente la valorizzazione delle istanze, appartiene ad una precisa strategia di stato, organizzata, puntuale e attivata sotto la forma destrutturata, nei modi e nell’aspetto, del teppismo bieco, proprio per essere percepita e vissuta come fenomeno appartenente all’immaturità e all’inadeguatezza del movimento. Un’arma sicuramente più efficace, per impedire il compimento di un atto partecipativo e democratico, di un manipolo di poliziotti in assetto di guerra. E’ un’arma ormai sistemica che, a suo modo, si esprime come un linguaggio, ambiguo e depistante, ma un linguaggio. E’ come se lo stato e più in generale il potere, lanciassero un messaggio molto chiaro nella sua ambiguità e cioè: rassegnatevi, non c’è nulla da fare, voi, popolo, voce in capitolo non l’avete e finchè qui ci siamo noi, non l’avrete mai. Un messaggio che condiziona a sua volta la correttezza e la funzione di altri linguaggi, come, ad esempio, quello giornalistico o televisivo (ormai pari sono per produzione di menzogne) che per il potere economico che hanno assunto, non sono più in grado di restituire il quadro di una situazione, ma solo di orientare attraverso un’informazione (travestita da cronaca per non destare sospetti) calata dall’alto, autoreferenziale e volta alla soddisfazione degli interessi economici del committente di turno (editore o politico).

  24. Secondo me si e penso stia già accadendo a sprazzi. Ma ritengo un nodo centrale la capacità e la predisposizione delle persone ad affrancarsi intellettualmente ed emotivamente dai media tradizionali, come riferimento principale nella costruzione di una personale opinione sugli scenari che ci circondano. Il problema è che, sia in tv sia nei giornali entrano verità ed escono menzogne, poichè le caratteristiche di condivisione delle informazioni sono di tipo dogmatico, cioè è ancora diffusa e capillare l’espressione “l’ha detto la televisione” e anche chi opera in rete non è ancora immune dall’autorevolezza quasi religiosa del mezzo televisivo (ma ripeto, in qualche misura penso valga pure per i grandi quotidiani); questo impedisce ancora l’affermarsi di un autentico senso critico nei confronti dell’istituzione e del potere. Sembra che a tratti si crei quasi un corto circuito tra il senso di frustrazione del non poter esprimere in mod compiuto e concreto il senso della critica e la voglia di esprimerlo liberamente smarcandosi dall’oppressione intellettuale che esercitano i media tradizionali. Vista da questa prospettiva, la rete appare ancora per molti versi, una sorta di “sfogatoio” alternativo. Forse siamo ancora attorcigliati intorno ai concetti di “facilità” con cui si assorbe dall’informazione passiva e di “difficoltà” ad esercitare in modo attivo intelligenza e senso critico attraverso interazione e partecipazione. Passivo = facile; partecipativo = faticoso.

  25. ‎”Non c’è una spaventosa sproporzione tra l’enormità e la complessità del problema, i rischi dell’affrontarlo, la povertà e l’arretratezza del linguaggio con cui lo si sta affrontando nonostante la novità degli strumenti a disposizione? “. Circa questa seconda domanda che ti poni sono talmente d’accordo che potrei trasformare la tua domanda direttamente in un’affermazione, forte e chiara: c’è una spaventosa sproporzione tra l’enormità e la complessità del problema, i rischi dell’affrontarlo, la povertà e l’arretratezza del linguaggio con cui lo si sta affrontando nonostante la novità degli strumenti a disposizione. E penso sia un interrogativo che coglie nel segno e stigmatizza molte delle ragioni che rendono spesso sterile e frustrante non solo il lavoro di protesta dei movimenti giovanili e l’impegno nel cercare di cambiare le cose, ma ovviamente anche quello delle opposizioni parlamentari. Coglie nel segno nel senso che ritengo l’arretratezza e la povertà del linguaggio una delle maggiori cause della fase di stallo critico che attraversiamo che ovviamente non può che apparire, spesso, come uno scacco all’intelligenza e alla creatività. Lo stallo dell’intelligenza.

  26. Quello che volevo dire prima, è che io non credo nelle frange violente all’interno dei movimenti, nella povertà, arretratezza e approssimazione del linguaggio, quello si; ma la violenza penso sia, restando ovviamente al grado zero del senso, provocata ad hoc dai governi. Non ho le prove tecniche, naturalmente, ma parlando di logica, la prova sta nel fatto che non si organizza una manifestazione di protesta per farla fallire. La violenza non può che venire dal versante contrapposto. Lo so che non ti interessa, in questa sede, capire a chi fa capo tutto questo, ma poiché il tuo pezzo parlava del grado zero del senso riferendosi alla violenza, non vorrei fare l’errore consapevole della grande informazione e cioè ripeto, interpretare i fatti come appaiono esteticamente rinunciando al potere critico, appunto, della logica, in questo caso.

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