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Età più creative: non ne esistono. Neanche nelle scienze

È impressione comune che esistano specifiche età più creative, e che altre lo siano meno. Non è vero, e adesso c’è una conferma ulteriore.
Il colpo di genio arriva a sessant’anni, titola a effetto, e in maniera un po’ impropria, la prima pagina del Corriere della Sera di qualche giorno fa. Lampi di genio a sessant’anni!, ribadisce il titolo dell’articolo nelle pagine interne. Il testo dà conto dei risultati di una ricerca recente, svolta dall’università di Oxford e pubblicata su Science.
Obiettivo della ricerca è capire se sia possibile predire lo sviluppo delle carriere scientifiche, e se esistano degli schemi ricorrenti. E tutt’altro che un puro esercizio accademico: ai finanziatori e alle università ovviamente serve sapere in anticipo sul successo di quali scienziati conviene puntare. Ma, come vedremo, nei risultati c’è qualcosa che interessa anche tutti noi, e molto.

DIECIMILA SCIENZIATI. Per capire meglio il meccanismo del successo scientifico, i ricercatori di Oxford, tra i quali c’è la giovane italiana Roberta Sinatra, si affidano ai big data. Prendono in esame sotto il profilo quantitativo le carriere di oltre diecimila scienziati attivi in sette diverse discipline, dalla fisica alle scienze cognitive, alla chimica, all’economia.
In sostanza, i ricercatori contano il numero della pubblicazioni prodotte da ciascuno scienziato e ne valutano l’impatto, cioè la quantità di citazioni che ogni pubblicazione si guadagna all’interno della comunità scientifica internazionale. Le più rilevanti sono anche le più citate.

Facendo questo, i ricercatori scoprono che gli scienziati giovani sono più produttivi in termini di numerosità delle pubblicazioni (e quindi statisticamente avrebbero maggiori probabilità di successo). Ma in realtà uno o più picchi d’impatto e di successo possono verificarsi in qualsiasi punto di una carriera scientifica. Dunque non esistono età più creative (neanche i sessant’anni citati dal titolo del Corriere). La rilevanza scientifica dei risultati prodotti, insomma, non diminuisce invecchiando, e a contare non è il puro dato anagrafico, ma qualcos’altro.

IL FATTORE Q E IL FATTORE P. Il qualcos’altro è costituito dalla combinazione di due elementi. Il primo è quello che i ricercatori chiamano fattore Q, che rimane costante nell’arco dell’intera carriera. Indica la qualità intrinseca del lavoro, e delinea la capacità del singolo scienziato di usare al meglio le conoscenze di cui dispone grazie agli studi che ha fatto, alla capacità tecnica e a quella di tessere relazioni, alla capacità di comunicare…

Il secondo elemento è quello che i ricercatori chiamano fattore p: una dose di fortuna o, meglio, di serendipità. È la capacità di trovare ciò che non si sta propriamente cercando. Le storie di serendipità, tra invenzioni e scoperte, sono frequenti e affascinanti. Riguardano i campi più diversi: dalla scoperta dell’America a quella della penicillina, dall’invenzione del teflon alla concezione di internet.

LE MENTI PREPARATE. Ma, come ricorda Pasteur il caso favorisce la mente preparata. Solo chi ha una formazione tale da permettergli di interpretare in modo adeguato una casualità può trarne vantaggio. E solo chi è abbastanza tenace ha la possibilità di imbattersi, prima o poi, in una casualità potenzialmente fertile.

La visualizzazione dei risultati della ricerca di Oxford è contenuta nel (bellissimo) video che potete vedere qui sotto, ed è impressionante. Presentandola, gli autori la definiscono “The Hope Project”, il progetto della speranza, perché dimostra che, a prescindere dallo stadio di carriera, il successo può essere dietro l’angolo per chiunque sia abbastanza tenace e competente. Ognuno può augurarsi, dunque, che le sue età più creative siano le prossime.

CREATIVITÀ QUOTIDIANA. Come scrivevo prima, questa ricerca illumina alcuni meccanismi che, credo, riguardano anche la più umile, ma non meno importante, creatività quotidiana. Quella che consiste nel risolvere efficacemente i problemi di tutti i giorni, e che ci può migliorare la vita. In quest’ambito la ricerca di Oxford suggerisce alcune cose importanti anche a noi, che non siamo scienziati in gara per il successo internazionale ma che, prima o poi, invecchieremo tutti quanti.
La prima cosa importante riguarda l’interazione tra competenze e casualità. Avere un colpo di fortuna è del tutto casuale, ma per saperne trarre vantaggio bisogna essere competenti, oltre che aperti alle opportunità inaspettate. Quindi, è sulle competenze in senso lato che conviene investire, già da giovani. Prepararsi a vivere età più creative può essere il modo per viverle davvero. E ancora: il caso può premiare chi è tenace e non si stanca di provare, indipendentemente dall’età.

In realtà proprio questo, che sembra essere il dato più clamoroso, è stato almeno parzialmente anticipato dalle ricerche psicometriche di Dean Keith Simonton, che ha indagato già alla fine del secolo scorso le età più creative in un ampio ambito di discipline, scientifiche e artistiche.
È vero, scrive Simonton, che Newton compie alcune delle sue scoperte maggiori nell’annus mirabilis 1666, a ventitré anni. Ma d’altra parte l’astrologo polacco Niccolò Copernico termina di scrivere il De revolutionibus orbium caelestium quando ha settant’anni.
È vero che la scultrice e architetta sinoamericana Maya Lin Ting progetta a ventun anni il suo lavoro più noto, il Vietnam Veterans Memorial di Washington. Ma è vero che l’architetto americano Frank Lloyd Wright a settantadue anni progetta Fallingwater, la casa sulla cascata, definita miglior opera di architettura americana di sempre.
età più creative 1

CREATIVITÀ CENTENARIA. Il mio vecchione favorito è però il chimico francese Michel Eugène Chevreul, che nella prima parte della propria vita si occupa di acidi grassi e inventa la margarina. Poi cambia sfera d’interesse, e a cinquant’anni pubblica studi sulla luce e sul colore che influenzeranno i pittori divisionisti. Poi, superati i novant’anni, decide di cambiare ancora e, da vero esordiente di successo, è uno dei pionieri di una nuova disciplina: la gerontologia. Pubblicherà il suo ultimo libro a centodue anni. Il suo nome è scritto sulla torre Eiffel. La sua storia ci dice che le età più creative possono durare quanto una lunghissima vita.

Diverse ricerche empiriche, scrive ancora Simonton, hanno dimostrato che la capacità creativa può rinascere in modo sostanziale nell’ultima parte della vita. Esaminando in dettaglio 1919 lavori di 172 compositori classici, si nota l’emergere di uno schema affascinante: in vecchiaia le composizioni diventano più concise, più semplici, le melodie più controllate e pregevoli sotto il profilo formale. Spesso il risultato è un capolavoro.
Tutto questo significa, conclude Simonton, che la vecchiaia può essere, e in molti casi è, una delle età più creative. Nella storia di Chevreul c’è un altro dato interessante per tutti: un modo per essere creativamente longevi è regalarsi  periodicamente un nuovo interesse. Chi affronta problemi nuovi porta con sé, insieme all’esperienza maturata in altri ambiti, anche uno sguardo fresco, che gli permette di avere più facilmente intuizioni di valore.
Le immagini sono di Ronen Goldman.

6 risposte

  1. Annamaria, devo dirtelo: i tuoi articoli sono la cosa più motivante in cui mi sia mai imbattuto in rete, anche più dei TED talks. Penso che li userò come surrogati del caffè.

  2. Io penso che l’esperienza sia l’ingrediente capace di arricchire la creatività, perché affina la sensibilità e “smussa gli angoli”. Se si parla, invece, di scoperte scientifiche è ovvio che lo spirito d’osservazione e l’ottimizzazione degli strumenti a disposizione sono utilizzati dall’anziano in maniera meno rapida e brillante, magari, ma certamente più oculata e approfondita. Ciò che in gioventù riesce a fare l’intuito, in età avanzata è affidato all’esperienza, alla cautela, alla verifica. In sintesi, penso che si tratti di forme diverse ma non so quale delle due sia più efficace. Se esistono degli studi, non posso che prenderne atto e accettarne le conclusioni.

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