Nuovo e utile

Di creatività, gerontocrazia e gerontofobia

Questo post tratta un tema ispido. Per approfondire vi invito a leggere anche i link in arancio.
Dunque: un articolo di Time Arrivederci Italia: Why Young Italians Are Leaving riprende il tema della fuga dei cervelli: una delle conseguenze più devastanti della gerontocrazia nazionale.
Il termine gerontocrazia (guardate anche il più esteso Gerontocracy)  però, sembra rimandare a un puro fatto anagrafico: la difesa che gli anziani fanno dei loro privilegi, a scapito dei più giovani.

Non so se è proprio e solo così. E non so se la cura migliore sia sviluppare una dose di gerontofobia: Sport nazionale, la caccia al vecchio titola l’Espresso.
In primo luogo, come ricorda il  durissimo libro di Loredana Lipperini, l’equazione vecchiaia = potere non vale per tutti (né, a maggior ragione, per tutte). E poi, come scrive l’Unità, può darsi che gli under 40 debbano far appello ai… valori dei nonni, per opporsi ai padri baby boomers.
Eccoci al punto: non sempre le idee dei vecchi sono idee ”vecchie”. Per esempio, il bisogno di valorizzare creatività, tenacia e talento è, in Italia, più percepito dagli over 64 e dalle élite che dalle classi medie (guardate la parte quantitativa di questa ricerca che qualche anno fa Eurisko ha svolto sulla percezione della creatività nel nostro paese).

Forse, come dice Bergonzoni, c’è bisogno di un filo intermentale: qualcosa che rimuova non i vecchi, ma le (vecchie) scorie incastrate tra le idee. Che una soluzione creativa sia nel trans–age, raccontato nel bel saggio di Giovanna Cosenza? E nell’invenzione di una via alternativa allo sviluppo, creativa, del tutto diversa da gerontocrazia e gerontofobia?

20 risposte

  1. Molto interessante. Mi ha colpito sopratutto la riflessione di Giovanna Cosenza sulla definizione di anzianità. In effetti sperimentiamo quotidianamente quanto il significato del termine si modifichi parlando di una donna o di un uomo. Mi chiedevo: quanto il dato biologico (inteso come fertilità) influenza la definizione? E quanto c’è, invece, di culturalmente costruito? E in una società in cui avere figli sta diventando quasi un non-valore, quanto ha senso dire che un uomo e una donna sono giovani finché possono mettere al mondo un figlio? Veronica

  2. DAL SAGGIO DI G. COSENZA (…) Insomma, pensare al Trans – Age vuol dire pensare che l’anagrafe non sia pertinente nei processi di identificazione sociale degli individui, che cioè non vada né valorizzata né svalorizzata, ma semplicemente non tematizzata, perché nelle persone contano più la storia che hanno, le cose che pensano e fanno, ma soprattutto ciò che di volta in volta sono loro a decidere che conti. Al contrario, condannare donne e uomini alla loro età anagrafica, con i relativi stereotipi e pregiudizi, equivale a condannarle al loro sesso biologico o alla loro provenienza geografica, quando invece età, genere e provenienza sono costrutti culturali che ciascuno deve poter negoziare come crede e desidera. (…) Di mio, aggiungo una piccola nota: 1) la guerra anagrafica di cui, forse non del tutto volontariamente, si stanno ponendo le basi, ha una pessima conseguenza tra le molte cattive conseguenze possibili: rendere impraticabile il trasferimento di conoscenze ed esperienze tra generazioni. Una perdita gigantesca di saperi, insomma. 2) un giudizio orientato da fatti anagrafici prescinde fatalmente da considerazioni di valore: perché un giovane salame (ce ne sono. Magari pochi, ma ce ne sono) deve essere meglio di un vecchio saggio (ce ne sono. Magari pochi, ma ce ne sono)? Perché un giovane conformista deve essere considerato più innovativo di un vecchio anticonformista? 3) Da almeno vent’anni i sociologi, e anche i sociologi dei consumi, ci dicono che la discriminante che davvero dice qualcosa è costituita dal complesso dei valori, dei comportamenti e della abitudini che orientano le azioni di ciascun individuo. E che valori, comportamenti e abitudini sono un fatto culturale e sociale, molto più che anagrafico. 4) E anche: entrare una logica Trans – Age aiuterebbe chi giovane non è più ad astenersi da tutti i patetici (e a volte truculenti) espedienti che oggi sempre più frequentemente vengono messi in atto (da maschi e femmine) per “sembrare” giovani. E restituirebbe ai giovani un’identità (sì, anche anagrafica) che oggi appare sempre più fragile. 5) Gli over 64 che valorizzano creatività, talento e tenacia sono quelli che nel dopoguerra hanno ricostruito l’Italia, con un’energia che oggi tutti ci sogniamo.

  3. Innanzi tutto ringrazio Annamaria per aver inserito il mio articolo in questa splendida riflessione. Contribuisco con qualche ulteriore spunto. Ricordo il celebre discorso “De Senectute” di Norberto Bobbio, che fu pubblicato in una raccolta Einaudi nel 1996 e potete leggere qui: http://www.dirittoestoria.it/3/In-Memoriam/Norberto-Bobbio/Bobbio-De-senectute.htm Sull’interruzione del dialogo fra generazioni, vale la pena tornare sempre alla riflessione che Pasolini fece sul Corriere nel 1977: http://giovannacosenza.wordpress.com/2008/08/28/generazioni-a-confronto/ Infine, io diffido profondamente di chi, giovane o non giovane, – in politica, in università, nelle aziende – usa lo slogan demagogico “largo ai giovani”. Ne diffido per ragioni che ho esposto qui: http://giovannacosenza.wordpress.com/2009/12/09/non-ti-fidare-se-dicono-largo-ai-giovani/ Ciao a tutti, Giovanna

  4. Ciao Annamaria. Davvero interessante l’intervista di oggi con Augias. Ci vederemo presto su NeU! Francesca

  5. Ciao Francesca, e grazie. Tra l’altro, una delle conseguenze dell’uscita televisiva (abbiamo parlato di Trama lucente e, in generale, di creatività) è che NeU a un certo punto si è inchiodato per… eccesso di accessi. Il dato positivo, comunque, è l’interesse suscitato dall’argomento. E spero che ora tutto vada bene 😉

  6. Fermi tutti: non vorrete mica sovvertire le categorie anagrafiche che abbiamo costruito in decenni di duro lavoro? Ci sono gli infanti, i bambini, i ragazzi, gli adolescenti, i giovani, gli adulti, gli anziani e i vecchi. Come dite, ho scordato le donne? Allora raddoppiamo adolescenti, giovani ed adulti. E gli omosessuali ? Facciamo per quattro e siate soddisfatti. E gli … ah no adesso basta! Così deve restare: diciassette categorie anagrafiche posson bastare e sono anche un bel numero primo il che aiuta a fare le divisioni. E non siate noiosi a chiedere chi decide le soglie fra una categoria e l’altra: se consentiamo i passaggi fra caste, scusate fra categorie, non ci saranno piu’ gruppi di età ma nasceranno i gruppi di idee e porteranno solo guai. Per cominciare il marketing per gli anziani andrà a coprire quello dei ragazzi e la pubblicità per gli adulti sarà apprezzata anche dai bambini col risultato che nessuno comprerà piu’ la robaccia stipata nei depositi. Non c’è limite a quel che ne può conseguire, magari una bella guerra di idee. Dite che non sia possibile? Si diceva così prima per la rivoluzione industriale e poi per la lotta di classe, poi è arrivato un creativo che le idee le ha messe in pratica davvero! Scusate se sono stato burlone, un pò sì, ma non troppo! Un saluto a tutti. Filippo.

  7. IL CERVELLO DI TOPAZIO Tempo fa, ascoltando questo geniale conduttore di una radio privata fiorentina, sono stato folgorato da una sua sconvolgente rivelazione. Infatti, parlando della fuga dei cervelli, lui dichiarò che il suo se n’era già andato da un pezzo alla tenera età di due o tre anni. Questa lampante verità, detta scherzando, mi ha fatto spostare l’attenzione non solo ai nostri brillanti cervelli che migrano in cerca di migliori opportunità, ma anche dei milioni di cervelli che restano ma si svuotano e buttano ai porci quel che rimane della loro intelligenza. walter

  8. DOVE SCAPPANO I CERVELLI Mica male, il cambiamento di prospettiva proposto da Walter. Anche perché sembrerebbe che l’alternativa istituzionale per tener qui i cervelli sia metterli al guinzaglio. Guardate cosa scrive, fra le altre cose, la ricercatrice Francesca Coin su La Repubblica di oggi: (…) mi sono stupita quando mi sono accorta di avere poche colleghe donne, quando ho conosciuto colleghi che avevano due volte e mezza i miei anni, quando ho realizzato che durante le riunioni ufficiali i ricercatori difficilmente parlavano. Negli anni mi hanno colpita anche altre cose, ad esempio il fatto che l’autonomia di pensiero venisse a volte considerata non tanto come una conquista sublime ma come un segno di arroganza precoce (…) Posso solo aggiungere che l’autonomia di pensiero viene viste con diffidenza (e non solo nelle università) anche quando non è praticata dalle persone più giovani. L’articolo di Coin si intitola Cara Gelmini, non ci faccia fuggire dall’università. Dategli un’occhiata: vi basta un clic.

  9. Il problema ha varie implicazioni. Sono un insegnante ed ho 56 anni, sono un baby-boomers, a scuola la mia età rappresenta oramai la media. I professori sotto i 40 anni praticamente non esistono. Con le leggi attuali dovrò arrivare a 65 anni per aver diritto ad una pensione strettamente necessaria per sopravvivere da vecchio, con i tagli previsti per la scuola non si parla di nuove assunzioni. Possono i giovani essere educati solo da insegnanti che possono essere tranquillamente i loro nonni? leo rotundo

  10. Sto notando nei commenti alle pagine di NeU un fattore che sempre più caratterizza gli interventi: l’interesse dimostrato per la trasmissione dei saperi e per l’autonomia di pensiero. Qualunque sia l’argomento trattato durante la settimana finiamo sempre lì. Che per me sia un problema cruciale l’ho già detto, quindi mi fa molto piacere sentire che percorro un sentiero in mezzo a un bel drappello di viaggiatori orientati nella mia stessa direzione. L’elemento più gradevole sta nel fatto che mi sembra di cogliere nelle parole non solo una valutazione del problema, ma un’angoscia, un dolore per tutto ciò che si potrebbe realizzare e non si realizza. La partecipazione emotiva mi fa sperare che esista un modo per riuscire ad invertire la tendenza, cosa sulla quale al momento nutro parecchi dubbi. Forse anche su questo tema avremmo bisogno di costruire una visione condivisa e nuova, esaminando i vari aspetti di un argomento così complesso. Chiedo ad Anna Maria che ci ospita : e se provassimo a cercare dieci quindici punti sui quali confrontarci? elisabetta

  11. EBBENE SI’. E NON CREDO SIA CASUALE… … il fatto che un paio dei fili che intrecciano la varietà degli argomenti e delle esperienze di cui tutti insieme parliamo in questo posto facciano capo all’idea del trasmettere saperi, e a quella di preservare una capacità di pensiero e di giudizio indipendenti. Se ciascuno non si appropria della conoscenza disponibile, non ha strumenti né materiali né ambiti né competenze per sviluppare nuove idee. E se non c’è pensiero indipendente (e il coraggio di coltivarlo, affrontando tutte le conseguenze comprese quelle sgradevoli) tutti gli strumenti, i materiali, le competenze non servono a un accidente. Se ne stanno lì, in bella mostra, a far polvere. E basta. Eli dice: mettiamo insieme un ragionamento strutturato, che possa diventare… una proposta? Un documento? Un… qualcosa? Mica facile. Idea affascinante, però. Tutto sommato, forse la cosa più utile sarebbe che, utilizzando la magia dell’intelligenza collettiva, mettessimo insieme, e in modo empirico, semplicemente aggiungendo opinione a opinione, visione a visione, una serie di raccomandazioni, consigli e pratiche quotidiane per raccogliere, conservare, condividere e gustare idee. La redazione potrebbe poi, come è già successo altre volte, darsi da fare per ricavare una sintesi. Sarà perché ho da poco fatto la marmellata di fichi (ottima: qualcuno vuole la ricetta?), ma questa cosa del raccogliere, cucinare, conservare e offrire mi sembra mica male. Chiedo solo un po’ di tempo per capire, in questo caso, dov’è la cucina, dove sono i fichi e come possiamo combinarci qualcosa di buono. O almeno di commestibile. E diciamo che nel giro di qualche settimana vi faccio una proposta. @ Leo – Mah. Il mio amatissimo, straordinario prof di filosofia del liceo ha quasi novant’anni. Ovviamente da un bel po’ non insegna più a scuola, ma continua a scrivere, e a spiegare a chi gli chiede qualcosa (compresa la sottoscritta, che gli ha domandato di rivedere un capitolo de La trama lucente, ricavandone molti consigli indispensabili, un paio di bacchettate e l’individuazione di un refuso esplosivo – che nessuno, editor compresi, era riuscito a vedere). Insomma: dà dei punti a pressoché chiunque. Credo che i giovani possano imparare (e molto) “anche” da insegnanti che potrebbero essere i loro nonni, a due condizioni: che gli insegnanti conservino una passione. Cosa non facile per mille motivi che vanno dall’indifferenza delle famiglie, agli stipendi esigui, allo scarso prestigio sociale. E che a interagire con gli studenti non ci siano “solo” insegnanti-nonni. Mille ricerche ci dicono che la varietà (etnica, anagrafica, culturale…) è fertile. Mi sembra che sia l’omogeneizzazione anagrafica il dato più preoccupante.

  12. @annamaria: siamo perfettamente d’accordo. si può essere in grado di produrre intellettualmente ad alto livello anche in età avanzata. Il problema però che volevo sottolineare riguardava l’età media troppo alta degli insegnanti nella scuola. Ad esempio fra i 50enni ed i 60enni è statisticamente molto più facile trovare persone che usano poco o nulla il computer, non vanno su internet, non sanno cosa è un blog, non sanno usare la lavagna interattiva. E’ come se ai miei tempi avessi avuto un insegnante che non sapeva usare il telefono o non sapeva cosa fosse la radio o la televisione. Il gap generazionale dal punto di vista tecnologico scava solchi più profondi oggi. E’solo un esempio ma si potrebbe continuare.

  13. Esprimo la mia opinione sul commento 14: io vedo in queste parole la presenza di due problemi, uno è appunto il ricambio all’interno della scuola, l’altro è il felice torpore che si presume caratterizzare gli individui di 50/60 anni e, nello specifico, quelli che hanno alle spalle un ciclo di studi di una quindicina di anni, tra percorsi scolastici e specializzazioni varie. Per mia esperienza i portatori insani di felice torpore non appartengono a categorie anagrafiche, purtroppo, ma sono sparsi qua e là, si lamentano spesso e attendono ricette che non esistono e corsi dai quali usciranno indenni e asciutti. Alla fine forse sapranno usare una lavagna interattiva dal punto di vista tecnico. Che poi l’individuo non debba essere costretto a “produrre” fino a tarda età e che i giovani abbiano diritto al lavoro, questo è un altro discorso. E comunque, anche al di fuori delle costrizioni, ci sarà chi continuerà a formarsi e autoformarsi, nei mille modi possibili. elisabetta

  14. Sono l’utente anonimo dei commento n°11 e 14. Scusate ma ho avuto problemi per registrarmi con il captcha del sito: mi accusa continuamente di utilizzare lettere maiuscole! @ Eli. Giusto. Il torpore intellettuale esiste e non ha età e ciò che conta è la bravura e la passione dell’insegnante, ma ogni età ha le sue specificità e dunque sarebbe opportuno che gli studenti non abbiano solo insegnanti anziani. Occorrerebbe facilitare l’ingresso degli insegnanti più giovani nella scuola, si presume che chi è uscito da poco dall’università sia più aggiornato ed abbia più voglia di tentare strade nuove senza contare che esiste il cosiddetto problema del “dimezzamento delle conoscenze” citato da Annamaria nel suo libro. Come proposta suggerisco di agire su due fronti. da un lato combattere gli stereotipi diffusi anche dai mass-media più “illuminati”: dunque non solo vecchio-giovane ma anche uomo-donna, omossessuale-eterosessuale, italiano-immigrato giudicando le persone per il loro effettivo valore ma dall’altro lato riconoscere la necessità del ricambio generazionale nei posti pubblici, dunque ad esempio abbassare l’età pensionabile per professori universitari e magistrati. Del resto il non più giovane che vale saprà trovare il suo spazio per continuare a dare il suo contributo alla società, vedi i casi di Veronesi e della Montalcini.

  15. LA RUSPA E IL LESSICO Insomma. Tempo fa mi chiama una giornalista e, anche se usando tutti i giri di parole necessari a un’interazione politically correct, nella sostanza mi chiede perché i vecchi (compresa la sottoscritta, recente cinquantenne) non si decidono a farsi da parte, così lasciano spazio ai giovani. Le rispondo che mi faccio da parte anche subito, se a) mi dimostra di saper fare quello che so fare io, b) si impegna a pagarmi (ho intenzione di vivere bene e a lungo) almeno quarant’anni di ottima pensione, c) si impegna a generare opportunità di lavoro per il gruppetto di persone (giovani) per il quale io sono oggettivamente un generatore di opportunità di lavoro. La risposta non le piace, e la telefonata si interrompe piuttosto bruscamente. In sostanza, credo che usare la ruspa per rimuovere meccanicamente i vecchi e lasciare spazio ai giovani, così come si abbatte una vecchia casa per far spazio a un grattacielo (o a un centro commerciale) non sia l’unica soluzione possibile. Il vecchio e il nuovo si possono integrare, nelle città e nelle società. Si tratta di trovare i modi e i criteri. Meritocrazia e valorizzazione delle qualità individuali potrebbero essere un buon punto di partenza. Segnalo il recente, ulteriore contributo di Maria Luisa Agnese, che spiega come la questione lessicale non sia “solo” una questione lessicale.

  16. A volte ho la sensazione che quando si parla di scuola ci si riferisca a qualche cosa di completamente staccato da tutto il resto, un piccolo pianeta a parte, leggero e inconsistente come una nuvola. Le misure valide per le altre professioni non sono valide per quelle che ruotano attorno alla scuola. E così mi domando se chi dichiara apertamente l’impossibilità o l’incapacità propria o dei colleghi a “tenersi in pari” sarebbe altrettanto tranquillo nell’apprendere che il proprio medico sessantenne non conosce le terapie di nuova generazione o che l’ingegnere sessantenne al quale ha affidato i calcoli per la sicurezza della propria abitazione non conosce le nuove leggi o i nuovi materiali. Continuo a dichiarare che sono d’accordo per il ricambio generazionale, ma ritengo che siano due discorsi distinti. elisabetta, o meglio, in questo caso, nonna leli

  17. Forse non è chiaro quello che ho scritto, cerco di dirlo diversamente: il principio fondamentale è il riconoscimento del valore individuale. Nel settore delle libere professioni ed in genere nel settore privato esiste la concorrenza e dunque chi ha più benzina corra! E’ scontato. Si spera che il cosiddetto mercato sia un buon giudice nell’interesse di tutti. Se un professionista non è capace per ignoranza o per raggiunti limiti di età sarà la mancanza di clienti a farglielo capire. Dunque ciò che dice la giornalista ad Annamaria è una cretinata demagogica purtroppo abbastanza diffusa. Nel settore pubblico i meccanismi sono diversi, gli stipendi sono pagati con i soldi di tutti senza che ci sia nel tempo una verifica delle capacità individuali. Siccome STATISTICAMENTE è più PROBABILE che un 30-35enne sia più efficiente ed aggiornato di un 72enne (vedi i professori universitari, avete mai sentito che qualcuno è stato licenziato?) o di un 75enne (vedi i magistrati con carriere automatiche per anzianità) sarebbe opportuno intervenire per esempio abbassando i limiti di età per queste due categorie. Chi è bravo e capace dopo la pensione troverà il modo di lavorare lo stesso. Nella scuola certamente ci sono meno privilegi ma il problema del ricambio c’è. Vorrei concludere con una battuta resa famosa da un’intercettazione pubblicata su tutti i giornali, un alto magistrato di 75 anni chiede ad un politico di portare a 78 anni l’età pensionabile dei magistrati. “Ti voglio dire una sola cosa, io dopo la pensione che faccio?”. Gli facciamo rispondere da un giovane disoccupato magari con laurea e master?

  18. Bel dibattito. E aggiungo: non apprezzo la gerontofobia per i motivi che avete già chiaramente spiegato e perché anch’io ho almeno due ” vecchi” insegnanti di liceo molto più bravi di me, ma…è lì che si finirà, mettendo al bando ogni giusto distinguo: per i giovani non c’è via di scampo in nessuna classe sociale e non è vita neanche giovarsi del ” mi manda papà” per quella ristretta cerchia di chi può giovarsene- conosco ragazzi che l’hanno rifiutato e altri che ne sono rimasti profondamente avviliti. In quanto alla trasmissioni di saperi, penso intendiate i vecchi ( appunto) e i nuovi. Ne tiro un piccolo elenco in pillole-che rimandano a teorie scientifiche e sapienzali strutturate- che per me sono universali: Conosci te stesso Tutto è relativo Veritas in caritate Il mezzo è il messaggio Cogli l’attimo Panta rei Chi è senza peccato… e, la più rivoluzionaria di tutte, La fantasia al potere.

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