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Esperienze 7: dagli USA a Singapore. Guidato dalla passione

Con immenso piacere pubblico la storia che Enrico Marsili, ricercatore nomade per amore della propria disciplina, invia a NeU da Singapore. Mi sembra bellissima. Dentro c’è vita, affetti, incontri, coraggio, amicizia, curiosità, apertura al mondo, voglia di migliorare: un sacco di roba buona.
Che (ehm) se ne va a spasso per il mondo, e forse resterà fuori dall’Italia.

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Sono un ricercatore in biotecnologie ambientali, con un particolare interesse per il biofilm. I biofilm sono piccole comunità di microorganismi che sopravvivono e crescono attaccate a superfici, siano esse i nostri denti, le rocce di un fiume, lo scafo di una nave.
Ho iniziato in Italia, con una laurea in Ingegneria Chimica. Poi, in mancanza di un lavoro vero, ho provato a fare un dottorato di ricerca, con risultati sinceramente pessimi. Mentre mi barcamenavo tra insegnamento, consulenze, e lavoretti vari, il mio ex-relatore, Roberto Lavecchia, mi ha suggerito di andare all’estero per un periodo. Ho pensato a luoghi vicini – la Francia, l’Inghilterra – ma Roberto mi ha detto se parti, fai una cosa seria. E nel 2003 il primo centro di ricerca al mondo sul biofilm si trovava in Montana, USA.

Dopo un rapido scambio di email con un professore del CBE (Center for Biofilm Engineering) sono partito, lasciando (a 28 anni suonati) casa dei miei. Il Montana mi ha dato quasi tutto: un bellissimo lavoro, emozioni che ancora oggi rivivo con amici e parenti, una bellissima moglie e la possibilità di fare qualcosa di serio nella ricerca.
Tornato in Italia, e diventato dottore, sono partito di nuovo per l’Olanda perché qui da noi non c’erano prospettive, e anche perché avevo vinto una borsa di tre mesi con la EU per studiare la rimozione dei metalli nelle acque reflue. Nella mia prima destinazione olandese non ho trovato una situazione soddisfacente e ho preferito spostarmi a Utrecht, dove avevo vinto un post-dottorato nel dipartimento di Ingegneria dei Sistemi e dello Sviluppo Sostenibile. Utrecht è una città bellissima e sarei rimasto lì (il posto era per 4 anni), ma il lavoro era completamente teorico e mi mancava il laboratorio. Inoltre la mia futura moglie era rimasta in Montana: così ho rifatto le valige e i visti e ho rimediato un bel post-dottorato nell’Istituto di Biotecnologia, Università del Minnesota (USA). Un’altra rivelazione, e un supervisore, Daniel Bond, per il quale provo un grande affetto per quanto mi ha insegnato, stimato, e cresciuto.

Intanto mia moglie Seratna prende la laurea in Microbiologia e nasce il primo figlio. Si pone il problema di trovare un lavoro permanente: i soldi non bastano. Dopo una breve parentesi in Canada, e a causa di una disavventura di visto che richiederebbe un’altra storia, trovo lavoro alla Dublin City University, Irlanda. Anche Seratna vince allo stesso tempo una borsa di dottorato: sembra tutto a posto.
Ma in Irlanda l’insegnamento è durissimo: troppe ore, poca creatività, zero risorse. La ricerca va abbastanza bene, ma il blocco del turnover e la perdita di alcuni colleghi ci obbliga a carichi di lavoro impossibili.
Nasce la nostra bambina, io lavoro troppo e sono troppo giovane (37 anni) per diventare un travet dell’insegnamento. E allora, con il supporto di mia moglie, accetto con gusto la proposta di un anno sabbatico in un nuovo centro d’eccellenza per la ricerca sul biofilm presso la NTU (Nanyang Technical University) di Singapore. Incontro nuovamente alcuni amici del Montana, riallaccio storie, interessi e passioni che temevo dovessero finire nel calderone dei ricordi. Intanto siamo in attesa del terzo bambino/a, e Seratna sta finendo la tesi. E siamo a oggi.

Qual è il filo che lega questi dieci anni di vita nomade? La voglia di conoscere altri posti, il desiderio di rimanere finché è possibile all’avanguardia nella ricerca, la passione per la diversità. Provo un intenso piacere nel fare confronti tra posti e persone, nel migliorare ogni giorno i miei metodi e le mie capacità. Amo interagire con gente di culture differenti, con tutte le difficoltà che questo comporta. Certo, l’Università è un ambiente abbastanza omologato (e conservatore) ma le differenze etnico-culturali si vedono, eccome.
Con Seratna, pensiamo di fare un ultimo salto in Francia, dove abbiamo buoni contatti, e di rimanere lì “per tutta la vita”.
A meno che l’Italia non riprenda a fare ricerca seriamente. Ma ci credo poco.

6 risposte

  1. Cari amici di NeU, vi seguo da un bel po’ di tempo ormai, ma non ho mai commentato prima d’ora. Il racconto di Enrico mi riempe di energia e speranza: è pieno di grinta, voglia di combattere e prendersi tutto il meglio che c’è. Non importa in quale angolo della terra sia nascosto e quanti chilometri vadano percorsi per raggiungerlo. Enrico, Seratna vi auguro di trovare presto un posto in cui fermarvi quanto a lungo desidererete. Un caro saluto Viola

  2. La cosa migliore del racconto è la focalizzazione sulle cose buone e non su quelle che rendono il tutto faticoso e a volte molto difficile. Questo è il punto di vista utile per vivere ciò che nel sogno ci è precluso: la realtà. Che è affascinante e intensa se la si sa accogliere per ciò che è… Insomma… sto per andare a dormire e questa storia mi farà fare bei sogni, ne sono convinta. Grazie 🙂 Auguro a Enrico e alla sua famiglia il meglio, sempre. Barbara

  3. Bel racconto Enrico non si puo dire che ti sei annoiato, l’mportante e’ fare quello che si desidera. Buon fortuna a te e alla tua famiglia

  4. Bella storia! Spero che la leggano molti ragazzi. Io l’ho mandata a mio nipote che e’ in partenza per gli USA anche lui con borsa di studio. In bocca al lupo Enrico e grazie Annamaria Dario

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