stereotipi pubblicitari

Stereotipi pubblicitari femminili: tre sfide

Rieccomi a parlare di stereotipi pubblicitari e donne  al convegno Donna è…, organizzato da Rai a Roma. Sala piena, interventi interessanti e, per fortuna, poche dichiarazioni di circostanza. Sono arrivati anche Clio e Giorgio Napolitano.

Qui il servizio di Rainews con alcune considerazioni sul costo della disparità di genere per il paese, e la chiara segnalazione, da parte della presidente Rai Anna Maria Tarantola, del ruolo rilevante che la tv assolve in termini di diffusione di modelli di ruolo e di costruzione di un immaginario collettivo. Qui alcuni interventi (questo è un video lungo, ma vi consiglio di dargli un’occhiata) su donne, innovazione e scienza. Qui il discorso conclusivo di Tarantola.

Il tema degli stereotipi pubblicitari femminili è ispido, non manca di suscitare controversie, è a sua volta a rischio di lettura stereotipata o ideologica, e per essere compreso fino in fondo necessita di frequenti escursioni tra mille questioni giuridiche o tecnico-esecutive. Oltretutto, la situazione si sta evolvendo piuttosto rapidamente e forse ci siamo allontanate a sufficienza dagli eccessi che solo pochi anni fa sembravano la regola.
Con meno di dieci minuti a disposizione, ho preferito limitare il discorso agli stereotipi pubblicitari televisivi e dire tre cose molto chiare, corredate da alcuni dati:
1) la pubblicità è una quota minoritaria di ciò che viene trasmesso, ma è suggestiva, e conta molto.
2) Il peso delle donne è quantitativamente assai maggiore negli spot televisivi (80% secondo il monitoraggio adci) che nella programmazione. Ma è sulla qualità delle rappresentazioni che c’è da migliorare, non solo eliminando gli spot palesemente offensivi – questo già viene fatto –  ma moltiplicando le rappresentazioni virtuose, fino a sostituire, auspicabilmente, quelle più sciocchine, riduttive e banalizzanti, che oggi sono una parte non esigua.
3) Bisogna ottenere maggior varietà e maggiore verità nelle rappresentazioni femminili: lavorare sulla moltiplicazione dei modelli di ruolo proposti, su una migliore rappresentazione anagrafica (le over 55 appaiono raramente in pubblicità anche se contano per oltre il 25% dei consumi) e bisogna smetterla con la stucchevole omologazione dei tipi fisici (la quale, tra l’altro, non risparmia nemmeno gli uomini).
Qui trovate le immagini della presentazione. Qui il testo che ho preparato per accompagnarla. Testo e immagini andrebbero considerati insieme.
Eccovi infine, un’ampia raccolta di spot internazionali sulle madri, se per caso volete avere un’idea della quantità di modi in cui  perfino questo ruolo, che sembra massimamente stereotipato, si può raccontare in pubblicità, ma evitando i più stucchevoli stereotipi pubblicitari.

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6 risposte

  1. sono d’accordo per quanto riguarda la pubblicità, lì come altrove conta che uomini e donne siano anche fisicamente ed esteticamente credibili per i ruoli (parlare di personaggi in pubblicità è eccessivo) che interpretano

  2. Secondo me, qualunque ruolo vissuto senza entusiasmo o convinzione è destinato al fallimento. I ruoli non sono “sessuati” ovvero ci sono donne che hanno scarsa o nessuna predisposizione per determinati compiti tradizionalmente ritenuti conformi alla loro “presunta” natura. E’ importante che un individuo, indipendentemente dal sesso, si affidi a ciò che sente nel profondo per la scelta di un ruolo. Le forzature culturali non solo sono illegittime, ma producono danni. Scegliere in libertà garantisce la qualità di qualunque prestazione.

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