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La trappola del talento – Metodo 60

Quando scrivo non voglio essere falsa. Quando si ha talento, è molto facile essere falsi. Il talento è pericoloso, perché si è a proprio agio con le parole. A un tratto qualcosa suona bene, è carino… Si può essere facilmente provocatori e inutilmente violenti, però funziona. E io non voglio questo.
A dire queste parole in una bellissima intervista uscita su Il Fatto Quotidiano è Yasmina Reza, scrittrice e commediografa (del suo lavoro Il dio del massacro Roman Polanski ha tratto Carnage).
Poche righe dopo, Reza aggiunge che I complimenti te li ricordi e sono dei nemici. Perché se dicono di te: Sa fare bene i litigi, allora tu ti dici: So fare bene i litigi. E ti ritrovi con qualcosa che sai fabbricare ma che magari non è del tutto giusto in quel contesto e in quello spazio. Invece lo sforzo deve restare presente. Ti devi sforzare di essere sempre un debuttante.

Vi ho ricopiato le due citazioni perché mi sembra che, tra l’una e l’altra, si sviluppi un’intera storia, e che quella storia valga sì per la scrittura, ma non solo per la scrittura. Chiunque faccia un lavoro creativo, e continui a farlo per molto tempo, tesse un costante, a volte faticoso negoziato con il proprio “saper fare”.
All’inizio di qualsiasi attività creativa, di solito, ci sono desiderio e talento, caso e fortuna in proporzioni variabili (e, ne sono discretamente certa, la componente casuale non va sottovalutata). Poi c’è – ne abbiamo già parlato diverse volte – tutta la tenacia che serve a mettere in atto un lungo processo di miglioramento che si attua attraverso la pratica deliberata.

La trappola del talento

Ma qual è il rapporto tra pratica e talento, e che cosa intendiamo quando diciamo “talento”? Scott Barry Kaufman, docente di psicologia alla New York University, scrive sul Guardian che si tratta di un insieme di caratteristiche individuali che accelerano l’acquisizione di competenze in una data sfera di attività, e mette l’accento sul concetto di “insieme”: per esempio, un di più di perseveranza può servire a compensare la scarsa memoria.
Kaufman sottolinea inoltre che la componente genetica del talento è importante tanto quanto sono importanti le influenze ambientali. Dunque, il “talento” è tutt’altro che “innato”. E ricorda che piccole differenze iniziali (il ragazzino che scrive, disegna, canta o conta “un po’ meglio” degli altri) possono crescere nel tempo fino a diventare molto rilevanti, oppure possono modificarsi (il ragazzino bravo a disegnare può diventare, da grande, un bravo scienziato).
Noi chiamiamo “competenza” (expertise in inglese) il saper fare che si accresce e si consolida nel tempo e, se tutto va bene, continua a consolidarsi e ad accrescersi. È una grande risorsa, ed è un dono dell’età e dell’esperienza. Tra l’altro, in molti campi, il fatto di aver messo insieme negli anni un gran repertorio di soluzioni e di tecniche aiuta a venire a capo dei problemi compensando la perdita di rapidità di pensiero che si accompagna al progredire dell’età. Così, a volte, un vecchio babbione esperto riesce a produrre una soluzione prima che ci arrivi un giovane energico, e lo fa perché quella soluzione “ce l’ha già in tasca”.

La trappola del talento

Il rischio, però – e qui torniamo a quanto afferma Yasmina Reza – è un altro: cominciare ad accontentarsi delle soluzioni che si hanno già in tasca. È una tentazione che diventa tanto più grande proprio quanto maggiori sono il talento e la competenza (e, quindi, la quantità di soluzioni già sperimentate e interiorizzate che se ne stanno lì già pronte, comode, disponibili e sicure).
Così, per sfuggire alla trappola del talento che imbalsama se stesso nella ripetizione infinita di quello che ha già funzionato, bisogna fare quel che dice Reza: prendersi nuovi rischi e tornare a essere debuttanti.
Un modo radicale per riuscirci è cambiare drasticamente sfera di attività (e sì, anche questo è un talento). Una delle storie più belle in questo senso appartiene a Michel Eugène Chevreul: è un chimico famoso. Pubblica studi sulla luce e sul colore che influenzeranno i pittori divisionisti. Si occupa di acidi grassi e inventa la margarina. Verso i novant’anni (avete letto bene: novanta) decide che è tempo di orientare altrove i propri interessi e fonda, da vero esordiente di successo, una nuova disciplina: la gerontologia. Pubblica il suo ultimo libro a centodue anni. Il suo nome è scritto sulla Torre Eiffel.

Tutte le immagini di questa pagina sono di Lorenzo Vitturi
Questo post esce anche su internazionale.it. Se vi è piaciuto potreste leggere
Metodo 35: la creatività e il corpo
I fattori individuali del successo creativo

14 risposte

  1. Bella riflessione, mi ha fatto ripensare a mio nonno, morto a 105 anni non ha mai detto ormai..

  2. i grandi matematici sono sempre giovani o giovanissimi. E’ matematico!
    Quando chiedevo al mio amico Somarè, bravissimo pittore concettuale, cosa ne pensasse veramente di Picasso, mi rispondeva: attenzione, c’è Picasso ma anche il picassismo.

  3. Buongiorno a tutti, buongiorno Annamaria,
    mi piace questo blog, perché tiene fede al suo titolo e mi fa riflettere.
    In questo caso stimola una domanda, che credo ci riguardi proprio perché stiamo leggendo ora.

    Sembra che il web, in generale, “ci aiuta a (farci) diventare sempre più come noi stessi”. Nel senso che gli strumenti della rete, dai motori di ricerca all’uso dei social network, li percepiamo tanto più efficaci quanto più centrano i nostri interessi.
    Chissà, forse questi “strumenti della rete” potrebbero contribuire ad accrescere il nostro talento e le nostre competenze fino ad imbalsamarci in noi stessi?

    1. Ciao Fabio.
      Felice che NeU ti piaccia.

      Per quanto riguarda il web: mah, magari qualcuno ci naviga andando esclusivamente in cerca di conferme. E qualcun altro ci naviga andando in cerca di sorprese. Credo che la differenza, come spesso accade, non stia nella cosa in sé, ma nel modo in cui ci si confronta con la cosa. Del resto, se ci pensi bene, uno può comportarsi nel primo o nel secondo modo anche con i libri, con gli amici, con i viaggi (reali, non virtuali)…

  4. SE SON BRAVO

    Con i bimbi piccoli in campeggio in corsica, una decina di anni indietro, ho incontrato un simpatico amichetto dei miei figli, che, quando veniva a giocare a palla con loro, si lodava così:
    “Se son bravo ora che sono piccolo, chissà come sarò da grande!”
    Questa certezza mi ha accompagnato nel corso di questi anni, non accontentandomi dei modesti miei risultati ma spostandoli sempre nel “chissà come sarò futuro”

    Un caro saluto ed un grazie ancora ad Annamaria, scusandomi dell’assenza dalle discussioni per impedimenti anatomici che adesso, piano piano, si stanno risolvendo.

    walter

  5. Un buon paradigma che riflette quello che dice il post è sempre nella parabola dei talenti: sotterrare i talenti non significa, in realtà, non usarli, ma usarli in modo stereotipato, ripetitivo, non produttivo di futuro per sè e per gli altri: un modo che non dà frutti. Che porta al picassismo. Farli fruttare è la sintesi del “mettersi sempre alla prova”, una scommessa – innanzitutto – con noi stessi. E in ogni caso la parabola insegna anche che tutti abbiamo dei talenti da moltiplicare, che non occorre essere grandi scienziati, grandi artisti, grandi politici. Anche nel piccolo (e forse soprattutto nel piccolo, se non altro dal punto di vista quantitativo) può abitare il futuro. E questo, a scanso di equivoci, non è il punto di vista di un cattolico, anche se non ci sarebbe nulla di male se lo fosse. 🙂

  6. A qualunque età il segreto della creatività innovativa sta nel non accontentarsi mai. Così facendo però si rischia il perfezionismo, l’involuzione delle proprie idee che si trasforma in insicurezza. Non sappiamo se il talento è già nel nostro DNA, sappiamo però che talentuosi lo si può diventare. Se hai dedicato più tempo alla curiosità e all’innovazione, più dovresti essere talentuoso, quindi i vecchi hanno più possibilità dei giovani, ammesso che non s’inchiodino sulle convinzioni di quando erano giovani e siano in grado di apprezzare i nuovi paradigmi.

  7. In questi mesi sono tornato all’università, ma non lo sa nessuno, infatti non sono iscritto… studio nelle biblioteche su testi che non posso acquistare. Certamente lo faccio per accrescere il mio bagaglio culturale ed aggiornarmi, ma la ragione principale è la curiosità.
    Credo che tendere all’eccellenza sia un ottimo stimolo agonistico per migliorarsi.
    Poi quando sarò sazio e vecchio babbione, avrò il piacere di cambiare drasticamente sfera di attività, magari solo per verificare se avrò talento in questa nuova.
    Per il momento, intanto, il talento in cui credo di potermi esprimere meglio lo coltivo ancora.

    1. Fabio, io invece lo scorso settembre mi sono iscritto all’universita’ per tentare di colmare le mie tante lacune e per dare nuova linfa alle mie idee.
      Nuovi cancelli si sono aperti ed ancora una volta, con i miei occhi da debuttante, ho iniziato a percorrere nuove strade.
      Nuovi temi, nuovi articoli e nuove esperienze: imparare a scrivere non solo di tecnica, scrivere storie di merenda, scrivere una breve autobiografia di un fatto che mi ha segnato nel fisico e nella mente da bambino proponendola addirittura come storia breve per una interessante iniziativa di un noto quotidiano nazionale.
      Scrivere, pubblicare … tutto questo non significa avere talento, nel mio caso significa solamente essere me stesso, migliore forse di ieri … diverso da domani.

  8. Talento o semplice colpo di fortuna?

    Me lo sono chiesto molte volte … e sto ancora cercando le risposte !

    Ma cos’è il talento? Abilità? Intuito?

    Si può avere il talento necessario per produrre idee o soluzioni innovative ma non avere il talento necessario per promuoverle e farle crescere.

    Talento significa anche:
    – sapere circondarsi delle persone giuste;
    – saper riconoscere il momento giusto;
    – saper riconoscere i propri errori ed imparare da questi;
    – saper riconoscere i propri limiti e lavorare per superarli;
    – saper guardare ogni volta con gli occhi di un debuttante;
    – saper cambiare il proprio punto di vista.

    Il talento si nutre di briciole di fortuna, senza di questa anche il miglior talento rischia di rimanere nell’oscurità come un seme senz’acqua.

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