chiudi il becco

Chiudi il becco (sto pensando)! – Metodo 79

Non so se vi è capitato di vedere qualche episodio di Sherlock, la serie televisiva prodotta dalla BBC e ispirata alle avventure di Sherlock Holmes raccontate da Arthur Conan Doyle. Devo dire che non mi entusiasma, al contrario di Black Mirror (questo trailer ve ne dà un’idea), e di Downton Abbey (qui il trailer), giusto per ricordare due eccellenze britanniche in generi assai diversi.

Ne parlo qui per un solo motivo: il protagonista, lo Sherlock televisivo, ha una personalità disturbata. È irritabile, impaziente, anaffettivo, rude, sociopatico e costantemente annoiato. Insulta senza pietà chiunque lo infastidisca dicendo sciocchezze (e perfino pensando sciocchezze) mentre lui è intento a organizzare in una teoria la molteplicità delle proprie fulminee percezioni: sarebbe meraviglioso se tu stessi zitto, sbotta gelido. Oppure: non parlare a voce alta, abbassi il QI di tutta la strada.
Oppure, semplicemente, sibila: shut up, chiudi il becco.

DOVEROSO E SACROSANTO. Bene. Anche se non si tratta di Sherlock Holmes e di omicidi efferati. Anche se in giro non c’è nessun genio sociopatico e nessun genio non sociopatico, e nessun intricato mistero da risolvere. Anche se tutti siete persone beneducate. Anche se non vi trovate sulla scena di un crimine ma in una normale situazione di lavoro creativo. E, soprattutto, anche se non siete dentro una stravagante serie televisiva, ma immersi nella faticosa realtà quotidiana.
Anche se succede tutto questo, ci sono momenti in cui, se a fare un lavoro creativo siete voi, dire chiudi il becco! è necessario, doveroso e sacrosanto. Momenti in cui, simmetricamente, tenere il becco chiuso è il miglior contributo che potete dare se a fare il lavoro creativo non siete voi.

Chiudi il becco!

Il PROCESSO CREATIVO E IL FLOW. Osservando le molte schematizzazioni del processo creativo che, da poco meno di un secolo a questa parte, sono state prodotte, potete vedere che questo viene diviso in fasi e sottofasi. Non bisogna pensare a queste fasi come alle tappe di un percorso lineare (per esempio, le tappe di un viaggio): ciascuna corrisponde, piuttosto, ad attività e stati mentali differenti, in cui pensiero logico-razionale e pensiero analogico e intuitivo si alternano.
Raramente il passaggio dall’una all’altra fase è certo e automatico, e capita spesso di dover tornare sui propri passi. Ma succede anche di sperimentare elettrizzanti accelerazioni improvvise grazie al flow: il flusso creativo teorizzato da Mihaly Csikszentimihaly.

INTERRUZIONI DELETERIE. Ecco: quando capita la fortuna di trovarsi in un momento di intensa, assoluta e promettente concentrazione sul compito da svolgere o sul problema da risolvere, qualsiasi interruzione è deleteria. Un commento inopportuno, un’inutile richiesta di spiegazioni, un suggerimento sballato (“idiota”, direbbe Sherlock) e perfino un suggerimento giusto, e qualsiasi altro intervento esterno si tramutano, più che in un disturbo, in un trauma.
È  come sbattere contro un filo d’acciaio teso mentre si sta correndo a rotta di collo.

STATO DI TRANCE. Lo stesso effetto disastroso si verifica se venite sviati nel corso di un altro momento assai delicato: quello in cui siete focalizzati sulla meticolosa messa a punto e la verifica delle coerenze interne del prodotto creativo. Tutto si tiene? È equilibrato? È corretto in ogni dettaglio? C’è qualche errore nascosto e insidioso? In questo momento, essere interrotti è come essere investiti da una secchiata d’acqua gelida mentre si è in stato di trance.
Chiudi il becco!DESIDERIO DI CONTROLLO. A volte chi interviene lo fa con le migliori intenzioni: vuole cooperare e partecipare al divertimento della creazione (qualsiasi lavoro creativo, a chi non lo pratica, sembra sempre e solo divertente).
Qualche volta, invece, le intenzioni non sono così buone: l’offerta di cooperazione non è altro che un’espressione di ansia e diffidenza, o del desiderio di controllare un processo che, per sua natura, è fuori dal controllo di tutti, e perfino di chi ci si trova in mezzo: per questo è così incerto e delicato.

CHIUDI IL BECCO! Che fare, in questi casi? Si può provare a spiegare che ci sono situazioni (per esempio, il momento della raccolta dei dati e della definizione del problema, o quello in cui si verificano l’efficacia e l’appropriatezza del lavoro svolto) in cui qualsiasi contributo esterno è non solo bene accetto, ma prezioso. E che ci sono fasi d’elaborazione e messa a punto in cui tranquillità e concentrazione devono essere rispettati, se non si vuole pregiudicare l’intero processo. Insomma: si discute finché si vuole prima e dopo il lavoro. Non mentre si sta lavorando.
Ma le spiegazioni non sempre sortiscono il desiderato effetto-silenzio, e “chiudi il becco”, in tutte le sue colorite varianti, diventa l’unica reazione possibile se si vuole salvaguardare il buon esito del lavoro. Insomma: “chiudi il becco” fa parte del gioco creativo, e conviene che lo sappiano tutti, assorti giocatori e ansiosi, diffidenti o volonterosi spettatori.

11 risposte

  1. Dopo questo convincente post, di cui condivido sia il commento sulla serie televisiva che le riflessioni sul “chiudi il becco”… ora lo chiudo volentieri 😉

  2. Spiacente, non riesco a dirlo. Nemmeno nelle versioni più garbate. In compenso queste riflessioni sul pensiero creativo mi rincuorano perché mi rendono più consapevole di ciò che accade nella mia testolina quando scrivo.

  3. Adoro questa donna….
    Ho appena “sbroccato” come si dice a roma, con la mia amica e collega. E sono pentito e triste perché non mi piace quello che ho fatto, ma poi leggo questo scritto che mi conforta un po’ e smorza i miei sensi di colpa. Forse ci voleva, domani ti saprò dire. Grazie Annamaria!

  4. Leggendo questo post mi sono interrogato sull’utilità del “brainstorming”, cioè una metodologia che incentiva la continua apertura del becco, spesso senza alcun filtro, nella convinzione che un flusso condiviso di “idee” possa permettere l’elaborazione di una soluzione creativa altrimenti impensabile da una singola unione mente/cuore. Svolgo un lavoro creativo, in un ambiente dove questa metodologia viene spesso celebrata e utilizzata nel “mentre”, cioè nella fase di generazione di una strategia/idea/progetto. Io non mi ci trovo e, analizzando i risultati, posso assicurare che i progetti migliori sono nati da un singolo, o al massimo, in una dinamica a due/tre persone (con metodi di confronto completamente diversi dal brainstorming), sviluppando in autonomia un percorso creativo completamente distante dalle “genialate” fuoriuscite da una sala riunioni molto rumorosa. Ritengo, infatti, che il flusso creativo ricalchi in qualche modo l’immersione nel personaggio fatta da un attore. Si tratta di un’operazione interiore che ci travolge nella nostra complessità, nel nostro modo di agire, pensare, sentire. Sconvolge i sensi. Il brainstorming non permette nulla di tutto questo. Può essere utile “prima” e “dopo”, cioè nelle fasi razionali (per quanto si ritenga “irrazionale” questo metodo) di scelta delle regole del gioco di verifica finale. Ma nel “mentre” ritengo il brainstorming perfettamente inutile. Questo non significa che la collaborazione sia dannosa, anzi. Ma bisogna saperla utilizzare nei tempi e nei modi giusti. Su quali siano Annamaria ne sa molto più di me. Ciao a tutti.

  5. Codivido appieno il post: ci sono momenti creativi che sfiorano la meditazione zen e, durante i quali, anche un battito d’ali può rovinare la concentrazione. Pertanto adotto una terapia d’urto isolandomi, con la musica in cuffia, in un posto riservato.
    Riguardo al brainstorming, riconosco che è uno strumento delicato e che sia molto difficile da far funzionare bene, soprattutto in ambiti già strutturati gerarchicamente, con dinamiche sociali, di potere, preesistenti, quali quelli aziendali e tecnici. In questi il fallimento e le sensazioni riportate, sono la regola. Mi sono trovato bene, invece, usandolo in abiti didattici e creativi.
    Complementi, come sempre, per il post.

    1. Dimenticavo una cosa importante, sempre per la mia esperienza sul brainstorming: la brevità!
      Le idee migliori, se ci sono, vengono fuori dopo un quarto d’ora/venti minuti, se è già passata mezzora e non ne è uscito niente di buono. vuol dire che non è il metodo adatto per quella situazione.

  6. Condivido in pieno. Spesso quando lavoro sento la necessità di avere il silenzio attorno. C’è, però, una cosa che odio ancora di più del chiacchiericcio: avere qualcuno al mio fianco che sta lì a leggere ciò che scrivo mentre lo scrivo. Potrei trasformarmi nell’Incredibile Hulk in quei casi…
    Devo riuscire a trovare un modo gentile, in quel caso, per dire qualcosa del tipo: “Vai da un’altra parte”.
    Come si fa, però, a chiedere con gentilezza a qualcuno che in realtà non sta facendo nulla di male di allontanarsi?

  7. Grazie sempre opportuni i suoi post come anche l’accenno a Dowton Abbey. Non sono una creativa ma sovente o a che fare con persone che hanno incontinenza verbale. Terribile interrompono la qualsivoglia necessità di silenzio.

  8. Grazie sempre opportuni i suoi post come anche l’accenno a Dowton Abbey. Non sono una creativa ma sovente ho a che fare con persone che hanno incontinenza verbale. Terribile interrompono la qualsivoglia necessità di silenzio.

  9. E’ bruttissimo usare simili espressioni. La mia sensibilità non me lo consente neppure quando qualcuno m’infastidisce. I sensi di colpa sarebbero severissimi, forse perché detesto ferire il prossimo, anche quando cerca di esasperarmi. Se devo fare un appunto, il mio tono è sobrio ma non per questo meno efficace.

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