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Donne e media: trasformare il caos in progetto creativo

La discussione sull’immagine che delle donne offrono i mass media si è violentemente riaccesa. Riassumo, scusandomi per l’inevitabile semplificazione della sintesi.
Vi ricordate Il corpo delle donne di Lorella Zanardo? Bene. Matrix ne manda in onda un clone piuttosto perfido intitolato Il corpo delle donne 2. Tesi: sono la stampa progressista e la pubblicità a sfruttare il nudo femminile, non la TV. Striscia la notizia rincara la dose.
Parte su FBook una pagina che dichiara “i pubblicitari sviluppano idee, non voyeurismo!”. Sulla stessa linea prendono posizione l’associazione dei pubblicitari e l’ADCI, il club dei creativi pubblicitari. Tesi: non siamo noi, ma i non professionisti  privi di idee a usare l’espediente del nudo.
 Non è di questo parere Caterina Soffici su Il Fatto quotidiano (tesi: in Italia c’è poca sensibilità, sia dei pubblicitari, sia dei clienti).
Ri-interviene l’ADCI invitando ad aprire un dibattito.
 Ma prima è intervenuta Loredana Lipperini. Tesi: Ricci fa un’operazione astuta, che serve l’esistente fingendo di criticarlo… troppo facile dire “così fan tutti”. Seguono oltre 100 commenti.
Invece, a commentare Giovanna Cosenza sul tema Quotidiani e donnine in prima pagina (tesi: e stiamoci un po’ attenti, gente!) arriva addirittura (!) l’annuncio di un Complotto Femminista Mondiale. Intanto Natalia Aspesi risponde per le rime a Ricci su la Repubblica. Tesi: non confondiamo gli spazi redazionali con la pubblicità, su cui peraltro Mediaset si è arricchita. Le immagini imposte dagli inserzionisti sono magari un po’ peccaminose, ma la volgarità sta altrove. Toscani commenta soavemente “donne, fate schifo” (tesi: io sono Toscani e voi non siete niente). Nel frattempo anche a Milano viene rimossa l’affissione osé già denunciata da Isabella Bossi Fedrigotti.
Conclusione provvisoria: le opinioni sensate, le denunce legittime e le buone argomentazioni si confondono nell’esasperazione dei toni. Proprio quel che Ricci voleva. Così, ci perdiamo il tema vero: quale immaginario costruire attorno alle donne di questo paese? Chi è disposto a fare la sua parte? Abbiamo la forza per inventare e stabilire nuove regole? Per cambiare le cose con proposte condivise e un progetto creativo?

39 risposte

  1. Splendida sintesi, Annamaria. Oggi porto la questione in aula. E parto da questo post. Grazie, come sempre! 🙂

  2. Urca! Ho letto solo ora l’intervista a Toscani. Tesi (mia): non sta bene. Ha un disturbo della personalità, ormai è certo: non è a piombo, uno che risponde così sta poco bene. Non c’è altra interpretazione e non sto scherzando. Lo dico anche alla luce di un paio di sue apparizioni tv, sui temi della politica italiana: faceva fatica a mettere insieme frasi di senso compiuto. Il che non ne giustifica le affermazioni, ovviamente. Direi però che i giornalisti potrebbero smettere, una buona volta, di chiedergli un parere, no?

  3. @ Giovanna. Poi ci racconti come ha reagito l’aula? Toscani: sì, potrebbero smettere. E’ roba di cui non c’è bisogno.

  4. Me la passi un po’ di polemica non politically correct e un po’ estrema, Annamaria? Spero di sì. Allora, in estrema sintesi (e, en passant, d’accordo al 100% con Giovanna: ognuno ha diritto di bersi il cervello ma perchè qualcuno continua a chiedergli un parere? E vale anche per qualcun altro, tipo Sgarbi, per fare un solo nome…), dico questo. Stiamo vivendo tutti in una immensa equazione di secondo grado che, come mi insegnavano quando ero nella prima superiore, è quel particolare tipo di equazione dove, se fai un errore all’inizio, poi puoi anche non farne più ma quell’errore iniziale te ne farà fare altri, magari anche di più gravi… E l’errore iniziale, per noi italiani, è quello di dimenticare che da 17 anni stiamo vivendo in un’epoca dominata, almeno a livello di risonanza sui media, dal fenomeno Berlusconi, con quel che ne consegue (o vattelapesca, come direbbe l’amico Holden…). Questo bandito, nostro premier attuale, non dimentichiamolo, segna un vulnus nel nostro paese dal quale non ne usciremo così tanto facilmente e, soprattutto, rapidamente. E, comunque, resterà. P.S. Spero di non essere preso come un monomaniaco…

  5. Beh, però, Annamaria, non confondiamoci, almeno tra di noi 🙂 La tua frase “illuminante” è: proprio quel che Ricci voleva. E arrriva alla fine di un lungo elenco dove quasi tutti quelli che sono intervenuti in quella polemica sono caduti nel tranello di Ricci/signore di cui sopra. Io, invece, pur evidenziando/rimarcando il peccato originale/primo errore dell’equazione, a quel dibattito non partecipo, proprio perchè in quell’errore non cado. Il tuo invito, qundi, (evitare di lasciare che l’agenda delle priorità sia sempre (sempre!) influenzata dall’esistenza del signor B. E che diamine!) non lo devi rivolgere a me. Io cerco, nella quotidianità, di pensare e attivarmi per fare/proporre altro. Naturalmente non posso fare finta che non esista, purtroppo. P.S. Peraltro quando, in qualche caso, ho proposto, anche su questo tuo sito, di passare all’azione, mi pare di essere stato ripreso (vado a memoria…) con un: eh, quanta fretta, impaziente, ragioniamo 🙂

  6. @ Graziano. Diciamo che capisco il punto. Ma la monomania rischia di essere paralizzante. Non credo che si possa rimandare ogni iniziativa positiva, ogni dibattito costruttivo, ogni ricerca di altre vie e altre storie, ogni altra denuncia al magico momento in cui Berlusconi si va a collocare altrove. E’ proprio un errore di strategia e di visione, lasciare che l’agenda delle priorità sia sempre (sempre!) influenzata dall’esistenza del signor B. E che diamine! Ed è anche un’attitudine mentale che deresponsabilizza ciascuno nei confronti dei suoi propri pensieri e comportamenti quotidiani. Non dimentichiamo che proprio sul fronte dei pensieri e dei comportamenti quotidiani tipici nazionali l’immaginario del signor B. sulle donne ha trovato simpatia, consensi e terreno fertile. Ma torniamo al topic. E stiamoci vicini. Per favore. Impedendo che anche questo piccolo spazio di ragionamento venga sequestrato dalla presenza pervasiva del signore di cui sopra.

  7. Salve a tutti. Un saluto e la mia stima ad Annamaria innanzitutto. Vorrei intervenire in merito alla intervista ad Oliviero Toscani, di cui ignoravo pensiero e personalità , ma ammiravo l\\\’estro. Non avendo fonti a cui riferirmi se non questa intervista sulle donne, non ho elementi per confermare la notizia che macinato il suo cervello, ne abbia fatto un bibitone. Appunto per ciò ero tendente a pensare che fosse una delle tante tipiche esternazioni un po\\\’ provocatorie e un po\\\’ provocatope. E in effetti, al netto della demenza senile, questa dura presa di posizione nei confronti della femmina italica dei nostri giorni non è così fuori luogo. Omette, però, il Toscani, di considerare che l\\\’astrazione della donna nostrana è ancora solo e soltanto frutto di esempi di politica sociale prettamente maschili. Sicché facilmente accade che le nostre madri figlie del fascio si compiacciano del figliolo vagheggino, e le nostre sorelle figlie di Berluscet plaudano alla bambola erotica decerebrata. Sento, nondimeno, che siamo arrivati al giro di boa. Saranno proprio le donne a salvare se stesse e l\\\’Italia dal puttanaio mediatico. Me lo auguro, e intanto vado all\\\’estero per importare un po\\\’ di metodi. Grazie mille Lucia

  8. @ Graziano, benedetto ragazzo… ben due commenti per dire “non partecipo al dibattito” è mica male 😉 NeU è un sito web indipendente che documenta, sensibilizza, aggiorna e offre sintesi e strumenti per progettare. Il suo modo di agire è questo. In termini puramente materiali non è un lavoro da poco. Continuo a pensare che, in generale, chiarirsi le idee e documentarsi non sia inutile, e che in particolare su questo tema sia indispensabile.

  9. Ubbidisco (intasco il benedetto, apprezzo il ragazzo, la mia volontà non era quella di non partecipare, la stringatezza delle risposte non è polemica). Quale immaginario costruire attorno alle donne di questo paese? Non capisco la domanda; le donne e gli uomini di questo paese, quasi tutti (ehm, ehm…), si strappano un discreto culo per portare avanti la loro vita tutti i santi giorni; non nbell’immaginario, nella realtà. Chi è disposto a fare la sua parte? Penso che, se partono meccanismi comuninati, ognuno farà la sua parte. Ognuno, peraltro, la sta, credo, facendo, appunto, nel quaotidiano, nei luoghi di lavoro e di vita normale. Abbiamo la forza per inventare e stabilire nuove regole? Vaste programme… A livello individuale non si può che “permeare”… ma è poco (cfr.la mia sollecitazione sul fare… NeU può fare di più che il singolo, va da sè… Per cambiare le cose con proposte condivise e un progetto creativo? Mi accontenterei di una proposta condivisa anche se non mi pare siano le proposte che mancano (che fine ha fatto, p.e., il movimento del 13 febbraio…) bensì la forza per farle diventare di massa, credibili, e con un piano di implementazione fasizzato e con verifiche dello stato di avanzamento dei lavori… (scusate, è sempre un’azione economicista e aziendale quella che mi muove…)

  10. Graziano, molto semplicemente: senza cambiare l’immaginario non si cambia il sociale. Se non te ne fossi accorto, parecchia gente sta facendo il suo per questo, tenendo ben presente la frase, a mio parere folgorante, del filosofo Mario Tronti: “Il problema non è il Cavaliere, ma il cavallo”. Stiamo lavorando, tutti, sul cavallo. Complimenti ad Annamaria per il post. Nonché per la pazienza. Loredana Lipperini

  11. @Loredana Lipperini Sarà anche stata folgorata dalla frase di Tronti ma, visto che sta lavorando sul cavallo, attenzione a non lasciare i paraocchi. Il problema non è il Cavaliere e non è nemmeno il cavallo. È l’ippodromo. U

  12. Quando Vendola ha proposto (provocatoriamente o meno, no lo so, e non importa) la candidatura di Rosy Bindi ho pensato: Evviva! E’ arrivato il momento! Qualcosa davvero si muove. Sarebbe un segnale forte, potente, vero, quello di avere come capo della coalizione di sinistra una come lei. Perchè è una che sa fare politica, che è lì adesso, che è preparata, che può riunire varie anime diverse presenti a sinistra. Perchè davanti a questioni delicate come quelle etiche ha chiaramente e esplicitamente anteposto alle proprie convinzioni personali quelle politiche. E’ moderata, ha buon senso, è coerente. Intellettualmente onesta. Una brava politica italiana. Una brava politica italiana al posto giusto, nel momento giusto. Vorrebbe dire che in Italia le donne brave, preparate, capaci hanno spazio! Certo.. come no.. Dire che la cosa è stata lasciata miseramente cadere, è dir poco. L’ importante era partecipare alle manifestazioni, dimostrandosi moderni, aperti, senza pregiudizi. A parole. Nei fatti è più conveniente lasciar miseramente cadere, che ci sono gli interessi di partito.. Che fine hanno fatto i movimenti che hanno portato un milione di donne in piazza? Sostenere la Bindy no? Lasciata sola e costretta a tirarsi indietro. L’ importante è intasare la rete con polveroni su culi e tette. E allora non vi sto più neanche a sentire. E’ tutto un bla bla bla stancante e ripetitivo. E va bene l’ immaginario, ma ci vogliono segnali concreti. Una donna alla dirigenza. Il primo punto di partenza per un programma serio sul cambiamento di questa noiosissima società italiana. Lina

  13. @ Lina… è proprio l’immaginario rozzo e arcaico che abbiamo sulle donne a far sì che cada la candidatura di una donna qui, in Italia. Non in Germania, con la Merkel. Non negli USA, con la Clinton. Non in Svizzera, ultimo tra i paesi europei ad aver concesso il voto femminile nel 1971, ma ora con quattro ministeri sui sette esistenti in mano a donne. E non da un sacco di altre parti. A far sì che parlare di donne nei CDA sembri fuori luogo. A far sì che la percentuale delle donne che lavorano sia lontanissima dagli obiettivi di Lisbona. Noi siamo solo ciò che immaginiamo di poter essere. Sia come individui che come paese. Tutti i cambiamenti nascono da un sogno. Da una visione. Dall’insofferenza di qualcosa che riesce a trasformarsi nel desiderio prepotente di qualcos’altro. Le cose per le donne cambieranno sul serio solo quando dalla maggioranza degli italiani sarà percepito come socialmente disdicevole lasciarle così come sono. Quando Toscani verrà considerato impresentabile. Quando le tette in tutte le salse sembreranno fuori luogo. E questo non può succedere se non si alza il livello d’attenzione del grande pubblico, con conseguente pressione sui media. Il 13 febbraio è stato, in questo senso, molto positivo. Ma adesso c’è da trasformare il grido in racconto. E, prima ancora, da capire qual è la storia che vogliamo raccontare, e quali sono le storie che non vorremmo più sentire.

  14. @ commento 14 A me è sembrato uno spreco. Quella era una proposta reale, concreta. Non bisognava inventarsi nulla. Era lì. Mi innervosisce pensare che non sia stata presa minimamente in considerazione. E che non ci sia stato sostegno da parte di quelle organizzazioni che evidentemente hanno la forza di influire su questo famoso immaginario. Va bene ,non passava la candidatura, ma almeno si sosteneva. Insomma, ci possiamo permettere di buttare via occasioni? La rete a favore di una candidatura femminile, invece che satura di commenti che amplificano provocazioni sterili. E’ chiaro che non è un punto di arrivo, ma di partenza. Sarebbe potuto essere, ripeto, un bel segnale per un progetto sul futuro. Lina

  15. Non voglio parlare di Toscani (inqualificabile, a partire dall’ultimo indegno calendario realizzato), ma un tema che ha sollevato mi sta abbastanza a cuore: le riviste femminili. Avevo notato in passato una discrepanza assurda tra una rivista come Vogue Usa o Gb e l’edizione italiana: nelle versioni anglosassoni trovavo articoli sul tumore, sull’invecchiamento, che so, su temi altri. Vogue Italia invece mi aveva colpito per la vacuità degli articoli: sempre più superficiali nel tema e soprattutto nel livello di approfondimento; e infatti, sempre ultrabrevi (a differenza delle edizioni straniere). Siamo più sceme noi italiane, o cosa? Valeria

  16. RISO AMARO E I PULCINI Secondo il mio modesto parere Graziano ha centrato il problema, non chiaramente che tutto provenga dalla capoccia dell’innominabile, ma nel fatto che nei suoi pollai si sono sviluppati e sono stati calamitati personaggi e idee che hanno messo al centro dell’attenzione il dileggio, il disprezzo, la vivisezione dei sentimenti e la macelleria messicana delle misere delle esistenze, passando tutto nel frullatore dell’intrattenimento a tutti i costi. Si ride e si deve ridere su tutto, meglio se poi le grasse risate sono accompagnate da belle inquadrature di glutei, seni e canotti al posto delle labbra. Questo è il punto di partenza, un allevamento di massa di polli e galline da batteria, avvezzi e pronti a beccare e ingozzarsi del peggiore cibo sintetico televisivo, che rigurgita in continuazione la solita oscena pappa spacciandola sempre come la migliore, l’unica e la stessa amata e desiderata da tutti. Che fare quindi? io direi… mentre noi lottiamo per uscire da questa pazzesca gabbia mentale e catodica, iniziamo a liberare i piccoli pulcini. Questo è il punto di partenza, un allevamento di massa di polli e galline da batteria, avvezzi e pronti a beccare e ingozzarsi del peggiore cibo sintetico televisivo, che rigurgita in continuazione la solita oscena pappa spacciandola sempre come la migliore, l\\\’unica e la stessa amata e desiderata da tutti. Che fare quindi? io direi… mentre noi lottiamo per uscire da questa pazzesca gabbia mentale e catodica, iniziamo a liberare i piccoli pulcini.

  17. Berlusconi ha tirato fuori da noi italiani il “meglio” dei nostri difetti e così il paese si sta avvitando su sè stesso. Per reggere la concorrenza con gli altri paesi dobbiamo essere capaci di cambiare come è cambiata la Germania, la Cina, la Spagna, il Brasile, la Turchia, l’est europeo. Se le donne continueranno a essere valutate solo per il corpo per essere poi emarginate ogni volta che si parla di posti di potere e di responsabilità vorrà dire che a questo nostro paese mancherà il contributo di metà della popolazione.

  18. Sabato 5 marzo sarò io a presentare a Lodi il libro ‘Non è un paese per vecchie’ di L. Lipperini. Tempismo incredibile, sarà una serata piena di argomenti interessanti! P.S. Il libro mi è piaciuto molto, preciso, ben documentato, diretto: bisogna parlare delle cose che consideriamo tabù, bisogna stimolare il dibattito, bisogna ‘costringere’ l’ippodromo di cui parlava qualcuno a farsi delle domande! Facciamo tutti del nostro meglio, ricordandoci sempre che potremo fare sempre di più. Grazie Annamaria per il tuo lavoro, che è fonte di ispirazione continua per il mio! Raffaella Musicò

  19. @wc. Ciao. Smontare un pattern che ha ormai quasi trent’anni (comincia nei primi anni Ottanta) non è semplice. Bisogna ripetere, e ripetere, e ripetere che un’altra visione è possibile, senza stancarsi. NeU ha cominciato nel 2009, in occasione dell’uscita de Il corpo delle donne, segnalando anche la dimensione psichiatrica del comportamento berlusconiano, ed ha ripreso periodicamente il tema. Tutto questo si è tradotto, qualche mese dopo, in un’iniziativa online ed è diventato poi In cerca di lei, in una community di quasi 2000 persone su FB, che si scambiano materiali, rilanciano iniziative, costituiscono uno dei moltissimi nodi che, attraverso la rete, diffondono consapevolezza e raccolgono energie. E’ un modo per cominciare a metter fuori un braccio, un piede, il naso dalla gabbia catodica. Sarebbe però fantastico (riprendo il post di Valeria) se quanto sta “fuori” dalla gabbia catodica (per intenderci: la carta stampata) cominciasse di suo, e sentendo che l’aria sta cambiando, a cambiare, e magari a guidare il cambiamento. Rivendicando una leadership di visione e con questo emancipandosi, tra l’altro, da una sudditanza televisiva che alla stampa ha nuociuto, annacquandone l’identità. E facendolo con orgoglio e allegria. Questo mi piacerebbe chiedere a chi progetta giornali. E a chi progetta pubblicità, e può infilare nuove narrazioni in tutti i media, televisione compresa (mi colloco nel secondo gruppo, ed estendo l’appello ai colleghi di buona volontà). Il punto che segnala Leo non è secondario. Fra l’altro. Le donne non sono solo la metà delle risorse del paese. Oggi sono anche il 60% dei laureati. Se non allineiamo in fretta realtà e percezione, nei prossimi anni potremmo avere, oltre che una enorme dissipazione delle risorse, anche un problema serissimo a livello di interazioni sociali e relazioni interpersonali tra i generi. @raffaella: il libro di Loredana è un contributo importante. un bocca al lupo per la presentazione!

  20. Per Loredana e Annamaria (en passant, per la franchezza che mi/ci contraddistingue, non è “bellissimo”, se ci pensi, il tuo post su fb: Uh, gente, che fatica portare avanti uno straccio di ragionamento). Domanda, senza polemica alcuna, ma solo per capire, perchè, proprio, io non capisco, cosa significa (nella pratica quotidiana, intendo): senza cambiare l’immaginario non si cambia il sociale?

  21. Molto interssante questo argomento, in sintesi sono d’accordo con Annammaria e con molti altri commenti ma per poter procedere ci vuole un ‘azione un po’ forte: boicottaggio! non acquistiamo giornali con una certa pubblicità e spegniamo la Tv. Non acquistiamo prodotti pubblicizzati in modi osceni. Colpiamo così gli interessi economici e poi cerchiamo di cambiare questa incultura generale sviluppata negli ultimi anni, grazie al berlusconismo & C., (sempre lui ahimé). E’ chiaro che i creativi pubblicitari devono in qualche modo “accontentare” i clienti, altrimenti non lavorano, devono seguire l’onda…poi ci sono i casi alla Toscani o Sgarbi che rafforzano una certa mentalità e fanno audience, ma se il vento cambia e noi vogliamo cambiarlo, si adegueranno un po’ tutti.

  22. La scorsa settimana a Milano c’è stato un incontro pubblico: “Donne in pezzi”. Eravamo poche, anzi pochissime e una signora, che di mestiere fa la creativa in un’agenzia di pubblicità, ha ribadito la solita, nota posizione: “Davvero credete che la pubblicità sia così potente da rivoluzionare l’immaginario collettivo, da generare e imporre nuovi paradigmi? Non è piuttosto una risposta comoda raccontarci che i mass media oggettivano e spezzettano corpi, bandiscono scarti dal canone, impongono un modello unico di rappresentazione del femminile?” Io credo che sia vero, che la risposta stia altrove. Ma se l’immaginario fatto di stereotipi e cristallizzazioni che circola sulla donna non si evolve e concepisce delle alternative valide difficilmente esisteranno degli effetti sulla realtà. E anche la pubblicità, in questo senso, deve prendersi la responsabilità di dare il suo contributo. Un saluto a tutti Ilaria

  23. Gentilissima Ilaria, sono la signora che di mestiere fa la creativa che ha partecipato a “donne in pezzi”. Il discorso che ho cercato di fare durante il dibattito cui fa riferimento è un pò più ampio e quella che lei ha messo impropriamente tra virgolette è forse la sua interpretazione. Probabilmente tra le righe c’è “anche” il mio pensiero ma le virgolette di solito si usano per una citazione letterale. Se ricorda bene, alla fine del mio intervento ho esposto la tesi che non può esserci estetica (compresa la pubblicità) senza etica e auspicavo proprio che la pubblicità da semplice riflesso della società diventasse in qualche modo un faro. Di approfittare della popolarità che ha la pubblicità per intercettare i cambiamenti e guidare un nuovo processo. Questo, che per me era il messaggio fondamentale (oltre a tutti i disclaimer del caso) non lo trovo tra le sue virgolette. Ma forse è perchè non l’ho comunicato come avrei dovuto. Cordialmente Lorella Montanaro

  24. “I media appaiono più importanti nei momenti di crisi e di cambiamento sociale, perché in questi momenti aumenta il bisogno di informazioni e di rappresentazioni condivise del mondo, quindi se ne fa un maggiore uso (le tirature dei giornali e gli ascolti televisivi aumentano sempre in tempo di guerra)”. Quindi sì, suppongo che il momento attuale sia favorevolissimo per innescare un circolo virtuoso in cui i media potrebbero avere un ruolo fondamentale. E’ difficile dare una risposta a Graziano in merito alla pratica quotidiana individuale che inneschi il cambiamento dell’immaginario globale, perché evidentemente non si osserva rispondenza diretta tra pratica e trasformazione. Ma è anche vero che “la rivoluzione umana di un singolo individuo contribuirà al cambiamento nel destino di una nazione e condurrà infine a un cambiamento nel destino di tutta l’umanità”. Questo per dire che insistendo come singoli nel propugnare uno stile di vita basato sulla cultura, sull’informazione e sul confronto, si offrirà già una risposta decisa e forte al degrado attuale. In una visione positiva, coloro che partecipano al dibattito hanno già poggiato il piede sul terreno del cambiamento. Saluti Lucia

  25. Gentile Lorella, ho usato le virgolette, in effetti, non potendo corsivare e non volendo “rubare” parte dei contenuti del suo intervento. Vero, non ha detto soltanto questo, ci mancherebbe. Forse avrei dovuto specificare. E la riflessione più ampia sulla necessità di una dimensione etica nel mestiere del creativo è arrivata. Ha fatto bene a precisare, ma non era mia intenzione riassumere il suo intervento: prendevo spunto per fermarmi a riflettere su alcuni presupposti su cui ci si interroga ancora senza venirne a capo che mi sembrava lei avesse messo in luce in modo efficace. Felice, in ogni caso, di trovarla qui a parlarne e che condivida con noi della redazione di NeU una certa urgenza di dire e di fare riguardo a questi temi. A presto Ilaria

  26. Segnalo volentieri il bel contributo di Betty Draper su “donne nella pubblicità”, nel duplice senso di “donne che progettano la pubblicità” e di “donne che la pubblicità rappresenta”. E vi invito tutti a leggerlo senza trascurare i commenti, il cui tenore può dar conto delle prospettive assai diverse, e dei diversi gradi di sensibilità esistenti in una comunità professionale che, vista dall’esterno, può apparire più monolitica di quanto non sia nella realtà. Ancora una volta – lo so, mi ripeto: sarà l’età, o un’incrollabile fede nel fatto che alla fine il buonsenso vince – l’invito è a distinguere: tra campagne, tra posizioni individuali, tra pensieri differenti.

  27. Il commento di Betty Draper è puntuale e (purtroppo) esauriente. Ci è venuto in mente uno spot recente di una macchina per il caffè di una nota marca. L’implicito pericoloso è che, per piacere e quindi avere successo, sia necessario aderire a certi canoni: – Donna-bambina ingenua e frivola (si sveglia la mattina, vestita come una bambola, e, saltellando, pensa alla “nottata birichina”) – Accondiscendente e felice di essere oggetto/soggetto di doppi sensi (“bollente si fa la situazione”, “non riderò per quella dimensione”, “sono ancora più eccitata”, e, ovviamente, “mi piace piccolo”) – Perfettamente rispondente ai canoni di bellezza e comportamento di certa popolazione maschile (sempre sexy, sorridente e appetibile anche in una situazione domestica; rassicurante sulla non problematicità del fattore dimensione). Trilli&Trulli

  28. Torno sul tema periodici femminili. Glamour, uno dei più venduti (oltre 300.000 copie) e apprezzati, questo mese dedica un’articolo a come avere “una vagina sexy, attraente, tonica, praticamente perfetta. Tutte le novità fai da te e fai da esperti”. I suggerimenti? “Applicare sulla parte superiore della vagina – completamente depilata – piccoli Swarovski e strass adesivi” “Con una spruzzata di profumo Vulva (GIURO, L’ARTICOLO DICE COSi’, PAGINA 202)” per un “effetto afrodisiaco. E poi un velo di rossetto My New Pink Button che dà alla vagina un colore roseo per ben 72 ore. A prova di baci!” No ai tatuaggi ma sì ai “va-ttoing, cioè i tattoo temporanei. A NY sono già un must.” E poi gli esercizi ginnici. “Per farli nel modo giusto, ci sono gli slip PantO: il silicone cucito all’interno del cavallo favorisce i movimenti per tenere allenato il pavimento pelvico”. Infine “un intervento di medicina estetica”: per aumentare le dimensioni del punto G una bella “iniezione di filler riempitivo a base di collagene”, che “lo farà sporgere quanto basta per provare molto più piacere durante il rapporto”. Tutto questo merita o no una campagna di boicottaggio/denuncia/irrisione? e chi ha qualche idea me la dia, perché sono arrabbiata come una biscia! Valeria

  29. NOI SEMO QUELLA RAZZA STRANA… « Noi semo quella razza che non sta troppo bene che di giorno salta i fossi e la sera le cene, lo posso grida’ forte, fino a diventa’ fioco, noi semo quella razza che tromba tanto poco, noi semo quella razza che al cinema si intasa pe’ vede’ donne gnude, e farsi seghe a casa, eppure la natura ci insegna sia sui monti sia a valle, che si po’ nasce bruchi pe’ diventà farfalle, ecco noi semo quella razza che l’è fra le più strane, che bruchi semo nati e bruchi si rimane, quella razza semo noi è inutile fa’ finta, c’ha trombato la miseria e semo rimasti incinta » (Bozzone) Carlo Monni recita a Roberto Benigni questa poesia nel film “Berlinguer ti voglio bene” di Giuseppe Bertolucci nel 1977

  30. cara Valeria, prova a disarrabbiarti..non ne vale proprio la pena. La prima cosa che mi viene in mente è che a questo mondo c’ è gente veeeeramente annoiata, cioè che non fa niente e che qualcosa deve pur inventarsi per rendere un poco apprezzabili le giornate o per farsele passare, le giornate. La seconda cosa è che in teoria tutto questo lavoro dovrebbe avere come scopo quello di rendere originale e spiritoso un aspetto della vita, quello intimo, che forse è influenzato dalla noia di cui sopra. Terza cosa, che chi fa un lavoro così certosino, vuole forse cercare di impreziosire qualcosa che percepisce senza più valore (svalutazione dovuta, sempre forse, alla sovraesposizione). Quarto (e la smetto perchè potrei continuare per un bel pò, visto che non ho sonno), l’ idea del rossetto per quelle labbra, rimanda a delle immaginarie bocche che potrebbero parlare, e non oso immaginare che cosa arriverebbero a dire. A questo proposito mi è venuto in mente un libro di Diderot intitolato “Les bijoux indiscrets”, in cui l’ autore fa parlare i “bijoux ” femminili che divengono una sorta di bocca della verità, un modo impietoso per passare in rassegna i vizi delle varie classi sociali. (http://it.wikipedia.org/wiki/I_gioielli_indiscreti ) Ti immagini, Valeria, quante altre parole al vento oltre quelle che già ci sono? Lina

  31. Aggiornamento: intanto Striscia la notizia torna (puntata del 2/3/11) ad attaccare direttamente la Repubblica. @ Walter. Chapeau per il commento tanto struggente quanto puntuale. @ Lina. Sì, sono parole al vento: e la tua risposta mi aiuta a rendermi conto che anche l’indignazione forse va misurata, perché è un sentimento alto e prezioso, e conservata per obiettivi più rilevanti dell’articolo scemo (e scemo in modo desolante) riportato da Valeria. Però. Però devo ammettere che faccio fatica, a non arrabbiarmi. E dunque… @ Valeria. Provo a rispondere alla tua domanda “Tutto questo merita o no una campagna di boicottaggio/denuncia/irrisione?”. E lo faccio chiedendomi che cosa può funzionare meglio. Il boicottaggio è una soluzione complicata: e non solo perché vuol dire (a) stanare le lettrici e (b) persuaderle a non comprare in misura sufficiente a influire sul dato di vendita. Ma anche perché la libertà di stampa è, credo, “anche” la libertà di scrivere desolanti scemenze. E il “non condivido quello che dici, ma difenderò il tuo diritto di dirlo” vale perfino per Glamour che invita le lettrici ad addobbarsi la Leopolda di strass. Questo fatto però non ci impedisce di dire, forte e chiaro, che quelle sono desolanti scemenze. E qui credo che funzioni, assai meglio della denuncia, l’irrisione. Perché è più veloce. Perché è più popolare. E perfino perché è più bonaria. Uno degli slogan più fortunati e ariosi del movimento è stato “sarà una risata che vi seppellirà”. Per dire: sogno un pezzo della Littizzetto sul tema. O una parodia della Sora Cesira. Ma mi accontenterei anche di qualche battuta di Spinoza. E morta lì.

  32. raccolgo l’invito: ho segnalato l’articolo a Che tempo che fa (raitre.chetempoche fa@rait.it), alla Sora Cesira (lasoracesira@gmail.com) e a Spinoza (info@spinoza.it ). E speriamo che ne facciano qualcosa! Valeria

  33. dimenticavo: e ho comunque scritto una lettera infuocata a Glamour. Sono convinta che il customer care conti anche nell’editoria. Da quando l’ufficio marketing di Wired mi ha telefonato per chiedermi come mai non rinnovavo l’abbonamento (e mi hanno tenuta al telefono oltre mezz’ora!), mi sono resa conto che anche un solo lettore conta, per loro. E quindi anche la mia opinione. Valeria

  34. grazie ad Annamaria per la “tavola sinottica”! intervengo sul discorso delle riviste femminili, complesso perché studiandole un po’ ce ne sono alcune che cercano di fare di meglio, e altre che perpetuano i peggiori vezzi (o vizi). Glamour, quando era “Lei-Glamour” diretto da Franca Sozzani (prima che il pensiero passasse di moda, ovvero fino ai primissimi ’80) era una bella rivista con articoli densi di testo su cinema, arte, teatro – oltre a trucchi e abiti. Sul riderci sopra: ma non c’è un po’ il rischio che la risata possa far “digerire” tutto? Chiedo – è un timore, in un momento in cui si rischia quotidianamente di abituarsi al peggio. Il tentativo di dialogo con le redazioni l’ho provato anch’io, scrivendo a Velvet per dire quanto sia apparso “fuori tempo” il nuovo numero con la donna inscatolata in copertina che rinnega il femminismo – proprio in corrispondenza con il nuovo movimento. Hanno risposto che prossimamente tratteranno il tema da un’altra angolazione, vediamo. laura a.

  35. @ Valeria. Certo, i lettori contano. E, per qualsiasi impresa comprese quelle editoriali, contano il clima e il consenso. Per questo sostengo che, nonostante le apparenze, diffondere consapevolezza (sì, anche offrendo un feedback alle redazioni) e mantenere il livello d’attenzione alto, senza stancarsi, sia una vera e propria azione militante. @ Laura. Vado davvero convincendomi che calibrare l’azione sia tanto importante quanto difficile. Difficile perché (è proprio il caso di Glamour) anche cose decisamente sceme possono essere molto sconfortanti. Importante perché quello sulle donne è un discorso fatto di discorsi che da noi riguardano (questo è solo un elenco disordinato e parziale) il lavoro, la violenza domestica, i tempi e i compiti di cura, la rappresentanza politica, i rapporti tra i generi, l’uso e l’abuso del corpo, l’idea di bellezza, il diritto di invecchiare… E, se appena allarghiamo lo sguardo oltre i confini del nostro paese: la mutilazione genitale, il diritto all’istruzione e alla sanità di base, altre 100 milioni di bambine (e il dato è, oltre che spaventoso, probabilmente sottostimato) mai nate o uccise appena nate, essenzialmente tra India e Cina… E certo: tutto si tiene. Ma se vogliamo farci ascoltare, dobbiamo imparare, credo, a calibrare quanto diciamo, e a dirlo ogni volta nel modo più conveniente, e per questo più efficace. Facciamolo usando l’intera gamma delle emozioni e dei toni. Altrimenti, se non distiguiamo tra i toni, rischiamo di produrre rumore più che informazione. Insomma: sghignazziamo su Glamour invitandoli a inventarsi qualcosa di meglio, che non se ne può più di stupidate. Allarmiamoci sui dati riguardanti l’occupazione. Protestiamo sulla rappresentanza politica. Scandalizziamoci sulla violenza domestica. E, per quanto riguarda la situazione delle donne in altri paesi del mondo. Non dimentichiamocene. Mai. E facciamo tutto quello che possiamo fare.

  36. Calibrare quanto diciamo. Contestualizzarlo e orientarlo verso un pensiero condiviso che prescinda dalla gazzarra politico-giudiziaria del premier. Non che essa sia estranea e incolpevole, ma certamente non il punto di partenza. Tantomeno il punto d’arrivo. Qual è l’immagine della donna che riteniamo giusto veicolare? Siamo stipate nel packaging della femminilità e mi pare risulti assai complesso scernere ciò che ci appartiene da ciò che abbiamo lasciato cucirci addosso. Mia figlia ha vent’anni, tanti quanti ne avevo io quando ho deciso che sarebbe nata pur ritenendo intoccabile il diritto all’aborto. Da qui parto, perché trovo fondamentale la coscienza dell’essere donna a tutto tondo: madre, professionista, persona. Persona che non è “altro” rispetto al maschio, quando si parla di messaggi, di pubblicità, di lavoro, di professionalità, di prodotti da vendere e acquistare. E’ persona punto: né più né meno meritevole del maschio per la sua situazione cromosomica. Semmai più o meno meritevole rispetto ad altri individui per la preparazione, la capacità, l’esperienza. E’ difficile immaginare, oggi, una pubblicità diversa da quella cui siamo abituati. Ci appartiene, come i biscotti della colazione, la crema antirughe, i jeans bottom up e i reggiseno wonderbra. Siamo impregnate di una cultura del femminile che è complesso scrollarsi di dosso. E’ più facile scontrarsi fra Fattore D e Fattore Vattelapesca perché il contrasto è già impacchettato, piuttosto che definire un linguaggio comune femminile. Mi piacerebbe provare una sorta di “Prima e Dopo” con certe campagne pubblicitarie. Prendere i giovani creativi e provare, con loro, la trasformazione. Provare a fargli realizzare una campagna alternativa fresca, non avvilente, non banale, non sessista. Provare a capire se la pubblicità può e sa uscire dal cul de sac.

  37. @ anonimo 38: bella idea, ed eccellente esercizio da proporre nelle scuole. Parliamone in giro.

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