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Sistemi resilienti per affrontare il rischio e l’incertezza

È una parola rubata alla tecnologia dei materiali. Per dirla in modo semplice, indica la capacità che un materiale ha assorbire e rilasciare l’energia (per esempio, un urto) che lo potrebbe deformare, tornando allo stato iniziale. È una faccenda di elasticità, insomma.
Il termine “resilienza” si è poi esteso sia ai sistemi informatici (sono sistemi resilienti quelli capaci di resistere all’usura), sia all’architettura (è resiliente l’edificio che può resistere a un evento atmosferico estremo come un terremoto o un’inondazione).

DALL’INFORMATICA ALL’ECOLOGIA. Ma si parla di sistemi resilienti anche a proposito della sfera biologica (per esempio, un organismo) ed ecologica (per esempio, un ecosistema): la resilienza, in questo caso, consiste nella capacità che ciò che è vivo ha di riparare un danno, o di tornare allo stato precedente un’aggressione esterna. o di evolversi per affrontare meglio nuove aggressioni.

DALLA SOCIETÀ ALL’INDIVIDUO. C’è una resilienza propria delle organizzazioni sociali (in questo caso, il termine sta a indicare la capacità di prevedere danni o aggressioni possibili, di rispondere in modo adeguato, di rimediare rapidamente). Oggi si parla diffusamente di resilienza anche in psicologia, per significare la capacità individuale di affrontare stress e avversità uscendone rafforzati.Il Resilience centre dell’università di Stoccolma elenca sette principi validi per rendere più resilienti i sistemi socioecologici. Sono semplici, ma tutti assieme configurano un metodo, e ho la sensazione che valgano per il mantenimento di qualsiasi sistema. Per questo ve li racconto.

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1) DIVERSITÀ E RIDONDANZA. Bisogna mantenere la diversità e la ridondanza. Tutti i sistemi resilienti hanno molti componenti diversi, di qualsiasi tipo (molte specie viventi, molti centri di conoscenza, molte reti con molti nodi…). Quando ruoli e azioni sono duplicati il sistema diventa ridondante, e continua a funzionare anche se alcune parti si perdono o falliscono. In altre parole: “mai mettere tutte le uova in un solo cesto”

2) INTERCONNESSI, MA NON TROPPO. Bisogna gestire la connettività che, in sé, può essere sia positiva sia negativa: sistemi meglio interconnessi sono di norma più resilienti, ma sistemi “troppo” connessi possono propagare il danno ancor più rapidamente.

3) OCCHIO ALLE RETROAZIONI. Bisogna gestire le variabili lente e le retroazioni. Il concetto che sta dietro a questa definizione apparentemente oscura è semplice: spesso un tracollo è preceduto di fenomeni in lento peggioramento, e bisogna intervenire subito, prima che la soglia di rischio sia raggiunta e che diventi troppo tardi. E poi: attraverso adeguate e tempestive retroazioni (feedback) si possono ampliare i fenomeni positivi, incoraggiandone la crescita e l’espansione, e si possono contenere quelli negativi (attraverso sanzioni, limiti, punizioni). I ristemi resilienti hanno meccanismi di retroazione ben rodati.

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4) COMPLESSITÀ E ADATTAMENTO. Bisogna imparare a pensare in termini di sistemi complessi che sanno adattarsi. I sistemi complessi adattativi, (CAS, Complex Adaptive Systems), ecologici o sociali, sono sistemi resilienti perché hanno numerosi collegamenti, su molti livelli. Sono progettati a partire da prospettive molteplici, prevedono la fluttuazione delle condizioni ambientali e sono strutturati per affrontare l’imprevisto e l’incertezza.

5) IMPARARE, IMPARARE, IMPARARE. Bisogna incoraggiare l’apprendimento. I sistemi ecologici e sociali si sviluppano continuamente, e quindi devono di continuo affrontare il cambiamento e imparare a gestirlo costruendo nuovi equilibri.

6) INFORMAZIONE E PARTECIPAZIONE. Bisogna allargare la partecipazione. Un gruppo informato, e che funziona bene, mette a sistema le conoscenze e produce fiducia e comprensione condivisa: due ingredienti fondamentali per sviluppare un’efficace azione collettiva.

7) GOVERNO POLICENTRICO. bisogna promuovere un governo policentrico. Centri di governo diversi possono interagire per costruire e rafforzare regole valide all’interno di un determinato ambito, e possono produrre soluzioni più flessibili e tempestive, basate sull’auto-organizzazione.

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Questo tipo di governo, però, è più esposto a tensioni interne e alla possibilità che si sviluppino interazioni negative. Più la struttura che permette alle parti di interagire è forte, e va oltre il puro scambio di informazioni e la cooperazione episodica, più l’intera rete resta salda, più i sistemi resilienti si guadagnano stabilità.

EQUILIBRIO E MEDIAZIONE. In conclusione: bisogna essere equilibrati, usare il buonsenso, saper mediare tra esigenze differenti e, a volte, contrastanti. Limitarsi a rafforzare singoli elementi che già esistono può non bastare, o può esacerbare squilibri che, invece, andrebbero attenuati per costruire un sistema che sappia coniugare stabilità e flessibilità. Qui una trattazione più estesa.

IN NOME DI BATESON. Ho la sensazione che questo approccio, saggio e lucidamente consapevole, debba molto al pensiero multidisciplinare di Gregory Bateson. Antropologo, sociologo, linguista e cibernetico, Bateson è stato, credo, il primo ad applicare, ancora negli anni ’40 del secolo scorso, il concetto di “sistema” alle organizzazioni sociali e alla sfera ambientale. Ed è diventato l’ispiratore di tutti noi ecologisti della primissima ora.

NON ESISTONO SOLUZIONI SEMPLICI. Viviamo in tempi complessi, non esistono soluzioni semplici e alcune intuizioni di Bateson potrebbero essere utili a costruire sistemi resilienti districandoci anche nel caos e nell’imprevedibilità del tempo presente.
Questo articolo è stato aggiornato a novembre 2017.
Le immagini che lo illustrano sono dettagli degli interessanti lavori di Jen Stark.

6 risposte

  1. Come sempre leggo cose utili e interessanti. Da appassionata di Bateson (e di Watzlawick & co.) pensavo proprio ieri che sarebbe intelligente cominciare a pensare che i problemi di Parigi non si risolvono solo in Siria, né solo a Parigi. E che un approccio alla complessità del problema è l’unico possibile. Credo che imparare dagli errori del passato sia un corollario indispensabile alla resilienza.

  2. Ancora una volta si dimostra razionalmente che da questa crisi, che non è solo conomica, non si esce con la bacchetta magica o con trovate manichee e semplicistico. Si esce con provvedimenti di due ordini di grandezza:- quelli immediati, che riguardano le emergenze planetarie e che finora sono gli unici ad essere pensati, ma non si sono ancora applicati; -quelli a lungo termine, per uscire dalla fase dell’emergenza e che riguardano la formazione e l’educazione di un cittadino più informato, più responsabile delle sue azioni e più rispettoso dell’ambiente e della comunità.

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