computer a scuola

Computer a scuola e bacchette magiche: quel che dice lo studio OCSE

I computer a scuola sono stati bocciati dall’OCSE, come hanno sbrigativamente titolato diversi giornali nel mondo? Non è così. Però resta il fatto che la bacchetta magica tecnologica, in aula, non sta funzionando, e la presenza del computer a scuola non basta a migliorare le prestazioni degli studenti per quanto riguarda la lettura e la comprensione dei testi, la matematica o le scienze.
L’OCSE lo attesta con uno studio intitolato Students, Computers and Learning: Making the Connection. La notizia non è sorprendente: dopotutto le bacchette magiche, ce lo ricorda la saga di Harry Potter, funzionano solo se chi le possiede ha imparato a usarle in modo appropriato.

La notizia vera, se mai è un’altra, ed è quella evidenziata anche nella bella infografica di sintesi: gli studenti che usano troppo (anche più di sei ore al giorno!) il computer hanno prestazioni peggiori di quelli che lo usano meno, sono più assenteisti e hanno altri comportamenti indesiderabili: la bacchetta magica tecnologica, insomma, può anche fare magie al contrario.
Perfino questo fatto, a pensarci bene, dimostra non che la magia tecnologica è inutile, ma quanto è potente, quanto va maneggiata con cura e competenza, e quanto sarebbe importante che la competenza venisse efficacemente trasmessa.
Infine: l’idea che tutti i nativi digitali quindicenni siano perfettamente connessi, e in grado di governare le nuove tecnologie, è infondata: maghi, e nemmeno maghi tecnologici, non si nasce.

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Comincio a cercare commenti al testo OCSE. La prima cosa interessante è il modo in cui titolano le testate che, nel mondo, diffondono la notizia.
Se il pc a scuola non aiuta i ragazzi: “risultati peggiori in lettura e scienze”, scrive la Repubblica. Il Sole 24Ore è più possibilista: Il computer in classe “da solo” non migliora i rendimenti degli studenti. Ma per l’Ocse è questione di tempo.
E poi: I computer non migliorano i risultati degli studenti, titola BBC News. Mettere più tecnologia nelle scuole può non rendere più svegli (smart) i ragazzi (Huffington Post). La scarsità di computer a scuola può essere una benedizione (l’Irish Times).
Alcuni, come la testata americana CNBC e l’australiana TheAge forzano le affermazioni dell’OCSE fino ad affermare Le scuole sprecano soldi coi computer degli studenti.
Uno dei commenti più acuti e argomentati si trova sul blog della World Bank, che definisce lo studio dell’OCSE “una pietra miliare”, ne dà un’eccellente sintesi per punti e, sui computer a scuola, aggiunge un paio di argomentazioni che meritano di essere prese in considerazione.

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In sostanza: non sono i computer a insegnare ai ragazzi, ma gli insegnanti, e continua a essere così. Il puro atto di comprare e portare i computer a scuola è, da solo e se non accompagnato da altri cambiamenti, poco rilevante (aggiungo: proprio come è poco rilevante comprare un libro e tenerlo sotto il cuscino, o sfogliarlo per guardare le figure, o limitarsi a copiarne dei frammenti, o usare le pagine per farci barchette di carta).
Così, lo studio OCSE ci aiuta a renderci bene conto che l’accesso a un computer non è sempre e comunque un vantaggio in sé, e che eventuali vantaggi (e anche possibili svantaggi) dipendono da come, perché e con quale obiettivo si adopera la tecnologia a scuola: la pura aggiunta di tecnologie del 21° secolo a pratiche d’insegnamento rimaste al 20° secolo diluisce l’efficacia dell’insegnamento invece che rafforzarla.

D’altra parte, poiché sappiamo la tecnologia avrà ruolo crescente nelle nostre vite, pensare di non avere computer a scuola è quanto meno poco lungimirante. La sfida riguarda il cominciare a insegnare l’uso di uno strumento che, solo se ben adoperato per cercare informazioni e per esercitarsi, può essere di valido aiuto. E anche nel rendere tutti consapevoli che per usare in modo appropriato un computer servono, eccome, consistenti competenze di base che (l’ha segnalato anche la recente Festa della Rete) per esempio in Italia sono tutt’altro che diffuse, anche presso le classi dirigenti.
Infine, dobbiamo ricordare sempre che il computer non sostituisce l’insegnante e non colma le lacune in lettura e matematica ma, al contrario, può essere usato bene solo se chi lo adopera ha già solide competenze di base: per esempio, se ha qualche idea di quel che sta cercando ed è in grado di capire quel che trova, selezionando e organizzando le informazioni. In altre parole: se non sai che cosa stai cercando, quando eventualmente lo trovi non riesci neanche ad accorgertene.

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Aggiungo un ulteriore elemento: a cercare in internet “ci si sente più intelligenti”, dice una recente ricerca condotta dall’università di Yale. E ci si sente più intelligenti – questo è il dato rilevante – a prescindere dal fatto di aver effettivamente trovato informazioni utili. È un buon motivo per incoraggiare la ricerca sul web, ed è un motivo ancora migliore per insegnare a cercare bene, evitando il rischio della sicumera: l’atteggiamento di falsa superiorità che deriva dall’illusione di sapere ciò che, in effetti, non si sa.

Torniamo ai dati OCSE: la scheda specifica sull’Italia aggiunge al quadro generale alcuni elementi che meritano attenzione. I nostri studenti, con la lettura in rete, se la cavano un po’ meglio dei coetanei di altri paesi che hanno la loro stessa capacità di leggere su carta, sono più motivati a risolvere compiti online e almeno provano a farlo, anche se più di altri si perdono nel corso della navigazione.
Non c’è però differenza tra chi usa il computer a scuola e chi non lo fa: questo indica che gli studenti a scuola non imparano a pianificare e a eseguire una ricerca, a valutare l’utilità delle informazioni che trovano, a stabilire la credibilità delle fonti.
Sono competenze importanti, ma sembra che la scuola aiuti poco a svilupparle. Eppure, fornire in aula qualche dritta utile a fare ricerche online non dovrebbe essere così difficile. Qui su NeU, per esempio, ho provato a metterne in fila dieci.
Una versione più breve di questo articolo esce anche su internazionale.it

4 risposte

  1. Le ricerche in rete nuocciono alla creatività? Corso universitario di primo livello, primo anno di design, si formano due gruppi concorrenti di progettazione per la rivisitazione di un oggetto d’uso comune. Prima azione immediata dei ragazzi: ricerca per immagini in rete. Risultati del lavoro banali. Nuova classe, nuovo anno, tema analogo ma senza possibilità di ricerca: diverse idee persino più povere di quelle degli anni precedenti ma almeno cinque o sei su venti realmente innovative. Dopo questo gioco propedeutico abbiamo lavorato molto sul metodo, sull’organizzazione del metaprogetto e quindi sulla raccolta scientifica delle informazioni dalle diverse fonti. Questo ha prodotto un utilizzo di internet più consapevole e mirato. Abbiamo anche scoperto che se non c’è in internet non vuol dire che non esiste, ma che possono esserci anche altre fonti come i libri e le biblioteche.
    Infine abbiamo imparato anche a copiare, cioè a ripercorrere il processo mentale seguito dall’autore dell’originale.

  2. Dico subito che la grande assente nel rapporto OCSE è la parola PEDAGOGIA, quasi eretica ormai nel dibattito internazionale. Aggiungo che che concordo con Marco e con le sue pubblicazioni.

    * * *

    “Un sapere che è a un tempo vario e superficiale, e un orizzonte spirituale che per un occhio non protetto dalla critica è troppo ampio, devono portare inevitabilmente a un indebolimento del giudizio”
    (Huizinga, in “Crisi della civiltà”)

    Constatiamo quotidianamente che le occasioni di formazione si moltiplicano e si diversificano; le informazioni vengono depositate in quantità enormi in banche di dati di dimensioni sovranazionali; le forme stimolatrici dell’immaginario si diffondono a tutto tempo attraverso i media elettronici: la cultura contemporanea prende la forma di un ‘bazar psichedelico’.
    La preoccupazione di Huizinga, anche se cela un atteggiamento aristocratico verso la cultura di massa, non può non essere inquietante.
    Molti fatti nella nostra vita culturale manifestano ambiguità e tendenze contraddittorie.
    Le contraddizioni investono acutamente il mondo dei comportamenti culturali in generale, ma anche quelli dell’informazione e della scuola. Per queste ragioni non ci si deve sottrarre in questo momento al tentativo di fare il punto su quanto è avvenuto e sta avvenendo nel dibattito e nella sperimentazione delle nuove tecnologie, soprattutto quelle legate all’informatica.

    L’universo delle questioni in gioco è enorme: il mio punto di osservazione sarà soprattutto quello che prende in considerazione i processi di formazione in rapporto alle innovazioni introdotte nel sistema delle comunicazioni dall’informatica, intesa come la disciplina e l’insieme delle tecnologie del trattamento elettronico di dati e di alfabeti simbolici.

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    Questo è l’incipit della mia tesi di Laurea sulle tecnologie informatiche e scuola – anno accademico 1984-85.

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