scrivere pubblicare

Tra scrivere, essere pubblicati e pubblicare – Idee 25

Il blog de Il mestiere di scrivere, posto amico di noi avvitatori di parole, linka uno scritto di Julio Monteiro Martins. È il racconto degli ostacoli che un autore deve superare per pubblicare il suo lavoro. Loredana Lipperini, invece, mostra l’altra faccia della medaglia: troppi libri, una volta pubblicati, restano in libreria per un tempo irrisorio: tra i quindici e i trenta giorni. E poi spariscono nel nulla delle parole perdute e dimenticate.

PUBBLICARE IN RETE. Però. Grazie alla rete, scrivere per farsi leggere e scrivere per farsi pubblicare non coincidono più. Blog e social network mettono a confronto autori e lettori. E grazie al print-on-demand gli scrittori intraprendenti superano le difficoltà descritte da Martins buttando il cuore oltre all’ostacolo e pubblicandosi da soli. O andando direttamente online con gli ebook: è il caso di Pietro De Viola, 17mila copie del suo Alice senza niente scaricate in due mesi. Con conseguenti proposte di collaborazione. Ogni tanto succede.

TROVARSI UN PUBBLICO.
Il processo sembra, in apparenza, diventare più democratico e meno eterodiretto. Ma è proprio così? Con il moltiplicarsi delle opportunità, si moltiplicano anche le aspirazioni. I tentativi. Uh, anche la concorrenza. Trovare un pubblico per quanto si sta scrivendo (o si vorrebbe scrivere)  rischia di diventare, paradossalmente, il punto centrale di qualsiasi operazione che riguardi la scrittura. La promozione diventa più importante dell’ideazione.

DUE ESERCIZI FONDAMENTALI. E però, ancora. «Se volete fare gli scrittori, ci sono due esercizi fondamentali: leggere molto e scrivere molto» consiglia Stephen King nel magnifico On Writing. Tutto cambia ma questa regola, elementare e tassativa, rimane.
A proposito di scritture: le storie che ci avete inviato sono state ordinate e raccolte. Autori: controllate che non manchi niente. Abbiamo aggiunto titoli, parole e chiavi di lettura quando mancavano o sembravano necessari. Se avete correzioni, scrivete a redazione@nuovoeutile.it

5 risposte

  1. Confermo il lavoro fatto dagli scrittori intraprendenti. Funziona! Io due anni fa col mio libro autopubblicato mi sono autofinanziato un giro per tutta Italia facendomi i conti deposito nelle librerie e organizzandomi le presentazioni e così mi sono trovato un editore per il mio secondo libro e per il terzo che uscirà quest’anno. Oggi nell’editoria bisogna dimostrare che vendi e poi vieni comprato… è un po’ il risultato della guerra dei poveri che già accade sul lavoro… precario una vita a gratis e poi se vali, molto forse, ti prendono… il meccanismo è lo stesso. Una strada difficile ma noi siamo la generazione che quelli prima si sono mangiati tutto… farcela offre più soddisfazioni 😉

  2. “ma noi siamo la generazione che quelli prima si sono mangiati tutto… ” dio, quanta verità in queste parole!

  3. @ Bravo Appiccicati. Benvenuto, e in bocca al lupo per il terzo libro. Devo dire, però, che mentre la tua conclusione mi trova perfettamente d’accordo (farcela in tempi difficili offre più soddisfazioni), la premessa mi sembra per certi versi discutibile. Se la discuto, è perché mi sembra anche pericolosa, e più per la tua generazione che per la mia. Mi spiego. Ecco tre dei motivi per cui oggi vorrei avere vent’anni invece di (quasi) sessanta: – il web, inteso come mondo di conoscenze e opportunità praticamente sconfinate – l’empowerment delle donne, perfino nel nostro sconsiderato paese. Non dimentichiamoci, giusto per fare un esempio, che fino al 1981 il nostro Codice penale prevedeva il delitto d’onore. E che a estinguere il reato di violenza carnale era sufficiente il (sic) “matrimonio riparatore”. – la possibilità (e spero che questa affermazione non ti stupisca troppo) di un confronto alla pari tra generazioni. Ancora per tutti gli anni Sessanta, chi era giovane non poteva far altro che starsene zitto e buono aspettando di… di invecchiare a sufficienza. Non sto dicendo che non sono tempi difficili. La sensazione di vivere una vita precaria è tristissima e destabilizzante. Però, anche questa è cosa pessima ma non nuova: all’inizio degli anni Settanta mi sono cuccata due anni e mezzo di lavoro aggratis o con miserrimi rimborsi spese, prima di trovare un impiego appena decente. Solo che allora la parola “precariato” non si usava. Maledire madri e padri “ladri e mangioni” (se anche fosse legittimo: e non credo che lo sia del tutto) non aiuta. Anzi: giustifica un atteggiamento rassegnato che non porta da nessuna parte. Esistono opportunità per chi ha l’energia per prendersele. E lo dimostra proprio la tua storia.

  4. […] la libertà non consiste nella scelta tra il dominio (di sé, degli altri e del destino) mediante la forza e la sottomissione, la debolezza. La libertà, conciliata con il destino, ci installa in una dimensione di fragilità. Questa fragilità non è né una forza né una debolezza, ma rappresenta una molteplicità complessa e contraddittoria da assumere nel suo insieme. Entrare nella fragilità significa vivere in un rapporto di interdipendenza, in una rete di legami con altri. Legami che non devono essere visti come fallimenti o successi, ma come possibilità di una vita condivisa . da: http://www.fupress.net/index.php/sf/article/viewFile/2902/2585 Damiano

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