Nuovo e utile

Renzi tra inglese italiano e itanglese

Gira in rete un esilarante e impietoso video del nostro presidente del Consiglio, non alle prese con i termini inglesi che così disinvoltamente impiega parlando (network, family, cool, friendly… e, ancora, spending review, jobs act…) come fossero festoni sulla via di un futuro luminoso o moderne formule magiche atte a risolvere ogni problema, ma ingarbugliato in un discorso in inglese. O quasi.
Ancora più inclemente la ri-traduzione nella nostra lingua dei passi salienti. Anche se, va detto, il piscio di futuro ha una sua visionaria potenza suggestiva.

Per carità, nel nostro paese Renzi è (si fa per dire) in ottima compagnia. E poi anche Barack Obama ammette di non saper parlare alcuna lingua straniera, e nessuno fa una piega (ma lui afferma di trovare embarrassing questa carenza).
Dunque tutto sommato e come commenta Linkiesta, che ci importa? Del resto – a confermarmelo è un amico realmente poliglotta – il modo migliore per imparare le lingue è buttarsi, correndo anche il rischio di sbagliare.

Il motivo per cui riprendo qui quello che è poco più che un pettegolezzo, o un aneddoto, è duplice.
In primo luogo, mi sembra che confermi una tesi che vi ho presentato qualche tempo fa: a usare un’esagerazione di termini inglesi, fino a costruire mostri linguistici che a volte non hanno né capo né coda, sono spesso le persone che masticano l’inglese poco e male, e che quindi attribuiscono alle parole in quella lingua un senso più ampio, affascinante, moderno e, lo ripeto, quasi magico. Corollario della tesi: spesso, le persone che masticano l’inglese poco e male non se ne rendono neanche conto.

In secondo luogo, questa sarebbe, per Matteo Renzi, una magnifica occasione per fare (non sto scherzando) una delle cose più creative che un essere umano possa fare: imparare dagli errori e inaugurare due nuovi comportamenti virtuosi.

Primo comportamento: in convegni e occasioni pubbliche con una platea internazionale, può essere sufficiente esordire con una breve introduzione di cortesia in buon inglese, facile da preparare e perfino da mandare a memoria, per poi passare all’italiano lasciando all’interprete l’onere di districarsi tra le metafore e di restituire un senso comprensibile agli anglofoni. Oltretutto l’italiano non è il turkmeno e, come ricorda La Stampa, rimane la quarta lingua più studiata del mondo. La si potrebbe perfino usare ogni tanto. E forse promuovere un poco, no?

E poi, voler bene all’Italia vuole anche dire voler bene alla lingua italiana. La qual cosa ci porta diretti al secondo comportamento: parlando in italiano a italiani, è proprio così difficile dire “amichevole” invece di “friendly”, “rete” invece di “network” e “famiglia” invece di “family”? E se poi ci scappa un “cool” o un “geek”, vabbè, ce ne faremo una ragione.

Lo ripeto un’altra volta per evitare equivoci: il bilinguismo è una cosa meravigliosa. L’inglese è utilissimo, e lo sarà sempre più in futuro.
Ma non solo. Le lingue si mescolano da sempre, e da sempre si imprestano parole: anche gli inglesi dicono “cupola” e “belvedere”, “capriccio” e “allegro”, “studio” e “madonna”. Per non parlare dell’onnipresente “manager”, che viene dall’italiano cinquecentesco “maneggio, maneggiare”.
Ma usiamo anche, e spesso senza rendercene conto, una quantità di parole francesi (guardate questo video delizioso). E, per esempio, abbiamo fatto nostro un ancor più sorprendente numero di parole di derivazione araba: non solo “alambicco”, “azimut” e “cifra”, ma anche “cotone”, “magazzino”, “carciofo”,” limone”, “spinaci”, “zucchero”…

Insomma: non si tratta certo di essere puristi a ogni costo. Antimoderni. Sciovinisti. Fanatici e contrari a qualsiasi mescolanza o contaminazione.
Basterebbe (a Matteo Renzi), e a molti altri, affrontare la lieve fatica di distinguere inglese, italiano e itanglese, parlando (bene, quando serve) in inglese, più spesso e con convinzione in italiano, possibilmente mai in itanglese.
E quando dico itanglese non intendo parlare di alcuni singoli termini inglesi necessari, o utili, all’interno di un discorso italiano, ma di un risotto linguistico indigeribile  (per esempio, guardate il titolo uscito sull’edizione web de La Stampa qualche tempo fa: Personal trainer 2.0: è boom di app per il fitness – La Stampa/Ansa 5/5/2014).

Che ne dite? È così difficile? Si può fare?

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12 risposte

  1. Anche Obama ogni tanto si rivolge in spagnolo ai latinos che vivono negli USA. Non sapendo la lingua si prepara prima, non improvvisa. Quando si ascoltano i messaggi si nota l’accento e la pronuncia, ma sono efficaci e sobri. Non ci vuole tanto anche se la lingua uno non la sa, esistono modo per uscirne con garbo. Saluti
    https://www.youtube.com/watch?v=fRCitjn7Ojs

  2. C’è il rischio, parlando di politici e di politica, di uscire fuori dall’area d’interesse di questo blog. Ma, dato che Renzi si è proposto come il Nuovo in sostituzione dei Rottamandi, ci sarebbe da domandarsi se l’ominicchio in questione è per caso anche Utile. Uno che fa un discorso in questa forma e con quei contenuti –anche nella versione ottimizzata, quella che traduce e mette in bella ciò che avrebbe voluto dire nelle intenzioni, senza scon-pisciamenti– o sa che sta parlando in grammelot e non gl’importa della figuraccia (tutto sommato la posizione di Linkiesta), dato che ciò che vale agli occhi del 41% è sembrare (form follows fiction), oppure, ed è ciò che credo, è convinto di aver fatto un discorso perfetto, audace, anticipatorio, futuribile e al contempo conclusivo, in perfetto stile anglosassone.
    I comportamenti auspicati dalla nostra ospite, condivisi, difficilmente vedranno compimento. Direi, anzi, che non hanno alcuna possibilità. Se per un giorno ho pensato che Renzi potesse costituire un segno di rinnovamento, di progresso, ho avuto subito modo di pentirmi di tale leggerezza. Più di ogni altra cosa il premier, (si può dire: il PdC?) mi ricorda un giocattolo in auge quando lui era un adolescente vestito da cretino (secondo la nota definizione degli scout), un pupazzetto di uno strano animale fantastico, rompicoglioni oltremisura, sempre lì a parlare senza dire un bel nulla: il Furby. Quello che Annamaria ha colto non è un aspetto marginale, io credo che sia la sostanza di un personaggio artificioso e pericoloso, che potrebbe portare a compimento il lavoro incompiuto del suo predecessore e anfitrione.

  3. Buongiorno a tutti.

    Torno da New York e questa nota mi fa nuovamente riflettere sulla mia ignoranza della lingua inglese, ma non trovo soluzioni. Ho cercato di studiarlo: niente. Sono negata per le lingue!

    Invidio chi “si butta” anche se nella fattispecie il ruolo dovrebbe suggerire attenzione come Annamaria consiglia. Io non ho questa la mirabile sfacciataggine con le quattro, ma proprio quattro, parole che mi sono note. Uso i gesti. Lo faccio ovunque e… funziona.

    Premesso questo, concordo pienamente con quanto scritto a proposito dei convegni. Abbiamo una lingua bellissima, il presidente del consiglio ha la sonorità e la gradevolezza fiorentina. Che vuoi di più dalla vita?

    Piacevole il video sulle parole francesi e già che ci siamo riascoltate Edith Piaf

    http://www.youtube.com/watch?v=lu3eSNi__4w

    Oggi è il 14 luglio (*_))

  4. Un post impeccabile, che condivido totalmente. La lingua italiana è magnifica, sogno il giorno in cui gli italiani finalmente la valuteranno al pari della nostra straordinaria cultura alimentare.

    Nota a margine: Renzi farebbe meglio a servirsi di un interprete (il traduttore scrive, l’interprete parla).

  5. Alla mia omonima Fiorella. Ciao.

    Se gli italiani viaggiassero di più, magari non intruppati senza nulla togliere ai tour operator (la traduzione italiana rende meno), si accorgerebbero del piacere con cui giapponesi, americani, etc. mangiano italiano.

    Forse andando in Giappone non mangerebbe solo sushi (*_))

  6. Mi pare ci sia anche un altro fenomeno, che mi piace chiamare “inglese farlocco”, usato anche in pubblicità. Sono frasi o testi poco idiomatici, o addirittura con errori, che sembrano pensati per italiani con una conoscenza scolastica dell’inglese: risultano comprensibilissimi perché possono essere tradotti letteralmente, mentre suscitano parecchie perplessità nei madrelingua o in chi ha conoscenze più avanzate.

    Un esempio a caratteri cubitali visto qualche giorno fa in una stazione di Milano: WITH TIM INTERNATIONAL 3 GB OUR COUNTRY IS INTERNET (foto).

    Mi viene in mente anche cheese nic, il nome dato alle merende a base di formaggio organizzate da un consorzio turistico trentino. È un nome poco efficace in inglese ma perfetto per chi invece ha una conoscenza limitata della lingua, che riesce a cogliere il gioco di parole e probabilmente si sente coinvolto e apprezza.

  7. Barack Obama è un furbacchione che non ha fatto nulla! Anzi direi che Renzi almeno ci prova a parlarla un’altra lingua. Notate (ho votato per Obama e Renzi non è per me un politico di spessore Ma le continue menzioni di Obama come orator o persona non riflettono la verita di uno che ha team di speechwriters e che legge sempre il gobbo. Communicate to Express not Impress

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