trarre il meglio

Trarre il meglio da quel che c’è – Metodo 41

Se cerco Cucinare con gli avanzi  ottengo 813.000 risultati con Google. Dalle polpette al salame di cioccolato, dall’insalata di pollo alla torta di tagliatelle… una quantità di ricette sfiziose e ingegnose.
La metafora del cucinare con gli avanzi mi sembra suggestiva e fertile perché rimanda a un gesto per eccellenza creativo: ottenere buoni risultati con molti vincoli, partendo da risorse scarse e agendo con tutta la flessibilità necessaria  a trasformare un difetto, un errore o una carenza in uno stimolo.
È qualcosa di sostanzialmente diverso dall’arrangiarsi: nel primo caso, si tratta di sopperire a una mancanza mettendoci un di più di energia e di inventiva, fino a ottenere un risultato eccellente e inatteso. Nel secondo caso, si tratta di rabberciare una soluzione qualsiasi, mescolando improvvisazione, furbizia e, se serve, faccia tosta.

Trarre il meglio da quel che c’è vuol dire anche trasformare la scelta obbligata (e, in quanto obbligata, depressiva) in una sfida che può essere esaltante: far funzionare un gruppo anche se non tutti i membri sarebbero, sulla carta, all’altezza. Rilanciare un’impresa anche se  non tutte le condizioni sono ottimali. Prendere atto di uno svantaggio e ribaltarlo in vantaggio.
Si può fare. Vi racconto alcune storie del passato e del presente, diversissime fra loro ma, mi sembra, accomunate nell’idea del trarre il meglio.

C’è la storia straordinaria delle Putte di coro. Siamo nella Venezia del Settecento: le fanciulle orfane, povere o malate vengono raccolte da quattro ospitali e avviate allo studio della musica. Tutta Europa viene ad ascoltarle. Loro cantano e suonano da dietro una grata. E leggete quel che racconta Rousseau:  quello che mi dava fastidio erano le grate che lasciavano passare i suoni ma impedivano la vista di quegli angeli di bellezza… Il Signor Le Blond, che sapeva il mio desiderio mi presentò una dopo l’altra quelle cantanti celebri di cui non conoscevo che la voce e il nome. “Venite, Sofia…” era orribile. “Venite, Caterina”, era guercia. “Venite, Bettina”, il vaiolo l’aveva sfigurata. Quasi nessuna era priva di qualche grave difetto. Le Blond rideva crudelmente della mia sorpresa. Ero desolato. Durante il pranzo le ragazze si animarono e diventarono allegre. La Bruttezza non esclude la grazia, e loro ne avevano. Pensavo: non si può cantare così senz’anima: e loro ne hanno. Infine mi abituai talmente alla loro vista, che uscii di lì che ero innamorato di quasi tutte quelle bruttezze.

Cambiamo secolo. C’è la storia di Wilma Rudolph, nera, ventesima di ventidue figli di una famiglia povera del Tennessee. Colpita da bambina dalla poliomelite, rischia di diventare zoppa ed è obbligata a portare un apparecchio correttivo. Fa riabilitazione. Riprende a camminare. A dodici anni comincia a fare sport. Corre veloce. Si allena fino a diventare la donna più veloce del mondo. Vince tre medaglie d’oro alle Olimpiadi. La ricordiamo come la gazzella nera.

Cambiamo continente. C’è la storia di Kewin Doe, un ragazzino della Sierra Leone.  Nel suo villaggio non c’è elettricità. Frugando nella discarica e combinando rottami, bicarbonato di sodio e acidi riesce a costruire un generatore. Partecipa a un concorso per studenti delle scuole superiori nel suo paese, e lo vince. È lo studente più giovane a frequentare un corso del Mit.

Quest’idea che sia possibile (ehi: non ho scritto “facile”. Ho scritto “possibile”) trasformare una situazione svantaggiosa in una sfida che può essere vinta mi restituisce una certa baldanzosa allegria tutte le volte che mi viene da lamentarmi per una delle mille cose che non funzionano, o che vanno storte, o che non sono come vorrei, o che mancano. E, naturalmente, tutte le volte che torno a casa e il frigo è semivuoto.

7 risposte

  1. A proposito di cucina e del volgere al meglio ogni situazione, anche la più banale: oggi una collega ha disdetto all’improvviso la sua prenotazione per pranzo (eravamo in due, all’inizio), lasciandomi come unica ospite nel ristorante. Ho compensato il disappunto e il disagio chiacchierando piacevolmente con il cuoco e ottenendo un menu su misura per la prossima settimana, nonché per raccogliere fiori di borragine nei campi lì intorno: stasera me li farò fritti in pastella come aperitivo 🙂

  2. Trovo molto azzeccata la metafora del cucinare con gli avanzi e credo che una vera cuoca (é molto donnesco questo fare) si misura da questa pratica.

    Io sono una pessima cuoca, ma vie altre per trovare risultati insperati riesco a praticarle.

    Bellissime le storie (*_))

  3. L’etimologia stessa della parola “metodo” ci impone di accogliere al meglio l’invito a percorrere con razionale consapevolezza l’irto sentiero che dal difficile può condurre al possibile e a cercare con lucida determinazione il filo logico capace di condurre al di fuori delle più labirintiche realtà concrete o figurate che siano. La fondata speranza di riuscire comunque a riemergere dalle moderne e sempre oscure selve può farsi preludio a nuovi stimolanti viaggi dell’anima, e forse non è presunzione l’ambire pur con umiltà a un proprio itinerarium mentis che muova dalle troppo reali miserie per approdare a una storia esemplare nel suo piccolo. Se in ogni io pensante ancorché prostrato alberga oggi più che mai un potenziale discorso sul metodo, il risultato finale sarà ancora più esaltante se sapremo svilupparne i capitoli all’insegna della condivisione. Grazie per il Metodo 41 e per la sana istigazione all’agire.

  4. per trarre il meglio da quel che si ha bisogna anche avere coscienza di ciò che si può avere o che già abbiamo.
    Giorni fa mi sono ricordata di mia nonna che conservava il grasso rappreso sulla superficie del brodo per usarlo poi per cuocere verdure o friggere qualcosa di panato. Ho di colpo realizzato che mia nonna sapevqa cosa farsene del grasso che galleggia sul brodo e quindi non le passava neanche per la testa di buttarlo.
    È una metafora che riguarda i nostri comportamenti, a cominciare da quanto abbiamo dimenticato o peggio rimosso della nostra storia materiale.
    Partiamo costruendo una definizione di base: cos’è l’avanzo di cucina?
    Sono certa che ognuno di noi racconterà cose differenti e queste a loro volta descriveranno il tipo di cucina e di cibo che caratterizzano la nostra vita.

  5. Quanto tutto questo non contrasta con la voglia di crescere e cambiarsi? La logica del riuso va bene, appoggio assolutamente, dal riutilizzo alla ri-creazione credo si possa imporre una mentalità nuova e necessaria, ma mi spaventa confondere le capacità che originano dalle alternative con l’impoverimento che può essere causato dalla riduzione, dall’attesa, dall’ “arrangiarsi”.

    Questo paese mi sembra arrangiato per esempio non riutilizzato

  6. Si può fare l’esempio di Luisa Spagnoli che ha ideato il bacio Perugina per non buttare la granella di nocciole che era uno scarto di lavorazione

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