chiedere scusa

Chiedere scusa: perché è difficile. Perché è virtuoso. E come si fa

A tutti può capitare di dover chiedere scusa. Non a tutti succede di volerlo o saperlo fare in modo onesto, efficace e trasparente. Di fatto il gesto di chiedere scusa è complicato per diversi motivi così come, per diversi altri motivi, è necessario e virtuoso.
Non è vero che scusarci ci fa stare subito meglio (e non è questa la motivazione da dire ai bambini quando li invitiamo a chiedere scusa) scrive The Atlantic. Ma, d’altra parte, l’obiettivo delle scuse è quello di far sentire meglio chi ha subito un’offesa, non chi l’ha arrecata. Il secondo obiettivo è disincentivare chi ha offeso qualcuno a ripetere quel comportamento.

CONSEGUENZE POSITIVE. Ma il fatto di scusarsi ha altre, e maggiori, conseguenze positive: imparare a chiedere scusa è (per i bambini, ma anche per gli adulti) parte integrante dell’addestramento alla vita sociale. Migliora le relazioni interpersonali. Riduce la rabbia e la contiene. Accresce la coesione delle comunità. E poi, chi si scusa dimostra di avere una buona autostima: sono le persone con bassa autostima quelle che fanno più fatica a scusarsi.
Sapersi scusare è importante anche nel mondo degli affari, e a scriverlo è Fortune. Gli amministratori delegati e i dirigenti che rifiutano di scusarsi quando dovrebbero farlo mettono a rischio la reputazione dell’intera azienda. D’altra parte, farsi carico degli errori dell’impresa appartiene al loro ruolo (e, aggiungo, il fatto di scusarsi quando è necessario dimostra la loro capacità di sostenere quel ruolo pienamente).

DIFFICILE, DESIDERABILE. Sorry / Is all that you can’t say / Years gone by and still / Words don’t come easily / Like sorry like sorry Scusami. È tutto qui quello che non riesci a dire, canta la musicista afroamericana Tracy Chapman in un indimenticabile brano di fine anni 80. Riascoltarlo può essere una buona idea, perché suggerisce in modo semplice e potente come l’atto di dire “mi dispiace” possa essere tanto difficile quanto desiderabile.

SCUSE INEFFICACI O ECCESSIVE. Ma scusarsi non basta: bisogna farlo bene e sul serio. La Harvard Business Review descrive quattro tipi di scuse inefficaci: ci sono le scuse formali, vuote di ogni sentimento autentico. Solo parole dette in modo reticente e frettoloso, senza coinvolgimento sostanziale. Non servono a niente.
Ci sono poi le scuse eccessive, ripetute e fastidiose (oh, provo un terribile, enorme dispiacere!…), che mettono il danneggiante e i suoi sentimenti di rimorso al centro della relazione, e paradossalmente obbligano il danneggiato a confortare chi ha causato il danno.

SCUSE INCOMPLETE O NEGATE. E ancora: ci sono le scuse incomplete. Dire solamente mi dispiace per quanto è successo significa non riconoscere il proprio ruolo (e la propria responsabilità) per quanto è successo, e non assumersi alcun impegno per evitare che in futuro una situazione analoga si ripeta. Troppo facile…
Infine, ci sono le scuse negate: ehi, non è colpa mia! Se non altro, sono sincere: è l’ego che parla, e rifiuta di ammettere ogni colpa. Questo genere di scuse sono non solo inefficaci, ma controproducenti: accrescono il danno inferto e pregiudicano definitivamente la possibilità di salvare la relazione. Alle non-scuse, cioè alle scuse incomplete o negate, il blog dell’Oxford Dictionary dedica un articolo assai gustoso.

CAMBIARE PROSPETTIVA. In realtà, per chiedere scusa in modo appropriato c’è una sola cosa da fare: cambiare prospettiva e mettersi nei panni della persona offesa. Vuol dire capirne lo stato d’animo, desiderare sinceramente di porre riparo e proporsi di migliorare i propri comportamenti futuri. Sì, non è facile.
A proposito del cambiare prospettiva: anche perdonare nel modo giusto è difficile scrive Claudio Magris in un articolo uscito qualche anno fa.

PERDONARE, MA IN CHE MODO? Magris distingue diverse modalità relazionali del perdonare: c’è quella supponente, che intende l’atto del chiedere scusa come gesto di sottomissione, e il perdonare come una grazia concessa da una posizione di superiorità.
C’è il perdono cristiano, che nasce dal riconoscere una fragilità umana condivisa, e con questo mette su un piano di parità il confessore e il peccatore: perdonante e il perdonato. E c’è la tragica parodia mediatica del perdono: quello che a gran voce viene chiesto (e istantaneamente preteso!) dalle vittime di crimini efferati, originando uno stravolgimento di ruoli che pone chi ha subìto un torto nella posizione di dovere ancora qualcosa a chi, quel torto, l’ha inflitto.
Infine, dice Magris c’è il perdono differito. Che può avere un valore emotivo, simbolico, storico anche forte, ma da un punto di vista relazionale è un po’ un controsenso, perché non mette a confronto i due attori (individui o comunità) effettivamente coinvolti nel torto inflitto e subito.

FINO A CHE PUNTO? Magris si chiede fino a che punto ci si deve sentire responsabili per colpe non personali, ma perpetrate dalla parte cui si appartiene, chiesa, patria, partito, comunità, sistema economico e sociale, per poi concludere che le scuse stanno diventando anche una mania, per misfatti sempre più antichi, e che presto ci sentiremo in colpa anche per l’invasione della Gallia da parte di Giulio Cesare.
Eppure, anche questo genere di scuse può essere importante, nella misura in cui chiedere scusa per torti inflitti in passato si riflette e determina i comportamenti attuali. Per esempio, gli psicologi australiani si sono di recente scusati formalmente con le tribù aborigene per la pratica pluridecennale di separare le madri dai figli, che ha dato origine al fenomeno atroce delle stolen generations, le generazioni rubate.

INVERSIONE DI TENDENZA. In questo caso, le scuse hanno rilievo perché segnano un’importante inversione di tendenza nel modo che le classi dirigenti bianche hanno di interagire con gli aborigeni. L’atto di scusarsi formalmente è stato anche parte integrande della faticosa opera di riconciliazione intrapresa dopo i genocidi nel Rwanda, che hanno coinvolto un milione circa di persone: il New York Times ne dà conto con un articolo toccante
Time, invece, raccoglie le dieci maggiori scuse nazionali dei tempi recenti. L’articolo è del 2010: mi vengono in mente almeno un paio di pagine che andrebbero aggiunte.
Questo articolo è il terzo di una serie sul chiedere e il domandare. Se vi è piaciuto potreste leggere anche:
Saper chiedere è un’arte, un gesto coraggioso e una conquista
Domandare: la magnifica capacità infantile che perdiamo da adulti

Questo articolo esce anche su internazionale.it

5 risposte

  1. Proprio così, Annamaria: mettersi nei panni della persona offesa. Le scusa personali e le scuse formali chiamano in causa un senso di responsabilità e cortesia.
    Faccio un paio di esempi.

    – A scuola ho chiesto scusa per una mancanza dell’insegnante di sostegno in quanto io ero titolare della classe.

    – In azienda ho chiesto scusa per un formatore che aveva commesso una leggerezza in quanto ero coordinatore della formazione.

    Ho già scritto che la superbia tira brutti scherzi *_*

  2. Ho scritto ad una mi amica ,che chiedere scusa ,si dimostra di essere una persona “rimessiva ” desiderio sapere se mi ero espressa bene. Voi consigliate :” persona Virtuosa ” . Dato ch ‘è difficile chiedere scusa ,perdonami …
    Grazie per il sostegno ..

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