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Dibattiti televisivi: istruzioni per una visione consapevole

Sono tempi instabili. Gli argomenti di cui discutere sono molti. Non sempre le cose sono chiare come sembrano (e non sempre sono quello che sembrano). E poi sì, continuiamo a essere in piena campagna elettorale.
Questo significa che abbiamo di fronte una raffica di dibattiti politici e un’ulteriore raffica di dibattiti sull’esito dei dibattiti. Alla fine, dovremmo tutti avere idee chiarissime. O, forse, no.

DISCUTERE, DIBATTERE E DIALOGARE. Facciamo un passo indietro: in quanti modi possiamo parlare di una questione controversa? Beh, ne discutiamo se intendiamo esaminarne ogni aspetto in modo approfondito. Ne dibattiamo per mettere a confronto idee e posizioni diverse, per poterle valutare e per poterci schierare per l’una o per l’altra. Se scegliamo invece di dialogarne, allora l’obiettivo è raggiungere un accordo, minimizzando le diversità e superandole.

OBIETTIVO: PREVALERE. Dunque, lo scopo di chi partecipa a un dibattito è rimarcare le differenze e prevalere, offrendo al pubblico argomentazioni più forti o più suggestive di quelle della parte avversa e convincendolo a schierarsi. Questo risultato si può ottenere sostanzialmente in due maniere: o presentando argomentazioni che appaiano migliori di quelle dell’avversario, o facendo in modo che le argomentazioni dell’avversario sembrino peggiori, o più deboli, delle proprie.
La differenza è sottile, ma c’è. Nel secondo caso, per esempio, si può ottenere il risultato anche attraverso attacchi personali volti a diminuire la credibilità dell’avversario e a delegittimarlo minandone la reputazione, e mettendone in dubbio la buona fede, la preparazione, l’onestà…
Una variante è sabotare materialmente l’avversario, interrompendolo o coprendo la sua voce con la propria, o insultandolo. Si può perfino sabotare l’intero dibattito producendo sproloqui privi di senso.

STRATAGEMMI PER PREVALERE. Nell’Arte di ottenere ragione, Arthur Schopenhauer elenca una serie di stratagemmi interessanti e tutt’ora efficaci e ampiamente usati nei dibattiti contemporanei. Poiché scrive in tempi pre-televisivi, trascura però del tutto l’importanza del linguaggio del corpo, che pure conta molto: un’espressione annoiata, scandalizzata o sbalordita può funzionare quanto (e anche più di) un’obiezione ben formulata.
Dovrebbe essere implicito che chi, dibattendo, usa di preferenza o soltanto questi stratagemmi in realtà dispone di argomentazioni deboli: stateci attenti.
Dovrebbe anche risultare evidente che i dibattiti servono soprattutto a orientare le persone indecise e influiscono molto poco sulle tifoserie consolidate. Il motivo è semplice, e il suo nome è bias di conferma.

dibattiti televisivi 1

IL BIAS DI CONFERMA. Il bias di conferma è forse la più potente e diffusa delle trappole cognitive, cioè dei modi in cui ci inganniamo da soli. Il bias è ampiamente noto, non solo agli scienziati ma a chiunque si occupi di dinamiche della comunicazione, e perfino agli algoritmi che scelgono che cosa mostrarci su Facebook. Consiste nella propensione a cercare dichiarazioni e fatti che confermino le nostre opinioni pregresse e le nostre credenze, e a ignorare tutto il resto, non importa quanto evidente o convincente sia.
Torniamo agli indecisi. E arruoliamo tra gli indecisi anche le persone che hanno un’opinione, ma sono onestamente disposte a verificarne la fondatezza. La NPR (National Public Radio) pubblica alcune dritte su come guardare un dibattito scansando i bias. Sono interessanti e ve le riassumo, aggiungendo qualche commento.

ASPETTO FISICO E STEREOTIPI DI GENERE. Prima di tutto, cercate di non farvi troppo influenzare dall’aspetto fisico. Per esempio, nella percezione comune le persone più alte tendono ad apparire più autorevoli e ad avere maggior successo. Questo fatto, ovviamente, conta assai meno se i contendenti sono seduti.
Anche gli stereotipi di genere hanno un peso, ed è stato dimostrato: non dimentichiamoci, per esempio, che all’inizio della sua campagna elettorale Clinton è stata oggetto di attacchi feroci e indecenti per il suo aspetto.
Un altro esempio: l’assertività viene giudicata positivamente se a essere assertivo è un uomo, mentre lo stesso comportamento, in una donna, può essere etichettato come aggressivo o arrogante. Una buona sintesi si trova in questo spot filippino.

SVILUPPO E COMPLESSITÀ. Poi: tendiamo a ricordare di più l’inizio e la fine di qualsiasi cosa (uno spettacolo, una cena, una vacanza, e anche un dibattito) e a trascurare quanto succede nel mezzo. Anche i resoconti dei mass media ricalcano questa tendenza. Su, state attenti e cercate di intercettare lo sviluppo del dibattito nel suo sviluppo, e nel suo insieme.
E ancora: spesso gli argomenti di cui si dibatte sono complessi. Noi che ascoltiamo presumiamo di saperne abbastanza, ma non sempre è vero. Per verificare che abbiamo capito di che si tratta, proviamo a spiegarli con parole nostre a qualcun altro, o anche a noi stessi. Aggiungo che sarebbe bello se anche i giornali facessero sempre così.

dibattiti televisivi 2

PRESTARE ATTENZIONE. Infine: non facciamoci ingannare dal grado di convinzione con cui le cose vengono dette (e, spesso, ripetute), dalle certezze dichiarate e ribadite senza evidenza, dall’ostinazione e dalle esagerazioni. E non facciamoci fuorviare dall’autorevolezza implicita nel ruolo o nella storia personale.
Se leggendo quest’ultima frase vi viene automaticamente in mente qualcuno, domandatevi se per caso non avete un bias contro il qualcuno che vi è venuto in mente e, chiunque sia, disponetevi ad ascoltarne le ragioni con un di più di attenzione.

CONVINCERE IL PUBBLICO. A proposito di ciò che invece convince – o meno – le persone, il Washington Post pubblica un bellissimo articolo, che dà conto dei risultati sperimentali ottenuti osservando l’andamento di una serie di dibattiti online. È un testo che anche chi partecipa a dibattiti farebbe bene a leggersi, perché alcune conclusioni possono, credo, essere generalizzate.
Risulta che, per esempio, le obiezioni tempestive sono più efficaci di quelle tardive. Che insistere a lungo sullo stesso argomento, ribadendo troppe volte le proprie posizioni, non è convincente. Che risposte articolate convincono più delle risposte brevi. Che fare esempi specifici è d’aiuto, mentre non aiuta porre domande retoriche o citare autorità esterne. Che parlare in prima persona singolare (io) è più convincente che usare la prima persona plurale (noi). E che essere cortesi e usare toni morbidi funziona meglio.
Se vedo che questo argomento vi interessa, o se ricevo qualche domanda specifica, lo riprenderò ancora.

Questo articolo è stato aggiornato nel dicembre 2017.

11 risposte

  1. Nella sua opera ¨Sulla retorica¨ Aristotele individua tre possibilita´ per l´ animo umano di intendere la politica: il giudiziario, quello che per Eric Berne e´il ¨genitore¨, l´ epidittico, il ¨bambino¨ e, sempre secondo lo stesso autore , il deliberativo ,¨ l` adulto¨.
    il primo ascolta un dibattito, il suo pensiero e` rivolto al passato, all´ individuazione delle ¨colpe¨ e dei ¨colpevoli¨. E quindi si arrabbia.
    Il secondo sghignazza, preferendo all´argomentazione la barzelletta (conosciamo tutti un noto politico italiano che ha costruito su questo la sua carriera politica) .
    Il terzo, caso raro, ha lo sguardo rivolto al futuro, all´individuazione dei problemi e alla loro possibile soluzione…… praticamente ragiona.

  2. Sì, proprio così, ci sorbiremo due mesi di dibattiti.

    Confronti? Captatio benevolentiae?
    Penso che i lettori di NeU siano “attrezzati” e abbiano la giusta distanza per seguirli (sempre che decidano di sottoporsi a questo compito).

    Ho letto con attenzione la tua nota, Annamaria e ho cercato di collocare in uno stratagemma di Schopenhauer il Renzi dell’altra sera nel confronto/scontro con Zagrebelsky sul referendum.
    Pensavo alla “mutatio controversiae”, ma forse è solo il “mentalismo” di Crozza.
    Che pensi?
    Grazie *_*

    1. Sono stata molto, ma molto, ma molto attenta a scrivere un articolo non schierato.
      Ho anche seguito il dibattito Renzi-Zagrebelsky con molta attenzione: posso assicurare che entrambi hanno usato, più o meno consapevolmente, non uno ma diversi stratagemmi.

  3. Personalmente sono molto interessato a tutto ciò che riguarda la retorica e le fallacie, sarei più che felice se lei scrivesse ancora su questi temi.
    Comunque sia, questo sito è un faro nella grande tempesta della comunicazione e i suoi libri sono gemme in fondo al mare ( perdonate la sdolcinatezza 😀 ).

  4. Il dibattito Renzi-Zagrebelsky è stato uno dei pochissimi dibattiti televisivi ad accendere la mia passione politica e credo l’unico a smuovermi realmente da una mia indecisione iniziale. Due sono le peculiarità, rispetto alla maggior parte degli altri dibattiti che passano in TV, che credo abbiano aiutato: la durata (molto più estesa delle solite trasmissioni) e il fatto che i due contendenti fossero DAVVERO interessati a dimostrare la bontà della propria tesi.

    Ad ogni modo leggendo le strategie citate dal Washington Post (e immaginando che valgano anche per i dibattiti televisivi) ho pensato subito che Renzi non ne abbia praticata quasi nessuna da Mentana. È sembrato così anche a te oppure è il mio bias che parla? 🙂

    1. Ciao Marco.
      Per esempio: entrambi hanno fatto petizioni di principio. Entrambi hanno cercato di inchiodare l’avversario a proprie dichiarazioni o prese di posizione precedenti…
      ma è normale che questo, in una discussione, succeda. Però sta al pubblico capire il peso e la struttura delle argomentazioni messe a confronto.

  5. Sì Annamaria,

    prosegui -se puoi- con l’argomento. Ogni sera la televisione offre dibattiti a non finire: ottimo poterli ascoltare con più consapevolezza. Anche se le urla, gli attacchi personali e la stupefacente ricorrenza con cui certi stessi volti siedono in quelle poltrone fa presto venir voglia di premere OFF.

    Se ascolto un dibattito, è più per imparare come si fa (o come non si fa) a comunicare in modo efficace, nel rispetto di chi chi ho di fronte.

  6. Vorrei aggiungere, dottoressa, che in un dialogo vi sono due “aloni” che con-fondono gli i protagonisti di un dibattito televisivo (e non…)
    1 – Il pregiudizio reciproco.
    Entrambi sanno che ciascuno non si smuoverà di tanto dalle proprie convinzioni, anche se disponibile a farlo, poiché deve difendersi dalla possibilità che quello che dice può essere usato contro di lui. Ma ciò si collega al punto successivo.
    2 – Il triangolo.
    I due avversari (queste sono le loro posizioni iniziali) parlano fra di e fra loro pensando di essere visti ascoltati da terzi: “si parla a nuora perché suocera intenda”! Si verifica quello che io definisco TRIALOGO e al suo interno uno è sempre soccombente; può esserlo anche il pubblico.
    Cambia idea lo spettatore che rimane deluso dal suo rappresentante, dal quale può sentirsi tradito. Freud ha fatto il suo tempo, m< il paradigma dell'Edipo può essere ancora attuale.
    Buon Bias a Tutti.

  7. Vorrei aggiungere, dottoressa, che in un dialogo vi sono due “aloni” che con-fondono gli i protagonisti di un dibattito televisivo (e non…)
    1 – Il pregiudizio reciproco.
    Entrambi sanno che ciascuno non si smuoverà di tanto dalle proprie convinzioni, anche se disponibile a farlo, poiché deve difendersi dalla possibilità che quello che dice può essere usato contro di lui. Ma ciò si collega al punto successivo.
    2 – Il triangolo.
    I due avversari (queste sono le loro posizioni iniziali) parlano di e fra loro pensando di essere visti ascoltati da terzi: “si parla a nuora perché suocera intenda”! Si verifica quello che io definisco TRIALOGO e al suo interno uno è sempre soccombente; può esserlo anche il pubblico.
    Cambia idea lo spettatore che rimane deluso dal suo rappresentante, dal quale può sentirsi tradito. Freud ha fatto il suo tempo, ma il paradigma dell’Edipo può essere ancora attuale.
    Buon Bias a Tutti.

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