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Comunicazione turistica fatta all’italiana. Cioè circa, quasi, forse

Questo è il terzo articolo di una serie sul turismo. Nel primo ho provato a raccontare perché è importante promuovere il turismo in Italia, e come mai noi non siamo capaci di farlo bene. Nel secondo, attraverso un raffronto diretto tra il sito spagnolo per la promozione del turismo e quello italiano (da un anno in disarmo), ho provato a mostrare quanto non siamo capaci.
Ma la nostra incapacità si esprime in forme e ambiti diversi. Eccovi, qui di seguito, alcuni esempi del nostro modo di progettare la comunicazione turistica: li ho raccolti e ve li mostro nella speranza che farlo serva a qualcosa. E che dagli errori, peraltro ricorrenti, sia possibile imparare.

IL TORMENTO DEL LOGO. I loghi turistici si avviano a essere sempre più omologati. Ormai è tutta un affollarsi, non so quanto sensato e distintivo, di colorini vivaci, soli splendenti disegnati con tratto vuoi svelto vuoi infantile, scarabocchi verdi o celesti che intendono evocare laghi e fiumi o montagne e alberi. Salvo rari casi di eccellenza, ogni nazione, ogni città, ogni comprensorio prova a distinguersi confidando negli stessi colorini, negli stessi disegnini. Così, non è sorprendente che il logo del Salvador risulti piuttosto simile a quello della Romania, che tra il sole del Rajasthan e quello della Bulgaria ci sia solo qualche raggio di differenza (e che entrambi facciano il verso al meraviglioso logo spagnolo) e che le Maldive somiglino assai alle Filippine, che a loro volta somigliano alla Polonia.

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Tra tutti, per riconoscibilità e bellezza continua a spiccare il sole della Spagna, ma quella è tutta un’altra storia. Il logo, disegnato nel 1983 e ceduto gratuitamente da Joan Mirò (para el rey y el Gobierno, todo gratis) identifica tutta la comunicazione turistica spagnola da oltre trent’anni, ed è uno dei due loghi turistici più apprezzati del mondo. L’altro è I love New York disegnato nel 1977 (anch’esso gratuitamente) da Milton Glaser.

L’attuale logo turistico dell’Italia, patria della moda e del design, presenta invece qualche analogia (senza peraltro eccellere nel paragone) col logo dell’Armenia e con quello dello Zambia. Ed è sconfortante il fatto che tutto ciò sia l’esito di un percorso circolare costituito da troppi costosi cambiamenti, ripensamenti ed errori nell’arco di pochi anni. Ne hanno parlato le testate nazionali e tantissimi blog indipendenti (per esempio, questo), e non aggiungo altro.

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Segnalo solo che i due casi di eccellenza citati poco sopra (Spagna e New York) sono frutto dell’affidamento diretto a un singolo professionista/artista di indiscutibile reputazione.
Certo: la comunicazione turistica ha bisogno di un logo. Ma forse un concorso non è il modo migliore per selezionare un logo capace di durare nel tempo. Di sicuro non lo è se chi lo istituisce e, soprattutto, chi sceglie il vincitore non ha alcuna competenza specifica né di turismo, né di grafica e design, e nessuna idea di quale sia il contesto competitivo nel quale il logo deve collocarsi.
Per dire: il disegnetto che sembra fresco e divertente visto da solo, sparisce se confrontato con i mille altri disegnetti esistenti.
Siamo ancora in tempo a darci un logo decente? Non lo so. Di certo, se non modifichiamo qualcosa nella qualità del processo e se non miglioriamo la competenza specifica dei decisori ottenere un buon risultato sarà difficile. Ma migliorare il processo significa ragionare, in primo luogo, di strategie per la comunicazione turistica.

STRATEGIE SFUOCATE E PROMESSE GENERICHE O STRAMPALATE.
Mi spiego: perfino chi vende pomodori pelati sa che i prodotti non si vendono da soli. Vanno confezionati e presentati al pubblico in modo tale che sia facile coglierne le caratteristiche attraenti e distintive.
Chi vende i pelati non si presenta sul mercato offrendo catini pieni di pelati. Li mette in lattine di diversa misura, o in bottiglie, o in vasetti, li trasforma in passata, li taglia a pezzetti o aggiunge aromi per incontrare ogni possibile esigenza di cucina e di pubblico, e alla fine ci mette sopra un’etichetta ben fatta.
Lo stesso discorso vale per qualcosa di enormemente più complesso e pregevole com’è la comunicazione turistica del nostro paese.
Eppure, sembra che non si riesca a produrre e a confezionare decentemente un’idea strategica di offerta di comunicazione turistica più articolata di questa: “siamo il paese più bello del mondo e abbiamo mari, monti e monumenti, arrivederci”.

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Secondo il “criterio del catino pieno” è costruita anche la più recente campagna pubblicitaria per il nostro turismo. Guardatela: il criterio del catino è così pervasivo che non sembra nemmeno necessario dire quali sono i luoghi fotografati. Così pervasivo che, qualsiasi sia il luogo, titoli e testi restano gli stessi. Basta mettere lì “un po’ di roba turistica”, no?
In queste condizioni, la promessa di una vacanza “su misura per te” non può che fondarsi su un improbabile sillogismo:
1) il Made in Italy è sempre fatto su misura (non è vero, ma pazienza).
2) Le vacanze in Italia sono “made in Italy” (dire che le vacanze, in quanto fatte in Italia, sono “made in Italy” è privo di qualsiasi senso. Un po’ come dire che i pomodori pelati, in quanto pelati, sono calvi).
3) Quindi, ed eccoci al punto, le vacanze in Italia sono su misura per te. Qual è la dimostrazione? Una finta etichetta con la scritta made in Italy appiccicata su alcune foto d’archivio, che a loro volta appaiono applicate su un finto pezzo di stoffa.
Peraltro, nemmeno l’idea del paesaggio sulla stoffa è originale. Qui vedete un’assai migliore esecuzione, con un messaggio importante e argomentato, uscito nel 2012.
Non è che con la comunicazione turistica territoriale vada molto meglio. La Regione Toscana, per esempio, mescola paesaggi taroccati in stile Las Vegas, caratteri finto gotici, spericolate parafrasi dantesche e la curiosa idea di trattare i turisti da peccatori, dando luogo a uno dei migliori esempi di fuffologia turistica di tutti i tempi. Ma, posso dirlo?, taroccare il paesaggio della Toscana, questo sì, è un peccato capitale.

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In compenso, la Regione Calabria crede che la comunicazione turistica sia una questione di copia-e-incolla di qualsiasi cosa: aereo, mare, bronzi (una declinazione naif della logica del catino: tutto dentro!). Budget: cinque milioni di euro. L’agenzia è la stessa che ha curato la campagna del turismo nazionale e quella della Lombardia (moda, design, cibo, cultura: tutto dentro, e basta elencare!).

Ma perché i territori se ne vanno in ordine sparso a far comunicazione turistica sul mercato europeo o mondiale, disperdendo risorse e senza fare sistema, né sul piano espressivo né su quello dei contenuti? Ovvio: perché la comunicazione turistica nazionale è pressoché inesistente, e la poca che c’è è spaventosamente generica. Risultato: i territori replicano, in piccolo, la medesima genericità.
Ecco perché non si va da nessuna parte se non si ripensa l’intero sistema della promozione e della comunicazione turistica. Per farlo bisogna partire non dal logo Italia ma dal sito italia.it, davvero fondamentale. E ci vogliono un progetto solido e la capacità di realizzarlo e tutta la pazienza necessaria per uscire dalla genericità e mettere insieme belle immagini, informazioni utili e attraenti e un racconto del territorio che abbia un senso e sia affascinante e contemporaneo (e mentre si mette insieme il sito magari si riesce anche a dotarsi di un logo un po’ meglio).
E, poi, bisogna convincere tutti gli innumerevoli referenti territoriali ad allinearsi e a fare squadra. Infine, bisogna condividere, tra tutti i referenti, almeno due-tre regole di base della comunicazione efficace. Un’impresa titanica, in un paese come il nostro.

SINERGIE ASSENTI. A proposito di fare sistema a partire dalla comunicazione turistica: cibo, vino e tutto il made in Italy sono in sé motivi di attrazione rilevanti. E a questo punto mi tocca ricordare che, anche se schiere di turisti vengono dall’estero nel nostro paese espressamente per fare acquisti, nel sito italia.it la voce “shopping” neanche c’è.

Ma non solo: per difendere e promuovere l’agroalimentare italiano all’estero è stato di recente prodotto un marchio abbastanza discutibile (ne ho parlato qui). Ora esce la notizia il marchio ha a sua volta generato una campagna per la promozione dei prodotti italiani.

Per rendere più appetitosi titoli che in sé non lo sono poi tanto, si è pensato di scriverli direttamente col formaggio o col salame. In compenso, il piatto (cioè: il posto giusto per formaggi e salami) è tagliato a metà. E perché la foto nel suo complesso appare neanche lontanamente paragonabile per qualità a una qualsiasi buona foto di cibo, o alle foto di formaggi visibili su Pinterest?

IN CONCLUSIONE

Al termine di questo viaggio tra promozione e comunicazione turistica e dintorni mi sento, devo ammetterlo, piuttosto depressa, e sollevata solo dal fatto di avere non certo esaurito, ma almeno trattato l’argomento in maniera decentemente estesa.
Insomma, sento di poter tornare a parlar d’altro. Prima, però, vorrei riassumere alcuni punti che forse possono risultare utili.
– fare le cose tanto per farle (e per poter dire di averle fatte) non ha senso.
– se si vogliono convincere i turisti internazionali, non si possono disperdere i discorsi e le risorse in mille rivoli del tutto irrilevanti.
– non si possono prendere buone decisioni sulla comunicazione turistica se, prima, non si studia in modo approfondito come si stanno muovendo i migliori concorrenti e se non ci si confronta con le migliori esperienze internazionali.
– una comunicazione turistica che funziona deve partire da un progetto solido. Per metterlo insieme ci vogliono competenze altrettanto solide, referenti esperti e mesi di lavoro.
– un progetto solido istituisce corrispondenze tra offerte e bisogni. Tra esperienze proposte e valori promossi. Tra i territori e le loro diverse vocazioni. Tra singoli luoghi e specifiche narrazioni. Tra informazione ed emozione. Tra parole (che devono essere credibili e autentiche) e immagini (che devono essere seducenti e autentiche).
– il primo obiettivo da perseguire è anche il più complesso: trasformare italia.it in un sito di livello internazionale, sul modello del sito spagnolo. Senza un sito a cui far capo, tutto il resto della comunicazione turistica non si può reggere.
– moda, cibo, vino, design… una proposta di turismo di qualità deve integrare le eccellenze italiane
– tra le eccellenze italiane c’è anche la lingua italiana. Chi ama la nostra musica, la nostra arte, la nostra cucina ama anche la nostra lingua: non a caso, la quarta più studiata al mondo.
– un articolo positivo su una testata internazionale, o la scelta di una località italiana come location cinematografica sono impagabili, in termini promozionali. Anche questa è comunicazione turistica, ed è preziosa: stiamo facendo tutto quanto serve?
– i materiali visivi (foto e video) sono complessi e costosi da realizzare o da acquistare. Varrebbe la pena di cominciare a costruire un archivio di foto e video di qualità. Anche in crowdsourcing.
Sono convinta che l’Italia, e la sua reale offerta turistica, siano meglio della narrazione che ne stiamo facendo. Anche per questo, credo, vale la pena di riprovarci, no?

Questo articolo esce anche su internazionale.it. Se vi sembra interessante potreste leggere i due precedenti:
Turismo in Italia: perché tutti dovremmo preoccuparcene
Promuovere il turismo in Italia: impariamo a farlo in rete

7 risposte

  1. Perfettamente d’accordo su tutto. Complimenti, come sempre, analisi puntuale e magistrale.
    Ma chi dovrebbe ascoltarla? Il Ministero per il Turismo, insieme ai vari Enti promotori e ai vari consigli regionali? Sarebbe cosa buona e giusta. Ma ci vorrebbe coordinamento e intelligenza.

    Ma mi tolga una curiosità. Leggo nel suo testo due volte “loghi”, e poiché so del suo amore per la lingua italiama, resto sorpreso. Sono sicuro che lei sappia benissimo che essendo logo una parola tronca, al plurale resti “logo”, come moto, foto, euro, ecc. Allora mi domando: perché?

    1. Ciao Geppi.
      A proposito di “logo” e loghi”: nel parlato si usa ormai frequentemente il plurale. Wikipedia lo registra:
      Un logo (abbreviazione di logotipo; plurale loghi[1] dal greco λόγος logos “parola” and τύπος typos “lettera”)
      … citando queste fonti:
      ^ AA. VV., Il grande dizionario Garzanti della lingua italiana, Milano, Garzanti, 1993. ISBN 88-11-10202-2. Così pure secondo il nuovo DOP: cfr. http://www.dizionario.rai.it/poplemma.aspx?lid=45536&r=9269. Il plurale invariato è ammesso dal Devoto-Oli 2011 (autori: G. Devoto e G. C. Oli; Firenze, Le Monnier) e dal Grande dizionario italiano dell’uso di T. De Mauro (Torino, UTET).

  2. Logo Italia : un vecchio adagio dice che tutto, prima o poi, “torna … indietro”.
    Questo nuovo-vecchio logo rispolverato ITALIA non convince?
    Probabilmente perchè il vero logo, rappresentativo di questi ultimi e tribolati anni, è “ITAgLIA”

    Piatti a metà con scritte alimentari: l’idea in sé non mi dispiace anche se, personalissimo parere, risultano un po’ fredde e non molto “appetibili”.
    A me appaiono un po’ insipide, vedo emergere i testi ma non il gusto del prodotto.
    Non trovo sinestesia nel complesso, trovo il messaggio centrato sul “compra” e non sul “gusta”.

    Nella mia sconfinata ignoranza sarei stato attirato da immagini tipo:
    – Primissimo piano di un coltello che taglia una fetta di salame con tanto di goccia (o altri salumi);
    – Primissimo piano di fette di salame ed altri salumi appoggiate sulle corde di un violino;
    – Primo piano di una fetta di salame a cui due mani tolgono delicatamente la pelle esterna;
    – Primo piano di una goccia di aceto balsamico che si infrange contro una fetta o uno spicchio di formaggio;
    – Primissimo piano di un tarallo (o altro alimento, ad esempio olive, mele, ecc) tenuto delicatamente da due dita e leggermente addentato o schiacciato dalla pressione di denti;

    Sotto ciascuna immagine, due sole parole “Italian sound” seguito da un più piccolo “Buy the Original” a fianco del logo tricolore.

    Credo sia nell’interesse di tutti poter contare su un sito che rappresenti al meglio il nostro Paese e sarebbe auspicabile che tu, Annamaria, trovassi un posto di rilievo in un eventuale gruppo di lavoro.

  3. Annamaria Testa è una inguaribile ottimista e non si accorge che il BelPaese (marchio di un formaggio francese!) è oramai finito. Quando lei, poco più che adolescente, inventava slogan che sfrigolavano il nostro cervello (costringendoci a cercare sul dizionario la parola velopendulo!) l’Italia era al primo posto nel mondo per arrivi turistici e anche per introiti valutari, mentre ora è al quinto/sesto posto per arrivi e agli ultimi posti per fatturato turistico! Beata lei! Io che ho pubblicato, tempo fa con CEDAM, quando insegnavo Sociologia del turismo, un testo sulla promozione, e ancora speravo che si potesse invertire il declino, ora guardo sconsolato i turisti che mangiano tranci di pizza seduti per terra e sono costretti a buttare le confezioni sporche per terra perché (almeno a Roma) non ci sono cassonetti per l’immondizia. PS. Nel mio saggio vi erano moltissime citazioni tratte dai testi di Annamaria Testa!

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