Chiacchierata lunga un mese

Una chiacchierata lunga un mese

Come ogni anno, ad agosto continuo ad aggiornare Nuovo e Utile con note e link ma lo faccio direttamente nei commenti, e NeU si trasforma in una lunga chiacchierata informale tra tutti gli amici.
Dunque, se volete vedere di che si parla, ogni tanto passate di qui.
Se per caso vi va di leggere qualcosa di più strutturato riguardante la creatività, cliccando il box arancione qui a fianco potete scaricare un po’ di capitoli de La trama lucente.

Per cominciare, e sapendo che le chiacchierate migliori hanno un andamento ondivago e  imprevedibile… (segue in Commenti)

49 risposte

  1. Incredibile !!! Proverò sicuramente alla prima occasione. Non e’ che funziona solamente con uova cinesi o con quella bottiglietta?? Tempo fa molti credettero che fosse possibile cuocere pop-corn sfruttando il segnale di alcuni cellulari … Alesatoredivirgole

  2. … ecco due suggestioni. Un breve video della BBC che… beh, guardatelo. Se no non ci credete. Due articoli recenti che riguardano il primo i 44 titoli, il secondo i 47 finali scritti da Ernest Hemingway per Addio alle Armi. C’è, mi sembra, un filo che unisce queste due storie in apparenza così diverse. L’artista che impila pietre instabili vicino al mare, e lo fa con una serie microgesti sapienti. Lo scrittore che riscrive e riscrive un microtesto (l’explicit del suo romanzo) che regge l’intera narrazione e dà conto di tutto quanto è stato raccontato prima. Due storie di pazienza, alla ricerca dell’equilibrio perfetto. Sarà una sensazione soggettiva. Spero che, dopo qualche giorno di vacanza, passerà. Ma trovare un equilibrio e un ritmo personale, gesti netti, decisi ed efficaci, in questi ultimi mesi mi è sembrato difficile. Immagino che sia perché tutto quanto attorno appare instabile e pericolante. Che dalle crisi nascano opportunità è – ne sono certa – qualcosa di più di una considerazione consolatoria. Le cose non cambiano mai finché non c’è un drammatico bisogno di cambiarle. Ma per intercettare opportunità c’è bisogno di ritrovare, prima, un equilibrio non così facile da scovare. E chi ha la pazienza di riscrivere e riscrivere, fino a mettere insieme le parole e i pensieri giusti? (PER FAVORE): se volete dire la vostra su questa nota, riprendete il titolo. Se volete aprire un altro topic, metteteci un nuovo titolo, diverso. Così diventa più facile orientarsi tra i commenti.

  3. SU “…ECCO DUE SUGGESTIONI”. Se sei instabile diventi impaziente. Se sei impaziente vuoi fare tutto in fretta e sbagli. Se sbagli diventi più instabile. E più impaziente. Bella fregatura! Hemingway teneva a bada con l’alcol la propria impazienza e non solo quella. Io non bevo e mi mangio le unghie. In più non saprei scrivere quarantasette finali diversi come Hemingway. Altra bella fregatura!

  4. Incantevole il video delle pietre! Anche io sono stanca morta, ma prometto di ripassare presto su NeU. Un abbraccio a tutti e a presto! Silvia

  5. Per andare avanti… Riflettevo, non c’è media che ogni giorno non riporti attacchi a qualcuno, i politici in prima fila. Non c’è essere umano in giro per le strade che non critichi qualcuno, da Balotelli a Monti. Quindi mi chiedo, non è forse arrivato urgentemente il tempo delle nuove proposte a sostituire le critiche, cosa ben più difficile si intende. In merito per esempio al nostro governatore lombardo o nei confronti di alcuni nostri politici, io inizio da oggi a non riconoscerli, come i Valdesi fanno con il Vaticano, semplicemente non lo riconoscono, ma hanno creato la loro strada, autonoma. Non sarà granché, ma mi sembra un primo passettino, mentale, e anche concreto.

  6. ECCO DUE SUGGESTIONI – LO STONE BALANCING Silvia Veroli mi segnala un articolo scritto per Alias (Il Manifesto) sullo stone balancing. Dice che non lo mette su NeU perché le sembra di autopromuoversi. E vabbe’, allora lo faccio io, per il piacere di tutti voi: una bella storia e una bella scrittura. Sentire il ciottolo e vivere felici Le rocce della baia di La Jolla, San Diego, California sono grandi e acuminate, spuntano tra prati e cale di sabbia grossa, fanno da corona alla siesta di leoni di mare puzzolenti e mitologici spaparanzati sulla riva; il vento che spinge onde e surfisti porta, con il lezzo primordiale dei seals, anche zaffate di ibiscus e agapanto e odori minerali e freschi di salsedini e conchiglie, qualcosa di amniotico. Tra queste rocce non è raro incontrare Rabindra Sarkar, the rock star of San Diego, impegnato a mettere in equilibrio pietre che non rotolano mai. Rabi è un maestro Reiki, e compone pile di rocce miracolosamente in piedi con molta più destrezza e facilità di chi costruisce castelli di sabbia. La pratica spirituale, dice, e la pace che ne consegue, la convinzione di sentirsi una cosa sola con gli altri e con tutto ciò che lo circonda, gli dona la telepatia col mondo necessaria a trovare l’allineamento apparentemente magico delle pietre. «Se sgombri la mente puoi fare qualsiasi cosa». L’energia, spiega, gli viene dalla preghiera a Dio, comunque lo si chiami, perché tanto «uno ce n’è, seppure con troppi nomi». Tutto qui. Con un’aria perennemente tra il disarmante e il divertito, Rabi, da qualche anno costella la baia della sunny San Diego, appena oltre il confine con un Messico molto raggiante e pochissimo in pace, dei suoi incredibili totem che fa e disfa per la gioia e lo stupore di indigeni e turisti che fanno a gara per caricarlo su youtube; altra location sandieghese delle creazioni di Rabindra, sempre lambita da pacifissimo oceano, è il Seaport Village, quasi la versione pop di un villaggio di pescatori (e in effetti a progettarlo fu anche una società del gruppo Disney che architettò per gli edifici del waterfront molte ambientazioni diverse: vittoriano, nuovo messico, vecchio west e cape cod). Tra gabbiani che passeggiano sfrontati come ballerini di musical e carousel di cavalli che neanche Mary Poppins ha mai visto così vividi, proprio a pochi metri dal sito dell’enorme statua di un marinaio che bacia un’infermiera eretta per il Memorial Day di 5 anni fa («Resa incondizionata» si intitola) spunta spesso anche Rabindra, ad ammaliare pietre come fossero serpenti. Emergono dalle sue mani, sembra un tornitore coi vasi. «È indiano, è un uomo spirituale» ci spiegano all’Autorità Portuale di San Diego dove lo considerano di casa «non usa trucchi, lui sente le pietre». Dall’altra parte dell’oceano, sulle sponde di un mare Adriatico che non conosce i grandi mammiferi pacifici e che, più che di ukuleli hawaiani, risuona di eco balcaniche, opera – ma lui preferisce dire gioca – con i sassi, un collega dorico dell’ignaro Rabindra. Di mistico non ha nulla, e il suo nome è tutto un programma: Carlo Pietrarossi. Ha preso ad interessarsi alle pietre guardando i bonsai e disponendo quelle giapponesi secondo l’arte del suiseiki; il suo posto preferito è la baia di Portonovo di Ancona, ha cominciato un giorno e non ha più smesso. Tutte le mattine del mondo pratica stone balancing in riva al mare «è un habitat perfetto, ci sono terra, acqua e aria nel fuoco globale, e stai qua: te la canti, te la conti e te la canti. E si trasmette per contagio». La materia prima di Carlo, i sassi candidi, polverosi e senza spigoli di Portonovo, è apparentemente meno ostica di quella di Rabindra. Indugia sui ciottoli, li accarezza e li fa muovere cercando un punto di equilibrio «come lavorare col fuso, vedi. Cominci e in pochi istanti ti senti , ti ritrovi solo». Deve fare i conti con le domande dei passanti, le esclamazioni di meraviglia: ma anche le distrazioni, racconta, fanno parte del gioco di equilibrio, si sommano alla giustapposizione di elementi che poggiano sulla base di tre punti, quella da individuare per cominciare le costruzioni. «È una cosa che riesce bene ai bambini, perché è un bellissimo gioco. Per alcuni una verità, ma io preferisco non vederla così. È pericoloso credere di avere la verità tra le mani». E Carlo Pietrarossi ha individuato nel mondo gli altri giocatori come lui, un paio di cento, e si sono dati appuntamento lo scorso aprile alla baia Portonovo, fiorita per mezza giornata di scultore quasi cicladiche, per la levigatezza e il candore di quei sassi. Il prossimo raduno sarà ad agosto, in Canada, ad Ottawa, su scenario fluviale stavolta, sull’ ansa del fiume Ottawa appunto. Da quelle parti gioca John Felice Ceprano, che fa cose felliniane assicura Carlo, che il gelo immobilizza in un fermo immagine per tutto l’inverno. Ogni stoner, impariamo, ha la sua impronta, c’è chi usa solo pietre, chi ammette l’intrusione di pezzi di legno e sostegni naturali, e inserisce lo stone balancing come elemento in più generiche opere di land art. Poche le donne, che d’equilibrio pure dovrebbero intendersene; esiste anche un manifesto aperto e una comunità di appassionati in espansione. Quando si incontrano ad Ancona i giocatori o artisti amano praticare sotto una grande scoglio sotto la Baia della Torre che qualcuno chiama il sacrario. È che da lontano era, sembra, un’isola, come aveva già intuito Munari. «E per questo che ci piace» si affretta a puntualizzare Pietrarossi. Però alla domanda su cosa accomuni davvero gli stoner, al di là di genere, nazionalità e stile, risponde senza esitazione «l’aver attraversato momenti di attenzione e sofferenza. Chi si avvicina alle pietre ha sempre pagato pegno». Con grande pace mette in equilibrio l’ultimo ciottolo mentre onde selvatiche e molto profumate tentano di sabotargli l’opera. A largo passa un surfer, spinge placido la tavola col remo, San Diego non è lontana.

  7. Grazie mille Annamaria! lo stone balancing unisce due città molto importanti per me (perchè da una parte sono nata io e dall’altra le mie figlie) ed è stato curioso trovare artisti che lo praticano proprio in questi luoghi così lontani tra loro. In realtà la primissima volta che mi sono imbattuta nei “castelli di pietra” è stato alle isole kornati (adriatico – pacifico: 2-1) nel 2005, già belle e fatte, tutte in fila sul bagnasciuga ad attenderci mentre raggiungevamo la riva via mare, molto impressionante, sembravano i custodi dell’isola. Silvia Veroli

  8. Le pietre che non rotolano più, incredibile. Come hanno detto: “Ascolta la voce della pietra, non opporti all’appello della forma! Cogli l’occasione per allenarti come un dio.” L’equilibrio è solo un passo ripetuto per l’acrobatica.

  9. ENIGMISTICA, TURING, NUOVO E UTILE 2012 anno di molti anniversari creativi; scrivendo in parallelo del 80° compleanno della settimana enigmistica e del 100° di alan turing, di cui questo sito si è occupato con i soliti appassionanti approfondimenti, mi è tornato alla mente un racconto di annamaria, che in qualche modo ha a che fare anche con gli equilibri (mancati) e annessi disastri, nonchè con la distribuzione degli accenti e gli inganni delle parole. lo condivido a questo link https://docs.google.com/open?id=0B7okamooqi5ORUN3SEoyOXh3bWs

  10. ENIGMISTICA, TURING, NUOVO E UTILE ps. sono sempre OZMA, che fa pasticci, non un utente anonimo (certo che, firmando gli articoli che poi allego, chiamarmi “ozma” fa venire in mente la frase di Claudio Bisio “chi sarà mai, in gran segreto, super pippo?” -da “Quella vacca di Nonna Papera” Baldini e Castoldi 1993″). Silvia

  11. ENIGMISTICA, TURING, NUOVO E UTILE Grazie Silvia. Metto anche : un link più comodo. Occhio: per accedere alla pagina bisogna fare il login con Google.

  12. IL GIOCO DI SPECCHI SUL WEB Sono stata poco connessa in questi giorni – ora è tutto a posto – e qualche ora in rete stamattina mi mette di fronte a un’insalata mista di notizie e commenti di tutti i tipi. Scelgo qualcosa di sfizioso, qualcosa di più consistente, qualcosa di curioso e ve li propongo. Intanto, e nel caso non li abbiate visti tutti (qualcuno, di sicuro, sì), vi linko questa raccolta di 15 spot a tema olimpico. Purtroppo manca il bellissimo “Meet the Superhumans”, che promuove le Paralimpiadi. E non capisco perché youtube mi dica che non può essere visto in Italia. Qualcuno ha idea del motivo? E poi: c’è questo articolo di Piattelli Palmarini che racconta come il razzismo sia inciso nel nostro cervello. Beh, in una parte del nostro cervello: l’amigdala antica, emotiva e bellicosa. Ma per fortuna c’è un’altra parte… Infine, la storia di un sofisticato gioco di specchi in rete, e di un cortocircuito di senso e identità che oltretutto ha – e questo non ci dispiace, vero?– un esito di successo. Buon ultimo giorno di luglio a tutti.

  13. IL LINK MANCANTE AL COMMENTO 11 – IL GIOCO DI SPECCHI SUL WEB Alessandro Ingusci mi segnala (grazie!) che nel commento 11 l’ultimo link, che peraltro dà il titolo a tutto quanto, non porta a nulla. Scusate: è un errore tecnico da trasferta, tastiera piccola e linee ballerine. Comunque, Eccolo qui.

  14. COOPERAZIONE E COMPASSIONE “Le reazioni morali di compassione e di cooperazione dipendono in particolare da tre varibili: il grado di prossimità tra il benefattore e il beneficiario; il posto che occupa la vittima nella scala del potere; la gravità del disastro.” Lo scrive il francese Tzvetan Todorov su Repubblica. Un pensiero fresco su solidarietà ed egoismo nella zuppa tiepida delle chiacchiere estive.

  15. IL POLO DELLA SPERANZA E IL CORAGGIO DI ESSERE SEMPLICI La dissennatezza onomastica della sinistra sta partorendo l’ennesimo mostrino? Quando ho letto ieri sera del “Polo della speranza” non ci volevo credere. E invece no. Ne parla oggi Repubblica (“nasce il Polo della speranza, dice il leader di Sel”) mentre il Corsera prende le distanze (“Vendola ufficializza il varo dell’alleanza tra progressisti che battezza – salvo poi derubricarla a una battuta – nel nome di Polo della speranza”). Chi si ricorda l’”Allegra macchina da guerra” ha di sicuro sentito un lugubre brivido giù per la schiena. E forse anche chi è più giovane ha provato qualcosa di più di un lieve imbarazzo. Polo della speranza? Che cavolo vuol dire? Che si aspetta e si spera? In che cosa? Essendo che cosa? Volendo che cosa? E facendo che cosa, per che cosa e in nome di che cosa, e per chi? Ah, già. A proposito: c’è stata anche “la Cosa”, e poi “la Cosa2”, nel secolo scorso, a battezzare in tutta la sua timida incertezza uno dei tanti progetti della sinistra. Qualche anno fa, era tutto un fiorire di nomi di bambini che si chiamavano Deborah e Jonathan e in altri modi ancora, esotici e televisivi. Ora per fortuna sempra che si stia tornando a Pietro e Paolo, Francesca e Lucia . Sarebbe meraviglioso che il medesimo stile “back to basics” si applicasse anche ai nomi delle proposte politiche. Per prendere le distanze dalla stucchevolezza berlusconiana, certo. Ma sopratutto perchè in tempi complicati ci vogliono codici semplici e consistenti. E perché non basta uno slogan per convincere le persone, nemmeno se si tratta di saponette o di pomodori pelati. Perfino in quei casi, davvero, ci vuole anche una storia da raccontare.

  16. IL POLO DELLA SPERANZA E IL CORAGGIO DI ESSERE SEMPLICI La scelta di questo nome mi fa tornare alla mente due citazioni contrastanti, due affermazioni quasi in guerra tra di loro, l’una contro l’altra armata, come due acerrime nemiche. La prima è: “La speranza è un rischio da correre”, attribuita a Gianni Rodari; l’altra, l’antitesti, è: “La speranza è una trappola” detta da Mario Monicelli. In entrambi i casi, benché due punti di vista oggettivamente lontani, personalmente, al di là di quale si condivida, a patto che se ne condivida una delle due, ci vedo qualcosa di romantico, di nobile, di necessario. In entrambe ci vedo la voglia di prendersi, in modi differenti, un meglio che nel presente nn c’è. Peccato, però, che nulla di tutto questo può essere associato alla pseduo-sinistra italiana… magari il problema fosse solo il nome… anche se già dal nome s’intuisce la profonda crisi d’identità di questa corrente politica sempre più alla deriva, al punto che nn riesce nemmeno a tirare fuori uno straccio di slogan appassionante. Questa è una Sinistra asservita alla destra che avrebbe potuto prendere le redini di questo Paese e portarlo fuori dalla crisi, limitandosi a fare la Sinistra e nn sottomettersi a tutto, dagli umori del primo rivenditore di automobili in pullover all’umiliazione dell’ABC dei diritti fondamentali… Sarà che ho una visione tutta mia della politica o sarà quel che sarà, pensandoo e ripensando al nuovo “naming”, mi viene automatico ricordare Massimo Troisi in “Ricomincio da tre”, quando, nel finale del film, parla con la sua compagna del possibile nome del figlio che è in arrivo e “il-Po-lo-del-la-Spe-ran-za” è più lungo di Ma-ssi-mi-li-a-no”, per cui sono fermamente convinto che questo nuovo soggetto politico sarà alquanto maleducato (politicamente parlando…).

  17. IL POLO DELLA SPERANZA E L’IMPORTANZA DI ESSERE TROISI Cambio il titolo della conversazione (su cui molto c’è pure da dire; la speranza e la fiducia abbondano sulla bocca di politici e comunicatori in tempi bui, come pure la felicità cui la Provincia di Pesaro ha ritenuto dover dedicare un esoso festival) perchè l’intervento di Giuliano mi fa venire in mente una poesia di Benigni dedicata a Troisi sentita ieri nella miscellanea televisiva che non ricordo se segua il tg1 oil tg2. “Era come parlare col Vesuvio” mi sembra perfetto. Non so cosa teneva “dint’a capa”, intelligente, generoso, scaltro, per lui non vale il detto che è del Papa, morto un Troisi non se ne fa un altro. Morto Troisi muore la segreta arte di quella dolce tarantella, ciò che Moravia disse del Poeta io lo ridico per un Pulcinella. La gioia di bagnarsi in quel diluvio di “jamm, o’ saccio, ‘naggia, oilloc, azz!” era come parlare col Vesuvio, era come ascoltare del buon Jazz. “Non si capisce”, urlavano sicuri, “questo Troisi se ne resti al Sud!” Adesso lo capiscono i canguri, gli Indiani e i miliardari di Holliwood! Con lui ho capito tutta la bellezza di Napoli, la gente, il suo destino, e non m’ha mai parlato della pizza, e non m’ha mai suonato il mandolino. O Massimino io ti tengo in serbo fra ciò che il mondo dona di più caro, ha fatto più miracoli il tuo verbo di quello dell’amato San Gennaro

  18. IL POLO DELLA SPERANZA E L’IMPORTANZA DI ESSERE TROISI Geniale il cambio di titolo Ozma :), la poesia di Benigni ogni volta che la leggo mi fa venire i brividi, oltre che un pizzico di malinconia. Quella stessa malinconia che Troisi riusciva a rendere sorrisi, battute, risate. E visto che stiamo parlando di politica voglio contribuire con una citazione del grande Massimo sulla disoccupazione che a distanza di decenni sottolinea il vero problema di questo Paese: la classe politica, incapace e disinteressata di risolvere un problema che sia uno: “A Napoli la disoccupazione è un problema che va risolto. E i politici ce la stanno mettendo tutta. Hanno pensato di risolverlo con gli investimenti. Solo che poi hanno visto che con un camion dei carabinieri riescono a investirne uno, due. Quelli so tanti. Se vogliono risolvere veramente il problema, con una politica seria e impegnata, l’unica cosa è fare i camion più grossi.”

  19. IL POLO DELLA SPERANZA E L’IMPORTANZA DI ESSERE TROISI Intanto – dice l’Unità – Bersani giura che no, non si chiamerà Polo della speranza. E meno male. Però forse, a futura memoria, val la pena di continuare questo ragionamento sulle parole e le idee. In nome, anche, di Troisi. Faccio una piccola digressione. Sono in Sicilia: oggi gironzolando in un’APT trovo (e ovviamente guardo) il pieghevole di una società che produce salami. Che – orpo! – si chiama Sicilsuis. Immagino che facciano salami meravigliosi. Però. Però, quel nome lì… Chiedo agli amici siciliani con cui sto gironzolando come si chiama in dialetto il maiale nero tipico di queste parti. “Porcu Nivuro”, mi dicono. Bellissimo. E, insomma, ho la sensazione che assaggerei più volentieri, e che mi sembrerebbe più gustoso, un salame Porcu Nìvuro che un salame Sicilsuis. Insomma: il nome di un salame non dev’essere moderno e lambiccato e difficile da pronunciare. Dev’essere autentico e, possibilmente, radicato in una cultura e una storia. A pensarci bene, coi nomi dei partiti non è poi così diverso. Sempre più spesso, in politica e non solo, sembra che sia necessario e sufficiente trovare un nome per qualcosa che non c’è ancora: e poi, nominato dal nome, il qualcosa verrà fuori. Puro pensiero magico. Naturalmente, poiché il nome dovrebbe evocare tutto il qualcosa che non c’è, vien fuori sovraccarico di intenzioni, implicazioni, suggestioni distinzioni e contenuti che son chiari solo a chi lo progetta, il nome. Se poi nei fatti è bruttino, impronunciabile, improbabile, sgraziato, oscuro, tenuto insieme con la colla (e, nel caso che dà origine a questa discussione) anche vagamente sfigato, pazienza. In realtà, per avere un nome che potrebbe piacere anche a Troisi, bisogna fare esattamente il contrario: mettere a punto un progetto coerente, forte, semplice. Fatto di pochi punti chiari, che si capiscono. Sapere, e avere il coraggio di dire, qual è il criterio di base (ehi: ho detto il criterio di base! E, per esempio, la speranza NON è un criterio di base) a partire dal quale è stata formulata la proposta. Quando dico “criterio di base”, intendo dire ciò che tiene tutto quanto insieme. Monti, per esempio, un criterio di base ce l’ha ben chiaro, e l’ha ripetuto molte volte: la priorità è risanare il bilancio dello Stato. Se dovesse fondare un partito, sarebbe facile chiamarlo il partito dei Risanatori. O, magari, Risanamento e Sviluppo. O Italia Risanata. Una roba che, non a caso, non somiglia al nome di un partito possibile. E qui vedete che, se il nome c’entra con ciò che vuole nominare, i conti tornano sempre. Per trovare un nome forte al progetto della sinistra bisognerebbe partire dal criterio di base. Dalla caratteristica saliente. C’è, nel progetto che ha presentato Bersani una caratteristica saliente? Se sì, è lì che sta il seme di un buon nome.

  20. IL POLO DELLA SPERANZA E L’IMPORTANZA DI ESSERE TROISI Quanto dice Annamaria mi riporta alla mai disapplicata prima lezione di comunicazione della professoressa di italiano del ginnasio, vale a dire, grosso modo: se non trovi un titolo per quello che scrivi, riscrivilo, vuol dire che non ha un contenuto che può identificarlo. In quanto ancora alla Speranza e a tutte le altre virtù, teologali e meno, penso si prestino ad essere nome più per le imbarcazioni che per i partiti politici. Segnalo in tal senso una pubblicazione dal titolo “La Speranza – Piloti pratici, naufragi, prove di fortuna” (Villa Verucchio, La Pieve Editrice, 2006) che una storica del Mediterraneo dell’Università di Bologna, Maria Lucia De Nicolò, ha dedicato alle prove di fortuna (tecnicamente “testimoniali” resi dai naviganti per dimostrare le cause naturali del sinistro marittimo e non essere riconosciuti colpevoli dai Tribunali del Mare della perdita del carico – umano o di merci); con un affascinante approfondimento dei riti ancora oggi praticati dagli uomini di mare come “incantesimi perennemente reiterati contro il capriccio delle bufere e delle tempeste”. Oltre che con Schettino e col Titanic ha molto a che vedere, a mio avviso, anche con le dinamiche della politica.

  21. IL POLO DELLA SPERANZA E L’IMPORTANZA DI ESSERE TROISI Be’ che Bersani giuri che nn si chiamerà Polo della speranza, forse, è anche peggio, perché, sempre forse, ancora nn sanno nemmeno come chiamarsi. Praticamente nn sanno ancora chi sono, da dove vengono e soprattutto che cosa vogliono fare da grandi e, fortissimamente forse, sperano e si affidano a “incantesimi perennemente reiterati contro il capriccio delle bufere e delle tempeste”… e alla luce di ciò nn posso nn citare nuovamente Troisi: Il governo ha detto: “Presto il napoletano non dovrà più emigrare in Svizzera”. No, no ‘o governo italiano, il governo svizzero l’ha detto. Buone vacanze (speriamo…) a tutti ^_^

  22. LE DONNE NEI CDA PER LEGGE Il Consiglio dei Ministri ha decretato che dal 12 agosto le SpA e le società pubbliche sono obbligate a rispettare le quote rosa (20% di presenza femminile) nei Consigli di amministrazione, pena la decadenza dei CdA medesimi. E’ una notizia importante. Michela Marzano commenta (e premetto che sono perfettamente d’accordo): “Per molto tempo la soluzione delle ‘quote rosa’ mi ha lasciata perplessa. Ho spesso citato Montesquieu e la sua lucidità sull’impatto che le leggi possono avere sulla società. Per l’autore de ‘L’esprit des lois’, non bisogna cambiare i costumi attraverso le leggi, ma le leggi attraverso i costumi (…) Dobbiamo però arrenderci all’evidenza: in certi casi, solo la legge può accelerare la trasformazione. L’intero articolo merita una lettura.

  23. L’ALLEGRA MACEDONIA DI LEHRER Jonah Lehrer, l’autore di Imagine, recente libro sulla creatività definito “illuminante” dal New York Times”, ed elogiato in rete da schiere di ammiratori, viene preso in castagna su una citazione inventata e ammette che “molti dei suoi articoli erano copia-e-incolla di articoli di altri.” Crollo di credibilità sia per l’autore, sia per le testate giornalistiche che in modo un po’ troppo sbrigativo ne hanno decantato la genialità, prima fra tutte il Washington Post. C’è da dire che, in tempi non sospetti, su NeU mi è capitato di esprimere più di un dubbio, non tanto sulle tesi – molte delle quali ampiamente note, e plausibili – quanto, appunto, sull’enfasi data all’allegra macedonia che ne ha fatto Lehrer medesimo, e alle più indigeste insalate russe che di Lehrer hanno fatto schiere di fan. Potete leggere il post qui.

  24. I ROGHI SICILIANI E IL FANTASMA DEL FALLIMENTO DELLE NAZIONI Su Repubblica di oggi, sotto il titolo La politica del successo – il bestseller americano sulla formula che fa grande un paese, Simonetta Fiori recensisce Why Nations Fail, il testo di cui prossimamente si discuterà negli USA. La domanda di base è piuttosto attuale: perché alcune nazioni prosperano e altre falliscono, perfino se condividono le medesime condizioni ambientali e climatiche ( pensate alle due Coree. O, in Africa, allo sviluppo del Botswana paragonato alle criticissime condizioni dello Zimbabwe)? La risposta degli autori si articola in una quantità di pagine ed esempi ma, dice Fiori, la tesi di fondo è che prosperano i paesi governati da politiche inclusive e pluraliste, che forniscono a tutta la popolazione le stesse potenzialità di crescita, che valorizzano la formazione scolastica, che perseguono gli interessi dell’intera popolazione. E del resto ricordo di aver visto, già diversi anni fa, un grafico assolutamente rivelatore: metteva a confronto la curva indicante l’incremento di investimenti nella scuola in Corea del Sud e la curva, crescente alla stessa maniera, nella stessa identica forma ma a distanza di una decina d’anni, che indicava l’aumento del PIL coreano. E qui temo che la chiave sia “a distanza di anni”. Ci vuole una classe politica davvero lungimirante e disinteressata per ragionare nell’arco di risultati decennali, e non nella prospettiva cieca e opportunista dei prossimi giorni, o dei prossimi mesi. E ci vuole un paese unito e responsabile per accettare questa logica. Per dire: qui in Sicilia, da giorni, stanno bruciando intere montagne. Incendi in grandissima parte dolosi. Amici siciliani mi spiegano che è un modo per assicurarsi un po’ di lavoro invernale col rimboschimento. Ed è, ovviamente un modo cieco, ottuso e criminale. Ma… Il modo resterebbe lo stesso, se cambiassero le politiche? Se, per esempio, ai forestali venisse assicurato un reddito A PATTO CHE l’area di loro competenza non bruci? Un po’ come facevano in Cina coi medici, che venivano pagati fino a quando il paziente non si ammalava, e che quindi avevano il massimo interesse a mantenerlo sano?

  25. L’EMILIA NEGLI SCATTI DEI TELEFONINI Per fortuna del terremoto emiliano si continua a parlare. E, soprattutto, lo si fa in una prospettiva non sterilmente lamentosa, ma ricordando e documentando lo sforzo per la ricostruzione. Hanno aiutato a promuovere questo spirito anche le dediche delle vittorie olimpiche. E aiuta questo bell’articolo di Riccardo Luna oggi su Repubblica: http://www.repubblica.it/cronaca/2012/08/11/news/emilia_foto_telefonini-40753942/ Luna parla di un’iniziativa di Shoot4Change: crowdphotography per raccontare microstorie “che cambiano il mondo”. Il gruppo Shoot4Change merita davvero di essere apprezzato e seguito in tutto quanto fa. Trovate il link al sito e, come sempre, una microrecensione, cercando la pagina “fotografia” nel menu di NeU.

  26. L’ALFABETO E I CINQUE SENSI. CHE SONO MOLTI DI PIU’ Presto: dite in fretta quali sono i cinque sensi. E’ un elenco che tutti noi abbiamo imparato da piccoli, poco dopo l’elenco dei giorni della settimana e quello dei mesi dell’anno, e forse insieme all’alfabeto. “Forse”, dico: perché molti ragazzi oggi non sanno bene l’alfabeto a memoria. Tant’è vero che gli insegnanti permettono di appiccicare mini-post-it alle pagine dei dizionari con la sequenza delle lettere per facilitare la ricerca (a me è toccato attrezzare in questo modo non solo il dizionario di greco di mio figlio – e questo sarebbe comprensibile – ma anche quello di latino). Ma torniamo ai cinque sensi: oggi su Repubblica Piergiorgio Odifreddi presenta “Un tour dei sensi. Come il cervello interpreta il mondo” di John Henshaw. L’autore non solo classifica i sensi a partire dalla loro natura (meccanica per il tatto e l’udito, elettromagnetica per la vista, chimica per olfatto e gusto). Individua anche la presenza di sensi ulteriori che, a pensarci bene, fanno parte dell’esperienza di tutti, e sono però sfuggiti alla classificazione classica forse perché è più difficile ricondurli a un organo visibile: il senso (e non a caso lo chiamiamo così) dell’equilibrio, per esempio. O la percezione della temperatura e del dolore. O, ancora, la percezione nel cavo orale del “fresco” come la menta) o del “piccante (come il peperocino) e, aggiungerei, anche di ciò che allappa, come la frutta acerba. Infine c’è la propriocezione: cioè il senso della collocazione del corpo e dei suoi movimenti nello spazio. Così, i sensi diventano dieci. Bisognerà ri-impararseli a memoria.

  27. GLI SPOT INGANNEVOLI DI MEDIASET Copioincollo dal blog ADCI questo articolo del presidente Massimo Guastini. Ne parla anche il blog di Giovanna Cosenza (linkato nel testo) Da circa un mese Mediaset manda in onda dei commercial che Giovanna Cosenza ha definito ieri, senza troppi giri di parole, truffaldini. In apparenza gli spot sembrano pubblicizzare un concorso con in palio premi come iPad, iPhone e ricariche. Partecipare è semplice. Basta inviare via sms, al 481 82, la risposta a quesiti non esattamente complessi: chi è il miglior amico dell’uomo? Il cane o il gatto? che tatuaggio ha mostrato Belen a Sanremo? Farfallina o patatina? in quale regione è prodotto il Barolo? Puglia o Piemonte? Premi in palio, numero di telefono, call to action e quesito sono comunicati con grande evidenza. Lo stesso non si può dire del fatto che inviando la risposta si attiva anche (in automatico) un servizio in abbonamento per ricevere suonerie e sfondi per il cellulare, al prezzo di 24 euro al mese (288 euro all’anno). Questa informazione, non esattamente irrilevante per gli utenti, è contenuta all’interno di un testo molto poco leggibile sul lato sinistro dello schermo. Ho segnalato la campagna allo Iap, ieri pomeriggio, facendo riferimento all’articolo 2 del codice di autodisciplina: Art. 2 – Comunicazione commerciale ingannevole La comunicazione commerciale deve evitare ogni dichiarazione o rappresentazione che sia tale da indurre in errore i consumatori, anche per mezzo di omissioni, ambiguità o esagerazioni non palesemente iperboliche, specie per quanto riguarda le caratteristiche e gli effetti del prodotto, il prezzo, la gratuità, le condizioni di vendita, la diffusione, l’identità delle persone rappresentate, i premi o riconoscimenti. Nel valutare l’ingannevolezza della comunicazione commerciale si assume come parametro il consumatore medio del gruppo di riferimento. Come proposto da Giovanna Cosenza e da Il Disobbediente suggerisco di denunciare la cosa anche all’ Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato perché oltre a imporre il ritiro della campagna ingannevole, può comminare sanzioni pecuniarie fino a 500.000 euro. Il numero di tutela del consumatore è 800.166.661 oppure scrivete a info@agcom.it Un’ultima considerazione. Capisco che agosto possa essere un mese poco proficuo per la raccolta pubblicitaria, ma mi ha sorpreso che questa comunicazione ingannevole sia stata veicolata non da una piccola emittente locale ma da reti Mediaset. Stiamo parlando di (cito da wikipedia): un conglomerato mediatico con fisionomia di major che conta circa 6.400 dipendenti, ha partecipazioni in più di 40 società con sedi in vari Stati ed è il secondo gruppo televisivo privato d’Europa; in termini di fatturato è tra i più rilevanti a livello mondiale nel mercato globale dei media. Nel 2010 è risultato il miglior gruppo media italiano e quinto europeo nella classifica stilata Thomson Reuters Extel. Quotata alla borsa italiana dal 1996 con una capitalizzazione a luglio 2012 di circa 1,33 miliardi di euro e un fatturato annuale attorno ai 4 miliardi, è controllata dalla holding Fininvest, proprietà della famiglia Berlusconi. A chi si fosse distratto durante le vacanze estive, ricordo che la famiglia Berlusconi potrebbe regalare, anche nel 2013, un Premier al nostro Paese.

  28. L’ALFABETO E I CINQUE SENSI. CHE SONO MOLTI DI PIU’ e le sinestesie? con le combinazioni tra i sensi, il catalogo si allunga ancora. da bambina vedevo, o credevo di vedere nella mia testa i numeri colorati. poi ho letto LA DONNA CHE MORI’ DAL RIDERE di V. S. Ramachandran, neuropsichiatra indiano, e ho scoperto che il fenomeno è diffuso e spiegato

  29. L’ALFABETO E I CINQUE SENSI – SINESTESIA Ciao Ozma. Sulla sinestesia ho raccolto qualche tempo fa un po’ di cose interessanti in rete – soprattutto video. Trovi tutto quanto a questa pagina.

  30. TANTO VALE VIVERE Grazie Anna Maria! di link in link dalla serendipity sono finita a Frankenstein Jr che è sempre uno spasso. Oggi invece, cambiando tema, mi ha colpito questa notizia di campagna di comunicazione politicamente scorretta e geniale, l’avete vista? http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2012/08/21/foto/chip_shop_pubblicita-41254336/1/?ref=HREC2-10 giusto tempo fa, da pendolare con altri pendolari, si notava che forse un segno della crisi è che il suicidio sotto il treno capita talvolta di venerdì e non soprattutto di lunedì come tempo fa. So che l’argomento è tremendo e non voglio essere irrispettosa, ma tant’è. buon week end, che sia clemente per tutti

  31. TANTO VALE VIVERE Ciao Ozma. Sì, ho visto la gallery pubblicata da Repubblica. E, sarà deformazione professionale, non riesco a chiamare “geniale” la campagna di cui parli. Certo, è divertente come può esserlo una barzelletta molto scorretta. Ma, appunto, di barzelletta molto scorretta trattasi. E non di pubblicità brillante, di pubblicità provocatoria, di comunicazione creativa e così via. Provo a spiegare perché. L’EMITTENTE: il sindaco di Londra e la società dei trasporti non potrebbero mai firmare sul serio una comunicazione del genere. Il primo si beccherebbe immediatamente, e meritatamente, l’etichetta di stronzo cinico (ottima per uno che racconta barzellette, pessima per un sindaco). La seconda si beccherebbe anche, probabilmente, qualche operazione di boicottaggio da parte degli utenti. Entrambi potrebbero essere denunciati per istigazione al suicidio (letteralmente, la campagna suggerisce un modo “ancora più facile” per suicidarsi). IL MESSAGGIO: dice “c’è gente che si butta sotto i nostri treni, e questo fatto a) ci rompe le scatole, b) ci fa ritardare.” Ma… siamo sicuri che sia un messaggio sensato e di qualche utilità per l’azienda? I DESTINATARI: qualcuno potrebbe rispondere che ad essere da suicido è il servizio offerto dalla metropolitana londinese. Qualcuno potrebbe offendersi (ehi, aspiranti suicidi sarete voi). Qualcuno (una lunga lista) potrebbe arrabbiarsi sul serio. Il web, che apprezza questa campagna sapendo che è “per finta”, ne direbbe di tutti i colori se fosse vera. L’ha fatto per molto meno, dando luogo a una lunga sequenza di “epic fail”. L’OBIETTIVO: non è, ovviamente, convincere gli aspiranti suicidi ad ammazzarsi in altra maniera. Tra l’altro, inghiottire sarà più facile che saltare, ma procurarsi una pillola è più difficile che saltare. E ci vuol anche più tempo. E l’obiettivo non è nemmeno aumentare la notorietà o la simpatia del servizio londinese (chi mai vorrebbe promuoversi legandosi all’idea del suicidio?). O, ovviamente, non è ricordare la puntualità dei treni (se tutta ‘sta gente si butta sulle rotaie, saranno sempre in ritardo). Qual è, allora, l’obiettivo? Semplice: è vincere il premio per la pubblicità senza regole, prendendo un argomento scomodo e raccontandoci sopra, in forma di campagna pubblicitaria, una barzelletta scorretta. Insomma: scorrettezza per scorrettezza, ‘sta campagna mi sembra una gran pippa. … e poi è tutto troppo facile, eh. È come fare il concorso per le sceneggiature che non potranno mai trasformarsi in film, o per le ricerche che non otterranno mai uno straccio di risultato. Tra l’altro: gli ig-Nobel sono molto più seri: trattasi comunque di vera ricerca E sono anche moooolto più divertenti).

  32. menomale, mi conforta che anche tu la pensi così…e sopratutto attenua il timore che quella gallery possa essere un assaggio della pubblicità del futuro!

  33. Cara Annamaria, la tua analisi della campagna londinese è impeccabile, eppure manca ancora qualcosa, che è quello che manca nella campagna stessa e nel commento iniziale di Ozma: cioè una sensibilità, e un rispetto, per le vicende umane. La campagna ovviamente è uno scherzo, e parto cosciente di questa premessa. Ma sono le reazioni a fornire un quadro “interessante”. Il commento iniziale di Ozma credo si inserisca bene nel quadro contemporaneo per cui il pubblicitario, il grafico, il designer, è “irriverente”, “alternativo”, “creativo”; allo stesso modo la pubblicità può essere irriverente alternativa e creativa a tal punto da farsi letteralmente beffe di cose come il suicidio – e ci sarà sempre qualcuno che reagirà definendola “geniale” (niente di personale, Ozma, il tuo commento serve soltanto per fare un discorso più generale). Ma allo stesso modo, nel tuo commento Annamaria si scorge una perfetta analisi dal punto di vista della comunicazione, ma ancora manca il fattore umano. Il fattore etico. Che esista o debba esistere un’etica nella pubblicità, è ancora oggi argomento di discussione. Io personalmente non avrei mai firmato una campagna del genere, nè tantomeno l’avrei definita geniale, perché pensare al copy e all’art seduti in un qualche ufficio in un grattacielo di Londra a firmare campagne che ironizzano su drammi umani che probabilmente nemmeno li sfiorano, mi fa semplicemente ridere. Mi pare semplicemente ridicolo. E credo non aggiunga nulla, davvero nulla, al mondo. Questo tipo di approccio a tutti i costi irriverente, alternativo, creativo a tutti i costi è uno dei motivi, credo, per cui ancora oggi molte persone detestano la pubblicità e si fanno spesso beffe dei hipster designer e “creativi”, danneggiando tutta la nostra categoria. Quello che voglio dire è che non è solo un problema di comunicazione, di che figura ci fa il sindaco, di come apparirebbe Transport for London. E’ un problema di etica. Cordialmente Benedetta p.s. Ozma (questo è un po’ più personale): commentare sui suicidi del lunedì o del venerdì come segni della “crisi” come se stessi parlando di due tipi diversi di cappuccino lo trovo quantomeno imbarazzante. E’ evidente che, come quei pubblicitari che citavo, anche tu non sai bene di cosa stai parlando.

  34. TANTO VALE VIVERE Benedetta, so di cosa sto parlando, purtroppo. Mi spiace davvero di aver urtato sensibilità con un commento precipitoso, non volevo, come specificato, mancare di rispetto e mi scuso se comunque l’ho fatto. buona settimana

  35. TANTO VALE VIVERE @ Benedetta. La scelta di commentare in modo strettamente tecnico è stata del tutto intenzionale. Nel senso che non mi è sembrato assolutamente il caso di mescolare in poche righe il suicidio nella sua realtà cruda, dolente e spaventosa con la frivolezza stupida e furbacchiona di una campagna di cui penso quel che ho scritto.

  36. TANTO VALE VIVERE @ Annamaria. Certamente avevo compreso che il tuo commento strettamente tecnico fosse intenzionale, e capisco i tuoi intenti su cui posso anche essere d’accordo. Ma è proprio questo il punto: la comunicazione non è mai “strettamente tecnica”. Non riguarda solo scopi, obiettivi e effetti della pura trasmissione di un messaggio. La comunicazione è fatta di due cose prima di tutto: una persona, e un’altra persona. “Non mescolare” è un’utopia che non ha mai riscontro effettivo nella realtà quotidiana. Cordialmente

  37. TANTO VALE VIVERE @ Benedetta. Rispetto il tuo punto di vista ma, abbi pazienza, continuo a ritenere legittimo “anche” il mio. – Per sottolineare il fatto che qualsiasi atto di comunicazione abbia una componente (o, meglio ancora, un fondamento) emozionale e relazionale ho scritto diverse centinaia di pagine. Lo ricordo giusto per segnalare che il tema mi è piuttosto familiare. – Proprio perché il tema è familiare, ritengo che ci siano validi motivi di, per così dire, igiene e correttezza della comunicazione, che consigliano, quando è possibile, di non mescolare i piani per ottenere un consenso fin troppo facile. In altre parole: è troppo comodo (e molto, molto poco rispettoso) ricorrere ad argomentazioni ad altissima intensità emotiva per supportare le proprie opinioni, senza fare così la fatica di argomentarle. – Per esempio, scrivere, nello stile di molti commenti web “vergognatevi! Siete dei cinici avvoltoi che ridono del lutto e della disperazione”, oppure “Disgraziati! Vi meritate un figlio suicida per vedere che cosa si prova!” non è un’argomentazione. E’ una bomba emotiva. Non sgarbuglia il tema ma lo ingarbuglia ancora di più, mescolando i piani: quello di una realtà tremenda, e quello di una furbata scema, strumentale e superficiale. – Infine. Ho abbastanza fiducia nell’intelligenza emotiva dei lettori di NeU per essere certa che ciascuno sia stato in grado di dedurre da solo le implicazioni, le conseguenze e i dati contestuali di cui non mi è parso opportuno parlare. Spero di essere stata chiara. E comunque preferirei fermarmi qui.

  38. TANTO VALE VIVERE @Annamaria. Concordo con tutto quello che dici e anch’io non approvo i sentimentalismi facili che sviano dall’analisi. Il mio intervento era solo volto a sottolineare che, per me, anche se quella campagna avesse in qualche modo centrato il punto, utilizzato magistralmente le tecniche di comunicazione, e fosse perfetta dal punto di vista “tecnico”, non avrebbe funzionato comunque. Perché appunto ritengo che siano importanti anche altri elementi. Non mescoliamo per mantenere “pulizia”, d’accordissimo, ma nemmeno scorporiamo a forza ciò che non è scorporabile solo perché quando ci si sofferma sulla tecnica senza l’etica, allora è più facile. Abbiamo un milione di libri e “centinaia di pagine” sulle tecniche di comunicazione. Abbiamo poco o nulla sulla sua etica. Ti ringrazio per le tue precisazioni, buona continuazione Benedetta

  39. Geniale!!!! Arrivo a casa e ci provo… A volte mi stupisco di quanto sia facile inventarsi una soluzione.

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