talento naturale

Talento naturale? Non fatevi sedurre – Metodo 63

Il talento naturale sembra a tutti sommamente ammirevole e seducente, tanto da distorcere la percezione dei risultati effettivi ottenuti. Perfino negli Stati Uniti, un paese che ha fatto del try harder il proprio mantra, l’idea che un risultato eccellente possa essere raggiunto per capacità innata e senza alcuno sforzo piace tantissimo.
Leggete qui: due psicologi dell’università di Harvard, Chia-Jung Tsay e Mahzarin R. Banaji, si inventano una curiosa procedura per mettere a confronto i modi in cui vengono percepiti i “naturals” (quelli che riescono senza fatica) e gli “strivers” (i lottatori, quelli che devono mettercela tutta).

Nell’esperimento iniziale vengono paragonati due pianisti, dei quali i ricercatori forniscono note biografiche a un pubblico di 103 musicisti esperti: il primo pianista, dicono i ricercatori, è un talento naturale, il secondo è un talento che si è costruito con fatica e dedizione, attraverso l’applicazione e l’esercizio.
A parole, gli esperti interpellati affermano di apprezzare gli sforzi del secondo e gli pronosticano un futuro di miglior successo, ma alla prova dei fatti (l’ascolto di una esecuzione di entrambi i pianisti) tutti dicono che non c’è paragone: il primo pianista, quello che ha un talento naturale, suona meglio.

Peccato che, in realtà, il pianista sia lo stesso, e che le due esecuzioni sottoposte a giudizio abbiano la medesima qualità.
L’esperimento viene ripetuto con un campione più ampio: 184 persone, alcuni esperti e altri non esperti di musica. Il dato clamoroso è che gli esperti appaiono nei fatti molto più sedotti dall’idea di talento naturale di quanto non siano i non esperti.
In una terza edizione dell’esperimento, un campione ancora più grande (549 partecipanti tra esperti e non esperti) deve valutare singolarmente o l’uno o l’altro dei due pianisti.
E di nuovo, perfino in assenza di comparazione diretta, ottiene un gradimento più alto la performance del pianista presentato come “talento naturale”.
Gli autori concludono segnalando che con ogni probabilità il pregiudizio in favore del talento naturale (natural talent bias) vale non solo nel campo della musica, ma anche nel mondo dello sport o dell’impresa.

Che cosa significa tutto ciò? Per esempio, vuol dire che tutti, a livello razionale, siamo consapevoli dell’impegno che ci vuole per ottenere e mantenere buoni risultati in qualsiasi campo. Ma che ci piace dimenticarcene, e cullarci nell’illusione magica che i risultati arrivino senza sforzo, e che proprio l’assenza di sforzo li renda più ammirevoli. Addirittura, siamo tanto più propensi a esprimere ammirazione quanto più ogni idea di sforzo viene esclusa.
Parla di questo anche Annie Murphy Paul, che cita l’esperimento di cui avete appena letto commentando la recente decisione dello scrittore Philip Roth di abbandonare la scrittura. Roth è un autore prolifico e i suoi testi sono fluidi: ai lettori e perfino agli addetti ai lavori riesce difficile pensare che dietro ci sia una fatica nel tempo diventata insostenibile. E infatti anche il Guardian gli fa le pulci, non vuole credere che si stia effettivamente ritirando e cita diversi autori che hanno continuato a scrivere dopo aver dichiarato che avrebbero smesso.

Eppure, anche senza ricordare il più che noto 1% of inspiration and 99% of perspiration citato da Thomas Edison come chiave della genialità e del successo creativo, tutte le ricerche (e anche il semplice buonsenso) confermano che perfino i migliori talenti naturali devono investire tempo ed energie per esprimere le proprie potenzialità. Se mai, ci vuole una dose di fatica in più per cancellare dal risultato ogni traccia di fatica.
Tra l’altro, il pregiudizio sul talento naturale può risultate particolarmente negativo per gli studenti: quelli che ritengono che capacità e intelligenza siano innate si focalizzano più sull’apparire in gamba che sull’esserlo davvero, evitano le sfide, non ammettono le proprie debolezze e imbrogliano pur di nasconderle, non si pongono obiettivi di miglioramento: è un modo di comportarsi che, nel lungo periodo, danneggia perfino un potenziale genio.

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Metodo 60: la trappola del talento

11 risposte

  1. “una dose di fatica in più per cancellare dal risultato ogni traccia di fatica” – questo è superverissimo (sto pensando anche al mondo del canto lirico: si elogiano tanto i talenti naturali, dimenticando volentieri il lavoro che hanno fatto i veri grandi per raggiungere certi risultati). OK, torno al lavoro.

  2. Gentilissima Annamaria,
    con ogni nuovo e utile argomento, tutte le volte riesci a superarti. Se non è talento questo!
    Curiosando nell’ultimo link, a lato ho notato un articolo sulla funzione di stimolo all’apprendimento dato dall’umorismo. Probabilmente hai già trattato il tema che mi sembra interessante.
    ot -Aggiungo, una volta per tutte: scrivendo all’amica di tastiera Annamaria mi viene del tutto spontaneo dare del tu. Cosa che non farei se c’incontrassimo di persona, nonostante io abbia qualche anno in più. A proposito: buon compleanno 🙂 . Cosa ne pensi, per i blog in generale, come si ci comporta?

    1. Ciao Rodolfo.
      Beh, grazie. Anche degli auguri.
      Humour: ne ho parlato alcune volte su NeU (guarda sul tag cloud qui accanto). Prima o poi riprenderò l’argomento.

      Chiacchierando online darsi del tu è naturale. Io tendo a dare del tu ma non lo faccio sempre, e in genere mi lascio guidare dal tono generale e dal livello di formalità dei diversi messaggi.

  3. Possiamo provocatoriamente dire che il talento naturale non esiste, ma che ognuno ha un talento “di partenza”, più o meno definito rispetto a quello dei nostri compagni di competizione?
    Il talento non basta, nonostante non se ne possa fare a meno.

    1. Sul fatto che il talento vada coltivato sono d’accordo. Non capisco invece la differenza tra quelli che lei chiama “talento naturale” e “talento di partenza”.

      Scrive Lorenzo Marini: “Fantasia e metodo formano la creatività. L’unione delle due cose è la conoscenza”.
      Viene bene anche sostituendo “talento” a “fantasia” e “pratica” a “metodo”.

  4. L’argomento e alcune analisi (non indagini) erano già state fatte negli anni passati proprio a proposito della “genialità” In quel caso si prese spunto dall’analisi della creatività di Mozart. Molti sostenevano che fosse un genio perché a 3 anni, 4 e così via, già suonava e componeva. Altri invece hanno messo in evidenza che non vi è traccia di nessun musicista conosciuto che abbia sgobbato fin da piccolissimo come un cammello. Fu infatti il padre Leopold a formarlo in modo teutonico, oggi diremmo disumano per un bambino. A 10 anni aveva al suo attivo 7 anni di studio costante, anche 10 ore al giorno. L’ambizione sfrenata del padre lo portò a lavorare fino al punto di diventare un’asociale incapace di distinguere la realtà quotidiana dall’arte della musica e morire di fatica. Oggi ci facciamo abbindolare da X Factor e sentiamo sciocchezze come: tu hai l’X e tu non l’hai, ma di fatto ci troviamo di fronte ad una competizione la cui vittoria è data da molti fattori che nulla hanno a che fare con la X. In passato di alcuni pubblicitari si disse che erano geniali e con un talento naturale, appunto. Balle, quelli che conosco io o di cui ho seguito la carriera come nel caso di Annamaria hanno ottenuto risultati e successo grazie alla loro cultura, dedizione, autocritica e capacità di coniugare il passato con il futuro prossimo. Per altri pubblicitari credo che il “culo” (che non vuol dire solo fortuna) sia stato più importante del talento e della fatica. Nella costruzione della carriera di un individuo conta anche la casualità: chi incontri, quando, che occasioni ti passano davanti, il contesto e l’ambiente. Non a caso un seme può diventare un cespuglio o una sequoia, dipende dal terreno in cui cade. La Prof. Patrizia Rovati (PNL) inizia sempre le sue lezioni dicendo agli allievi di non essere interessata alla loro storia, al rapporto con la loro mamma, ai loro supposti talenti, a lei interessa solo che l’allievo sappia cosa vuole essere, dove vuole arrivare e cosa è disposto a fare (cambiare) per riuscirci.

  5. Che il talento naturale esista mi pare innegabile: se voglio diventare campione di basket e sono alto 1 metro non c’è sudorazione che possa farmi diventare più alto!
    Moltissimi talenti naturali, invece sono stati distrutti proprio dalle lodi. Dire “sei bravissimo” ad ogni cosa che un bambino-ragazzo-adolescente faccia, come giustamente lei sottolinea sull’articolo, uccide qualsiasi possibilità, al talento iniziale, di potersi sviluppare in modo sano.
    Quindi, anche se può sembrare un paradosso, avere del talento naturale, malamente esaltato e lodato, può essere la causa dell’insuccesso futuro!

    1. Un commento a parte, invece merita, l’educazione dei talenti: se un bambino-ragazzo-adolescente, manifesta un talento particolare(matematica, arte, musica, ma anche qualsiasi altro talento, anche strano) e, soprattutto, ha (Lui, non la madre o il padre!) piacere nel farlo, è giusto che gli venga data la possibilità di avere amici e stimoli adeguati al suo talento.
      Troppi talenti sono oggi sprecati(con grave danno per la società e per l’individuo), perché costretti ad adeguarsi alla mediocrità dell’insegnamento scolastico standard.
      Tornando al basket. Ho incontrato persone alte più di due metri, che erano riuscite a “ripiegarsi” su sé stesse talmente bene da sembrare più basse dei loro amici: risultato? Un campione di basket in meno e un infelice, col mal di schiena, in più!

  6. Peccato che un recente studio dice che la fatica non è che il 12% di tutto. Il resto è talento.

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