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Donne over 50, tra seduzione e rottamazione. O anche no

Spero che abbiate la pazienza di arrivare fino in fondo a questo post: c’è un paio di quesiti che mi interessano a livello personale, e sarei felice di sapere che ne pensate, tutti voi amiche e amici di NeU. I numeri che leggerete tra parentesi corrispondono a età anagrafiche pubbliche.
Dunque. Qualche giorno fa, in rete, parte un dibattito assai animato sullo spot Yamamay girato dal regista Paolo Sorrentino, protagonista Isabella Ferrari (47). Per quanto mi riguarda lo trovo, da spettatrice prima ancora che da addetta ai lavori, bruttino e piuttosto tetro, e credo che non valga la pena di parlarne ancora. Basta quanto ne dicono Giovannna Cosenza e i cinquantasei – a oggi – commenti che seguono il post.
Nello stesso periodo va in onda (e non ne parla nessuno) uno spot per lo yogurt Danaos di Danone, ugualmente tetro e bruttino, protagonista una Stefania Sandrelli (65) che riesce a non rompersi scendendo le scale solo perché, urca!, Consuma Il Prodotto.
Ed ecco il primo quesito: in quale punto chi, come la sottoscritta (58), si trovi anagraficamente collocata tra le due signore dovrebbe smettere di preoccuparsi dei risultati estetici di eventuali, e comunque (se lo spot docet) lugubri defilée in mutande di pizzo per proiettarsi nel luminoso universo della stampella?
E non è che, magari, esiste una terza possibilità, ma non se ne accorge nessuno?

Le donne over 50 si avviano a lavorare per altri 15 anni. Vuol dire che non stanno esattamente cadendo a pezzi. Possono essere giornaliste brave e toste come Milena Gabanelli (55). O guidare imperi dello stile come Miuccia Prada (63), unica italiana nella classifica di Forbes. Scrivono e mettono in scena pièces teatrali straordinarie: lo fanno, per esempio, Lella Costa (59) e Franca Valeri (91). Come Caterina Caselli (65) navigano alla grande nel mondo della musica, che è per definizione segnato dalla contemporaneità, e scoprono talenti. Sono acute, intelligenti, spiritose commentatrici della realtà e degli amori contemporanei: pensate a Natalia Aspesi (82). Si occupano di robotica e sistemistica spaziale come Amalia Ercoli Finzi (74), mito del Politecnico di Milano. O si costruiscono una reputazione internazionale parlando di economia, finanza e terrorismo come Loretta Napoleoni (56). O vicepresiedono il Senato come Emma Bonino (63). E potrei continuare ancora e ancora e ancora.

Non sono UFO, queste donne. Non sono macchiette. Sono modelli di ruolo. Reali. Importanti. Diversissimi. Contemporanei. Italiani. Non vengono mai lette come tali, per una sorta di cecità o di analfabetismo culturale e sociale. Immagino che tutte loro, ciascuna a suo modo, si preoccupino di stare in buona salute, e che alcune apprezzino anche (perché no?) biancheria sfiziosa a un prezzo accettabile com’è quella proposta da Yamamay. Ma dubito che si spaventino davanti a due scalini, e credo proprio che il loro ubi consistam non passi né sia mai passato per l’esibizione della mutanda.
Come si esce, gente, dalla stucchevole vulgata collettiva che si riduce (e ci riduce) a un unico, tristo percorso che senza soluzione di continuità porta dalla seduzione alla rottamazione? Un po’ di immaginazione? Di humour, magari?

31 risposte

  1. Più che uscire, direi che la risposta potrebbe essere quella di entrare in questi modelli di ruolo. Magari facendo leva, con humor, proprio su ciò che tanto attira le donne under 50. Tra l’altro, proprio nel mondo dello spettacolo ci sono esempi notevoli di donne over 50 estremamente affascinanti senza dover ricorrere all’elastico della mutanda (lancio, quasi a caso… Virna Lisi). Così come lo stesso mito della “casalinga di Voghera” non prevede che l’età sia precoce, anzi. I modelli di ruolo che tu citi sono forti, non mascolini, impegnati, creativi, attivi, e umani. E, soprattutto, intelligenti. E si sa, di questi tempi non è un valore apprezzato da alcuni media. Se allora non è l’intelligenza su cui puntare, su cosa è possibile farlo? Per me la parola chiave è: la presenza, a cui associare vitalità, umanità, attività. Prendere tutto questo, metterlo in uno shaker elegante, aggiungere humor e consapevolezza quanto basta e… servire. Emanuela (42)

  2. A volte lo stile critico analitico, lucido ma pacato, dei post di Annamaria mi manda ai pazzi. Il caso odierno è emblematico e mi viene voglia di dire parolacce e urlare il mio sconforto. Le domande del post sono dense, giuste, sacrosante ma qualche volta conviene passare. Yamamay e Danaos sono soltanto due spot superficiali, brutti e scontati che non mantengono più un brandello di legame con il mondo e con il mercato. La creatività (?) e l’immaginazione (?) in questo caso, incontrano il prodotto in un territorio banale e irreale e le strategie di marketing sottostanti hanno la profondità di un verso di Apicella, sciatte e depotenziate. Seppure meraviglia il contesto multinazionale e referenziato che l’ha prodotta, ma forse neanche tanto, trattasi soltanto di brutta e sconfortante pubblicità. Lo so, lo so che su NeU si usano i neuroni per approfondire i contesti e gli strumenti ma questa volta passo. Alla prossima. un caro saluto Antonio

  3. Credo che già il pensiero di preparare una pubblicità mirando ad una fascia di pubblico particolare ti faccia correre il rischio di non considerare che all’interno di quella fascia ci sono talmente tante varianti e differenze di tipologia umana che un minimo di sensible touch ci vorrebbe… forse lo sguardo si dovrebbe spingere oltre la soglia dell’ovvio e la creatività dovrebbe alzarsi al di sopra del cattivo gusto e del becero uso di certe tematiche… forse per fare il pubblicitario ci vogliono doti che ormai pochi pubblicitari possono dire di avere, e forse non se ne rendono neppure conto. Ecco perché i Creativi, quelli dotati non solo di talento ma anche di anima, spiccano per eleganza e stile… e ce ne sono ancora, sono solo pochi.

  4. … no, dai, Antonio, resta con noi. 😉 L’idea è parlare di questo strano fenomeno di cancellazione con leggerezza. Senza sconfortarsi (anche perché non serve). E però accendendo un piccolo riflettore interiore sulla percezione di ciascuno di noi. Ti dico un paio di cose di cui mi sono accorta scrivendo questo post. La prima: di donne anche importanti, e specie in questa fascia d’età, esistono scarse notizie in rete. Per dire: Amalia Ercoli Finzi non ha nemmeno una pagina dedicata su Wikipedia. La seconda: quando sono andata a farmi i conti dell’anagrafe, mi sono sorpresa più di una volta. Le donne di successo sembrano perdere, insieme alla connotazione di genere, anche quella anagrafica. Come se fossero proiettate in un mondo parallelo e distantissimo. E invece no, sono qui, sono risorse. E sono (mi ripeto? Dai, mi ripeto: sapete com’è, a una certa età…) straordinari modelli di ruolo.

  5. E, parlando dello spot sui reggiseni (l’altro è “imparlabile”) c’è anche qualcoso in più oltre alla tristezza di un brutto spot. C’è anche il tema subdolo del “ti deve piacere perchè è politicamente corretto: qui non facciamo vedere veline, ma donne vere”. Così alla succitata tristezza si aggiunge il veleno paralizzante di una sotterranea protervia.

  6. Forse dovremmo impegnarci tutte/i a rendere visibili/valorizzare al massimo questi modelli di ruolo positivi di donne cinquantetti, attive-produttive-capaci-che ottengono buoni risultati nei loro campi di azione. Tutti questi esempi positivi non si vedono abbastanza, debbono essere sempre più naturali perchè presenti nella vita vera. Lo spot con lsabella Ferrari non mi piace, non mi rappresenta. Lascia intravedere più l’aspetto escort, che tanto va di moda, che la donna autonoma. E’ così finto da sembrare improbabile. Per prima cosa, non comprerò il prodotto. Così come non mi piace vedermi rappresentata solo come oggetto di osteoporosi che grazie ad uno yogurt non si rompe il femore. E poi neppure mi piace il prodotto. Eppure le donne di 50 anni sono prevalentemente attive nelle professioni, nelle arti, nella vita. Mi pare anche che tra il giovanilismo perseverante e l’errata visione delle donne in generale, di fatto si continui a cancellare quello che siamo. In sintesi: non comperiamo i prodotti che mal ci rappresentano e promuoviamo le donne vere. Rosa

  7. Non vedo il problema. Teniamoci il fascino che gli anni e il cervello ci hanno donato. Ben venga la rottamazione se e’ il mezzo per liberarci da questa penosa concorrenza consumistica. Tra le quinte ci si puo’ divertirei e osare ciò che nel tempo si affina: classe, buon gusto, creativita’.

  8. In parole povere e semplici, vorrei esprimere il mio parere parziale e soggettivo e non esattamente in tema ….. vabbe’ alla questione: la bellezza in tutti i sensi è quasi totalmente del mondo femminile, cioè è parte integrante del mondo femminile. Il mondo maschile trascorre la vita ammirandola, rispettandola, inseguendola, cercandola, scrivendoci poesie e canzoni, dipingendo quadri…nella migliore delle ipotesi. Nella mediocrità quotidiana invece spesso la rappresenta in modo distorto, ad esempio nei due modi indicati dagli spot in questione, ma è sempre un distorto cercare, ammirare la bellezza, con l’obbiettivo in questo caso di vendere ovviamente. Obiettivo vano perché non credo che i due spot riusciranno nell’intento, proprio per la repulsione che provocano al target principale e cioè le donne appunto. Per tornare al quadro principale, in quanto essere umani ci distinguiamo dal resto del mondo per quel 10% di razionalità (10% inteso come poca roba!) Il resto, si voglia o no e per fortuna, è altra cosa che ci accomuna al regno animale. Detto questo, l’artificiosità’ nella ricerca della bellezza è deformazione che ha la data di scadenza segnata. Quindi, che fare? Secondo me bisogna resistere, lottare impegnarsi nella ricerca di un mondo più’ giusto e senza discriminazione di genere e di ogni genere, con tutte le forze e con immaginazione e humour sono d’accordo, ma bisogna anche lasciar correre e non badare a ciò che fanno, conviene continuare ad esercitare quel 10% di razionalità innestata su un cuore pulsante, tanto si sa che tutto il resto presto tardi scadrà e sarà da buttare. Sempre per rimanere nella differenza tra natura umana e animale, noi viviamo in 3D: passato presente futuro, quindi di nuovo, meglio non badare a coloro che vivono solo nella dimensione di un falso ed effimero presente. Tanto vale amare, discutere e ridere, ma senza rabbia senza digrignare i denti altrimenti si potrebbe essere scambiati per invidiosi! Invece visto che così non è, avanti senza paura, che il tempo avrà l’ultima parola ed è dalla nostra parte, anzi non è dalla parte di nessuno, E’ e basta con buona pace di tutti.

  9. Che bello leggere le tue riflessioni …. corrispondono esattamente al commento mio (57) e di mia moglie (47) vedendo i due spot: deprimenti!

  10. Mah. A me (49) viene in mente, guardando questi “modelli” proposti, che potrebbe esserci l’intenzione di proporci una versione femminile dell’adulto-eterno-adolescente (cosa che già funziona largamente per gli uomini, e non faccio esempi…). E questo non tanto per sfizio, ma perché è un potenziale mercato: in fondo la pubblicità vorrebbe/dovrebbe, convertire il target in cliente, no? E poi, mannaggia, nessuno ci insegna più ad invecchiare, nel senso buono del termine: ad apprezzare il buono di ogni età della vita e, infine, a preparaci ad una decadenza fisica e mentale (prima o poi). Faccio la copy e mi accorgo, dopo tanti anni, che è sempre più difficile farlo in modo “onesto”, cercando di convincere i clienti (prima gli account) che certi linguaggi non dovrebbero più essere proposti, che vende di più la verità, detta bene. Insomma: è durissima. Ma non mi arrendo. Laura Grazioli

  11. Appunto. Conviene non arrendersi. La pubblicità per forza di cose semplifica e usa stereotipi. Ma c’è, come dire, stereotipo e stereotipo. Oggi lavoriamo con una gamma di stereotipi riguardanti il femminile (e non solo quello) impoverita e grigia. Il primo che riesce a rimetterci un po’ di colore e un po’ di vita potrebbe ottenere risultati davvero buoni. “…prepararci alla decadenza fisica e mentale (prima o poi)”. Su questo non sono d’accordo: ma perché mai? E perché intrappolarsi in qualcosa che somiglia troppo a una profezia che si autoavvera? Invecchiare (ma anche già da piccolissimi si… invecchia) non è altro che cambiare nel tempo. Qualcosa, magari, peggiora. Qualcos’altro, magari, migliora. Tra l’altro: la capacità creativa NON decade. A questa tema, e in particolare ai late bloomers, NeU ha dedicato una homepage piena di cose interessanti. Fra l’altro: tutti i nomi do donne segnalati rimandano non a semplici biografie, ma a pagine interessanti. Guardati, per esempio, la meravigliosa intervista video a Natalia Aspesi. Che un certo punto, e con straordinaria ironia, sostiene che non le sarebbe dispiaciuto essere un bel puttanone. E che purtroppo la cosa non è successa, accidenti.

  12. Da un lato ci sono le ragazzine che ad 11/12 anni (aiutate da sviluppo precoce e trucco&parrucco) sembrano già adulte, dall’altro donne già adulte che (complici vita media più lunga e ancora una volta trucco&parrucco) sembrano ragazzine. Gli stereotipi ci sono e la donna in media invece di combatterli cerca di rispecchiarcisi. Siamo noi che dovremmo avere più contegno: vogliamo fare le emancipate ma ci “lustriamo” per sembrare quello che non siamo. La Ferrari e la Sandrelli non sono meno colpevoli di chi ha ideato gli spot.

  13. e se semplicemente smettessimo di guardare la tv e gli spot che non ci piacciono? il silenzio privo di bla bla bla continuo è un piacere che supera ogni aspettativa, provare per credere Rita

  14. non sono modelli, sono solo spot pubblicitari e forse neanche ben fatti. Intendo dire che sarebbero ben fatti se servono ad incrementare le vendite, e questo non lo possiamo sapere, mentre quello che so( o perlomeno che credo) è che la pubblicità non propone più modelli stabili e condivisi, tanto sono cambiati di frequente ed alla bisogna. Alla pubblicità non crede più nessuno (o quasi)…

  15. “Qualcosa, magari, peggiora. Qualcos’altro, magari, migliora.”, Annamaria, sono d’accordissimo. Non solo: io sono di quelle che non farebbero cambio con quella che ero 20anni fa. Diciamo allora una cosa, anzi ribadiamola: ci vorrebbe ironia. Non è ironica la Ferrari, nemmeno la Sandrelli (figurati gli autori). Forse perché l’ironia, l’autoironia è un arma potente: accettando (anzi, di più, coccolando) i nostri limiti, difetti, cambiamenti, insomma, “quello che siamo”, diventiamo più risolte e forti. Più scomode? Tutta roba che alla pubblicità non piace, mi sa. Laura Grazioli

  16. sia la ferrari, sia la sandrelli mi sono simpatiche. però non capisco tanto questo post di at. e condivido il dubbio di antonio. siamo lontani tunnel di neutrini dalla creatività di cui parla NeU. oppure vogliamo davvero parlare della fortuna delle donne in questo paese? vogliamo dirci che in tutti gli ambienti la maggior parte delle donne semplicemente fa fuori casa quello che per decenni ha fatto in casa? tiene in ordine (i contatti), sgobba quando gli altri fanno “politica”, soprattutto “fa” (invita qui, spedisci là, bisognerebbe, ci vorrebbe, mancherebbe..). segretarie, cape segretarie, dirigenti ma non superdirigenti, vicecapiservizio ma poche direttrici. e quando non c’è nessuno che lo fa guidano loro il furgone loro, magari in un giorno di festa. nel nostro dna lo sappiamo. è tutto relativo, lasciamoli giocare… luisa

  17. @ Luisa. Provo a spiegarmi. I due spot, secondo me, sono un pretesto – o se preferisci, una piccola evidenza significativa – da cui partire per intercettare un fenomeno che ha a che fare con la creatività, intesa come capacità di immaginare. E con la creatività sociale, intesa come capacità collettiva (o, in questo caso, come incapacità collettiva) di immaginare. Perché mi preoccupo dell’immaginario impoverito, riduttivo e deprimente che, in questo paese, riguarda le donne, e ogni tanto ci ritorno? Il motivo è semplice: noi, tutti noi, siamo soltanto ciò che, prima, riusciamo a immaginare di poter essere. E ciò che, per la collettività a cui apparteniamo, “potremmo” essere. Un immaginario collettivo impoverito per quanto riguarda le donne non registra il loro essere oggi, ma influisce sul loro poter essere domani. In altre parole, l’incapacità di leggere le potenzialità delle donne finisce per limitare nei fatti l’espressione futura di quelle potenzialità. I due spot di cui stiamo parlando sono poca cosa in sé, ma acquistano rilievo in quanto strumenti per comunicare che -per definizione – sono, come tutti gli spot, strutturati in modo da incidere sull’immaginario della collettività. Usano un linguaggio semplice, raccontano storie elementari, vengono ripetuti e ripetuti. Oltretutto, in questo caso, utilizzano volti noti ma domestici. Insomma (sono fatti apposta) restano in mente. E, restando in mente, non promuovono solo il prodotto di cui parlano, ma anche la visione che gli è stata costruita attorno. E proprio di quella ho provato a parlare.

  18. Intimo e yogurt. Forse la soluzione sarebbe avere il coraggio di proporre donne (di tutte le età) anche in altri ambiti, andando oltre i cereali per mantenere la linea e i medicinali per combattere la dissenteria. O quei terribili spot sull\\\’incontinenza. Anche la Carrà si misura con il colesterolo, però lei consiglia una donna più giovane di lei ed è così autoritaria che va a controllare a casa sua se la cura procede bene. In realtà sappiamo tutti che lei e il colesterolo sono totalmente incompatibili, però ammiriamo chi vuole consigliare le comuni mortali. Una donna – non una ragazzina implume – per pubblicizzare un\\\’auto potente. Una donna vera, con la sua pelle senza troppi ritocchi, uno sguardo intelligente, mano sul volante e tradizionale spot con l\\\’auto che circola su tornanti in mezzo al verde e frena prima di investire un gatto. Esiste già? L\\\’auto è un simbolo di potere, sarebbe bello accostarlo a una 60enne. Cambiare questo senso comune puntando su spot comuni, già visti ma con una nuova protagonista anziché il solito uomo dal solito bel viso sicuro. Così, tanto per inserire questo nuovo modello senza troppo clamore e senza farlo apparire così straordinario da essere percepito come fuori dall\\\’ordinario. Una rivoluzione silenziosa. Un saluto, fabiana

  19. Allora Annamaria, forse, possiamo entrare nel merito e commentare più approfonditamente lo spot Yamamay che, in quanto a immaginario e modelli di riferimento, per me è il più eloquente e indigesto. Dunque, il laboratorio che ha pensato e realizzato questo progetto “creativo” è composto da: un brand in fortissima espansione, una testimonial di livello, un regista cult (per me, oggi, il numero uno in Italia e tra i più bravi nel mondo) e una solida agenzia napoletana. Lo spot in sintesi: una donna è su un letto con un uomo che riposa, si alza, apre la cassettiera. E’ indecisa tra un reggiseno bianco e uno nero. Sceglie il nero. Poi, la stessa donna è all’esterno, bordo piscina, e sulle note di “per un’ora d’amore”, l’uomo le passa accanto e subito dopo il reggiseno nero è caduto in acqua. Ma lasciamo la parola ai protagonisti (da il quotidiano La Stampa): “Non s’era mai vista una donna matura, seppur bellissima, protagonista di uno spot pubblicitario di biancheria intima. «Perché io e non una ventenne russa?». È la prima cosa che ha chiesto Isabella Ferrari (47 anni, tre figli) all’amministratore delegato Gianluigi Cimmino della Yamamay che la voleva a tutti costi nel corto (in onda dal 25 settembre) per festeggiare i 10 anni del marchio. Con un cambio di rotta coraggioso. Non più un messaggio di seduzione rivolto agli uomini, bensì alle consumatrici che non necessariamente devono essere giovanissime e perfette. Dai messaggi promozionali ai concept store, contenitori factory di design come l’immenso P.Zero Pirelli in corso Venezia. O il tecnologico Sisley in piazza San Babila -inaugurato da Alessandro Benetton – che, senza interruzione, trasmette su un monitor di 24 metri tutto il mondo dei giovani esplorato dal brand, dialogando direttamente con il pubblico anche attraverso un blog magazine.

    La scelta di Yamamay (oltre 600 punti vendita nel mondo) la dice lunga sulle nuove strade che sta imboccando il «fashion system». Intanto il cortometraggio è girato da Paolo Sorrentino. Sul set il regista de «Il divo» ha spiegato all’attrice che non cercava la seduzione fine a se stessa, o spiata dal buco della serratura. «Mi ha detto: facciamo un pezzo di film, sii naturale, vorrei che avessi la pace negli occhi», racconta la Ferrari stretta in un semplice tubino nero. Di nudo c’è poco, s’intravede uno scampolo di seno, lei in slip da dietro e poi in reggipetto mentre si riveste dopo un incontro amoroso.

    Già, si riveste e non si sveste. «In un momento in cui il corpo femminile è svenduto, mercificato, siamo tutti nauseati. Ma noi abbiamo il diritto di spogliarci, innamorarci. L’importante è mostrarsi con garbo, ritrovare una dimensione equilibrata d’intimità», dice lei che stavolta tiene soprattutto al giudizio femminile. In quel minuto – scandito dal brano «Per un’ora d’amore», rifatto dai Subsonica – è tutto un gioco d’occhi. «La seduzione dopo i 40 anni è fatta di sguardi, di sfumature, di serenità nell’accettarsi come si è.” Ora, il grande Sorrentino, il regista che ci ha regalato Gomorra, Il divo e l’imminente This Must Be the Place, realizza questo gioco di seduzione capovolta e riparatrice tra una camera da letto sconfinata (330mq?) e il bordo di una piscina smisurata, con l’illusione di rappresentare un nuovo modello aspirazionale in un paese di giovani veline? L’intellettuale progressista, “a film-master”, come lo ha affettuosamente definito Sean Penn, quando gira e produce per la pubblicità dimentica quella sua straordinaria qualità narrativa e rielabora solo visioni stereotipate e misogine care al cliente? La mia risposta è affermativa. Gente, per voi dov’è l’inganno tra idea e risultato? un saluto Antonio

  20. Piersifal, vede, lei non usa l’immaginazione… Yamamay ha scelto come testimonial del proprio intimo una over 45enne. Forse anche questo Montezemolo o Marchionne (qualora nel circuito della biancheria) non l’avrebbero immaginato 5 anni fa. Per quanto uni spot che ribadisce modelli di solitudine, inaffettività, sensualità etc, non avrebbero accettato di mettere una donna adulta in biancheria. Poi ci sono state le proteste dell’ultimo periodo, e un iniziale risveglio delle coscienze. E Yamamai decide di rivolgersi al mercato delle donne adulte senza usare una modella 20enne, e così riesce pure ad attirare l’attenzione dei media. Molto probabilmente un’auto non sarà mai pubblicizzata da una donna 60enne perché oggi la maggior parte delle donne 60enni ha il veto su biancheria, yogurt e detersivi, ma non ha il veto sull’auto di famiglia. Per ora. Ma non ha detto Annamaria Testa che ci vuole immaginazione? E io ho tanta immaginazione (e speranza) da pensare che le aziende dovranno cambiare registro, perché forse noi, 30enni di oggi, tra 20 anni non ci rispecchieremo in una Sandrelli che consiglia alle sue amiche quanto calcio mangiare.

  21. FAbiana, diamoci del tu, ti prego… Sì, la mia è mancanza d’immaginazione: non mi immagino questa evoluzione della specie dei nostri manager/clienti. E non mi immagino nemmeno agenzie italiane che osino “think different”, a riguardo.

  22. piersifal, premetto che non lavoro nell’ambiente, quindi parlo a sproposito, però… insomma, tanta immaginazione e tanta speranza, forse? Più speranza che immaginazione? Se fosse il mercato a richiederlo, allora sarebbe possibile. E se le agenzie italiane non hanno l’indole dell’apripista, potrebbero intervenire agenzie straniere che colgono la nostra necessità di cambiamento. Tra l’altro non cercherei di creare un “think different”, infilerei questi nuovi modelli con l’indifferenza del ‘far vedere la vita normale’, senza tanto clamore, così la gente li assimila nel quotidiano, non con un senso di straordinario. Va be’, le mie sono considerazioni idealistiche, ben lontane dalla realtà di mercato di chi lavora nell’ambiente (che però capisco) un saluto, fabiana

  23. Sono ancora in tempo?… A me entrambi gli spot mettono tristezza. Noto una certa escalation di squallore nella trattazione delle donne in pubblicità. Se sono in tema, vorrei farvi notare quelle sull’intimo femminile. Si parte da quelle che “nel loro intimo hanno Chilly” e quelle che hanno “un velo sullo slip” per passare a quelle che “vanno a cambiarsi lo slip” o che “hanno un bruciore e un prurito intimo” per finire con quelle che hanno “delle piccole perdite di urina” e si vergognano a stare in ascensore. Magari per il fatto che sono uomo non riesco ad empatizzare lo stato di queste “poverette”, ma se dovessi vedere un uomo in TV con la borsa del catetere o i pannoloni per la prostata mi sentirei tristemente sputtanato. E immagino (spero) che anche le donne pensino “ma non si poteva dire in un altro modo?”. Capisco che lo scopo della pubblicità è di vendere il prodotto, ma credo che, anche questa volta, il messaggio che passa è triste: donne che cascano a pezzi o “perdono” qualcosa ogni tanto… Non so: mi sono incasinato, come al solito.

  24. Ciao Martin. Certo che sei in tempo. E il discorso è più che chiaro. Mi dicono che diverse delle campagne che tu citi fanno capo, tra l’altro, a product manager di sesso femminile. Proprio come è un manager donna ad aver lanciato la smutandatissima campagna di cui ho parlato nella homepage del 12 luglio. E qui smetto davvero di capire.

  25. Sandrelli e Ferrari credo non abbiano alcuna colpa, hanno ricevuto una proposta lavorativa e l’hanno accettata. Sono attrici, fa parte del loro lavoro.
    Lo spot Yamamay, che piaccia o meno, non ti porta a “cambiare canale”; quando passa in tv lo guardi per criticarlo o perchè ti piace, in ogni caso fa parlare di sè.
    Lo spot Danaos cattura molto meno l’attenzione. Bella l’idea di proporre donne importanti ma, sopratutto in Danaos, non troppo in là con l’età per evitare che il prodotto sembri “una pappa per anziani”.
    Forse meglio proporre uno spot con 4 generazioni (ragazzina-ragazza-mamma-nonna)che consumano il prodotto in momenti diversi: tutti per uno, un prodotto per tutti. Tra l’altro l’osteoporosi si deve prevenire per tempo …
    Ma non dimentichiamo i tanti anni di spot con la Marcuzzi ed i gonfiori di pancia …
    Tra i due spot probabilmente Yamamay è quello più efficacie, ovvero quello che ha “portato clienti”.
    Seguendo alcuni commenti del famoso Gino Pesavento in suo libro del 1970, ritengo che:
    1- lo spot Danaos segua la teoria di Hopkins: la pubblicità è sopratutto informazione;
    2- lo spot Yamamay segua la teoria del suo antagonista, Martineau: la pubblicità è sopratutto image-building. La maggioranza degli acquisti avviene per impulso.

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