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Fertility Day: provocazione, propaganda e niente informazione

Con la comunicazione sul Fertility Day la ministra Lorenzin ha di certo ottenuto un risultato clamoroso in termini di crescita dell’attenzione al tema della denatalità nazionale. In comunicazione, però, “clamoroso” non sempre significa “positivo”. Anche i fallimenti possono fare clamore, e questo è proprio il nostro caso.

Del Fertility Day e della campagna che lo promuove hanno parlato (malissimo) non solo i social media, ma tutte le testate italiane, sia online sia offline. E non solo le donne ma anche gli uomini. Nell’improbabile ipotesi che vi siate persi qualche aspetto dell’intera vicenda, potete leggere l’esauriente sintesi pubblicata dalla testata americana Quartz.
Le notizie date da Quartz vanno integrate con due dati che completano il quadro. Il sito del Fertility Day è stato oscurato a poche ore dal lancio in rete. Il costo complessivo per la realizzazione del progetto di comunicazione e per l’organizzazione delle iniziative territoriali è di 150.000 euro. Questa cifra non comprende né la realizzazione di spot televisivi o radiofonici (comunque in programma, a quanto afferma il ministero) né l’acquisto degli spazi pubblicitari.

Della campagna e del vespaio che ha suscitato parlano anche l’agenzia Reuters, Mashable, la CBS e l’ABC,il NYPost e l’Australian, l’Independent, l’edizione internazionale dell’Huffington Post e l’International Business Times, il cui articolo viene ripreso da diverse altre testate in lingua inglese. La turbolenza mediatica attorno al Fertility Day di sicuro durerà ancora qualche giorno, sia in Italia sia all’estero.
Le conseguenze, invece, saranno a lungo termine: in comunicazione, gli episodi negativi pesano molto più di quelli positivi, e per compensare un fallimento ci vuole un successo molto, molto più grande. Viste le dimensioni di questo fallimento, riparare non sarà facile.

Una prima nota: è curioso che una campagna che vuole invitare i cittadini ad approfondire, e a essere responsabili e consapevoli, sia stata condotta in modo così superficiale, inconsapevole e irresponsabile.
Quella sul Fertility Day non è la prima campagna fallimentare proposta dai nostri ministeri. Ci sono state, giusto per citare i casi che ho osservato più da vicino, le sconfortanti campagne per la promozione della lettura. Le imbarazzanti campagne per il turismo. Le campagne per la prevenzione dell’aids, tanto inutili quanto ipocrite. Possibile che i ministeri non riescano mai, mai, mai a imparare dagli errori?

Fertility Day 1

Il motivo per cui quest’ultimo caso ha suscitato maggior clamore è facilmente intuibile: il tema trattato in maniera così maldestra ha sì importanti riflessi sociali, ma riguarda in primo luogo una dimensione sensibile, turbolenta e indiscutibilmente intima delle persone: è quella che Zauberei definisce una zona psicologicamente incandescente, in cui si intrecciano sessualità, amore, futuro, identità, libertà, le relazioni tra i sessi, il desiderio, la fiducia…
Sarebbe un motivo in più per procedere con delicatezza ed esattezza.

È proprio il contrario di quanto fa il ministero. E il guaio non si rimedia, come sostiene la ministra Lorenzin in una sbrigativa intervista a Sky24, rimodulando le immagini che sono state vissute come un’offesa.
In comunicazione, quel che è importante è esattamente il vissuto. Non i contenuti in sé, ma il modo in cui le persone, attraverso la comunicazione, li percepiscono. Non le intenzioni, ma i risultati. Chi decide di comunicare non può accusare il suo pubblico di non aver capito. Deve prendersi la responsabilità di non essersi fatto capire.
Nella medesima intervista, la ministra aggiunge: a noi non interessa in questo ministero, offendere. Interessa però provocare. Ma perché mai, di grazia, provocare gli italiani dovrebbe essere il modo migliore per informarli sulle dinamiche della fertilità e per convincerli a fare più figli? E perché mai il ministero si prende la libertà di provocare, per poi stupirsi del fatto che le persone si offendano?

Che razza di pensiero contorto e arrogante c’è dietro? Forse l’idea che gli italiani sono pigri, egoisti e avventati? Ehi… ma come la mettiamo con l’educazione sessuale assente nelle scuole? Con gli ostacoli posti alla fecondazione assistita, per i quali nel 2012 si è scomodata perfino la Corte Europea dei diritti umani? Con i consultori senza fondi? Come la mettiamo con le dimissioni in bianco? Con l’incertezza economica e il precariato? Con gli asili-nido che non ci sono? Con la persistente disparità? Facciamo finta di niente?
Perfino se, nel comportamento degli italiani, ci fosse effettivamente anche una componente di pigrizia e avventatezza, trattarli da pigri e avventati invece che informarli sul serio delle conseguenze è del tutto controproducente.

Il presupposto che la comunicazione funzioni solo se “provoca”, così, a prescindere e in maniera greve e fine a se stessa, è infondato. In realtà, la comunicazione persuasiva funziona in modo opposto: come non mi stancherò mai di ripetere, persuadere è una pratica gentile, che rispetta le persone e tiene conto di ciò che credono, sentono e desiderano. Visti gli elementi di contesto elencati poco sopra, un po’ di delicatezza dovrebbe essere d’obbligo.
Questo non vuol dire che, anche quando tira in ballo temi sensibili come questo, la comunicazione dev’essere timida, o noiosa. Guardate per esempio che cos’hanno combinato in Danimarca.

fertility day 3

Le origini del pensiero contorto e arrogante si ritrovano già nella prima pagina del lunghissimo e argomentato documento intitolato Piano Nazionale per la Fertilità. Dove leggiamo che gli obiettivi dell’iniziativa sono informare e sensibilizzare i cittadini, e offrire assistenza sanitaria qualificata. Questo non fa una piega.
Ritroviamo questi obiettivi anche nel capitolato tecnico del ministero, cioè nel documento che descrive come la comunicazione va eseguita. Nel quale leggiamo che il linguaggio dev’essere coinvolgente, dinamico, complice, ma comunque istituzionale e scientifico. E anche diretto, naturale, amichevole, quotidiano.
Sarebbe un’eccellente impostazione. Peccato che nella comunicazione del Fertility Day, così com’è uscita, non ce ne sia traccia. Non c’è informazione. Non ci sono dati scientifici. Non c’è amichevolezza. Non c’è complicità. Non c’è neppure compostezza istituzionale.

Ed eccoci al punto: nella stessa prima pagina del piano ministeriale leggiamo che si vuole operare un capovolgimento della mentalità corrente volto a rileggere la Fertilità come bisogno essenziale non solo della coppia ma dell’intera società, promuovendo un rinnovamento culturale in tema di procreazione… dove la parola d’ordine sarà scoprire il “Prestigio della Maternità”.
Nel capitolato tecnico ritroviamo anche quest’altro obiettivo, insieme all’indicazione che i messaggi dovranno promuovere direttamente l’idea che la fertilità è un bene comune, promuovere la bellezza della maternità e della paternità…

Tutta questa roba c’è, eccome, nella campagna. Peccato che non si tratti di informazione fondata su dati di fatto, ma di opinioni espresse in modo ideologico, che in quanto tali portano fatalmente a una deriva propagandistica.
Il Prestigio della Maternità non è un dato di fatto. Che la fertilità sia un bene comune, e a meno che il ministero non decida di nazionalizzare l’apparato riproduttivo degli italiani, non solo non è un dato di fatto, ma è un’affermazione priva di senso.
Il risultato è una comunicazione che, anche se il ministero dichiara di volerlo fare, rinuncia a informare e invece promuove un’ideologia. E lo fa utilizzando gli strumenti tipici della propaganda: minaccia (se non ti sbrighi non avrai figli! Se rinvii avrai un figlio solo, ammesso che arrivi!) ricatto (se non fai figli non sei un bravo cittadino!), aggressività (datti una mossa!). Ed ecco anche perché molti hanno percepito quel più che vago profumo di ventennio.

zumbo francesco3

In sintesi: se l’obiettivo era “provocare”, è stato raggiunto. Peccato che sia un obiettivo sterile, e non legittimo. E peccato che la sovrastruttura ideologica abbia del tutto oscurato la necessaria, virtuosa e fertile intenzione informativa.
Ma si riesce, tecnicamente, a informare su temi così complessi attraverso messaggi necessariamente semplici e sintetici come quelli pubblicitari? La risposta è “sì”. Non è facile, ma si può fare. Ci vuole pazienza, perché l’informazione va ridotta a piccole unità, ma si può fare. Ci vuole delicatezza, perché per ciascuna unità bisogna presentare un dato rilevante e spiegare una conseguenza in parole semplici e rispettose, ma si può fare.

Un’ultima nota curiosa: il logo del Fertility Day mostra uno scodinzolante spermatozoo che entra in un cuore. C’è da sospettare che non solo sulle dinamiche della comunicazione efficace, ma anche sotto il profilo strettamente anatomico, al ministero abbiano le idee un po’ confuse.

Aggiornamenti:
– Oggiscienza analizza nel dettaglio il documento ministeriale.
– Tra il 2 e il 3 settembre 2016 il sito dedicato al Fertility Day è tornato a essere parzialmente visibile.
– L’agenzia Mediaticamente chiarisce il proprio ruolo.

Se ti è piaciuto questo articolo, leggi il seguito:
Fertility Day, ci risiamo: la comunicazione pubblica inefficace e dannosa
Comunicazione efficace: 10 punti e una dedica alla ministra

19 risposte

  1. Questo della campagna del fertily day è l’ennesimo esempio di come la classe politica oggi possegga due agghiaccianti caratteristiche: quella di allontanarsi sempre più dal mondo reale e quella di scostarsi sempre più dalla cultura, dalla conoscenza e dalla capacità di gestire le cose in modo corretto secondo una logica comune univoca.
    La seconda caratteristica probabilmente è legata al fatto che ormai da anni in Italia si attua una selezione al contrario, garantendo i posti di comando a chi mediocremente è in grado di mantenere lo status quo di chi comanda ed avalla silenziosamente le sue scelte: la “mediocrazia”
    La lontananza dal mondo reale è invece dichiaratamente denunciata dall’incapacità di vedere il mondo di oggi secondo il punto di vista di chi lo vive. Chi occupa posti di governo si sarebbe ormai dovuto accorgere da tempo che i nostri ragazzi vivono una situazione di instabilità e insicurezza del futuro che mina la capacità di progettualizzare le loro scelte. L’impossibilità di potere contare su un lavoro sicuro porta indiscutibilmente a evitare di prendere delle decisioni a medio e lungo periodo. Come possono fare i giovani di oggi pensare di mettere su una famiglia, di acquistare una casa, di fare dei figli se chi ci governa oggi pensa al superfluo facendo loro mancare il necessario? In Italia siamo diventati bravissimi a formare i ragazzi per poi far si che essi emigrino in una ormai inarrestabile diaspora dei cervelli verso l’estero. Con la mortificazione della scuola abbiamo minato il nostro futuro innescando bombe ad orologeria pronte ad esplodere in un ormai prossimo futuro.
    Che i ministri e il premier in prima fila inizino a pensare che il futuro dei giovani non può essere progettato con mancette o con prebende elargite a pioggia nella spasmodica ricerca di un prossimo riscontro elettorale. Pensino a dotarli di profonde e sicure radici per la loro conoscenza e di ampie ali per dare sfogo alla loro fantasia e creatività. Pensino quindi a dare loro una solida base culturale, la possibilità di trovare un lavoro e di riflesso sicurezza psicologica nei confronti del futuro. Vedrete come non sarà necessario alcun fertily day nè alcuna campagna in odore di spese finalizzate più verso vantaggi nei confronti di chi le indice o di chi le realizza, piuttosto che verso il reale obiettivo propostosi.

  2. Concordo su tutto tranne sull’ultimo punto. L’allegro spermatozoo entra in un ovulo (cerchietto bianco) e tutti e due sono all’interno di un cuore. E’ un concetto semplice, sintetico ma efficace.

    1. Mmmh Daniela… il bianco del cerchietto è esattamente lo stesso bianco del fondo dell’immagine: non è un ovulo, è un buco (nel cuore). 🙂

      1. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi del nuovo logo del Fertility Day. Nuovi font e nuova immagine: lo scodinzolante spermatozoo è scomparso, sostituito da un tovagliolo rosso sangue, annodato, tra le parole Fertility e Day. È stata inoltre aggiunta la tagline Parliamo di salute. con tanto di perentorio punto finale.

        http://www.fertilityday2016.it

        1. Non si capisce perché rosso sangue. Non si capisce perché un tovagliolo (se mai dovrebbe essere un fazzoletto. Annodato. Per ricordarsi. Ma che il logo di un’iniziativa abbia bisogno di un nodo al fazzoletto per farsi ricordare è un nonsenso).
          “Parliamo di salute” sembra la classica excusatio non petita: “ehi, vi sto parlando di salute, mica vi sto invitando a fare più figli!”.
          E poi: perché gli italiani dovrebbero accrescere la loro fertility in inglese? Ma su quest’ultimo punto so che abbiamo una prospettiva in comune 😉

  3. Non ho visto la campagna, ma tutte quelle istituzionali hanno fatto e fanno pietà.
    Basti pensare che la gran parte sono il risultato di gare d’appalto (pilotate, tra l’altro) con bandi paurosi.
    A dirigere tutta la comunicazione dovrebbe
    essere nominato sempre un pubblicitario professionista con molti anni di esperienza in agenzia e aziende private. Sottolineo private e non pubbliche.

    1. Il privato non è garanzia di nulla. Il privato in italia funziona male come il pubblico e spesso si dimostra inadeguato, incompetente e ignorante. Di esempi ne abbiamo in ogni settore, chi costruisce, male, le case per i terremotati è privato, chi piagnucola ed elemosina campagne pubblicitarie ai ministeri, è privato; tutti non meno responsabili di chi, compassionevolmente, poi gli affida i lavori e non controlla, non verifica, non contesta il lavoro.
      Condivido quanto scrive Annamaria Testa, pienamente, perché punta il dito su un aspetto importante e spesso dimenticato, ovvero: questa è certo l’ennesima campagna sbagliata, inutile e retorica, ma è prima di tutto figlia dell’ignoranza e, l’ignoranza, sta tanto nel pubblico che nel privato. Quello che mi preoccupa davvero, è che stia sempre di più in Italia.

  4. Non per difendere la triste campagna oggetto delle (giuste) critiche, ma non tirerei in ballo l’incapacità di ministeri e politici, perché, diciamolo, ci sono esempi di campagne sociali fatte da agenzie, più o meno blasonate, senza passare dai ministeri ugualmente tristi. Semplicemente stiamo perdendo la cultura della comunicazione. I politici, non l’hanno mai avuta.

    1. Ci sono state anche agenzie buone che hanno fatto campagne cattive perchè dirette da politici cattivi. A scuola mi hanno insegnato che è il “soggetto economico” quello che dà le carte.

  5. Concordo sempre di più: campagna imbarazzante, e senza nessuna scusante se non una ideologia distorta e maschilista già nell’impostazione.
    E lo dico io, che ho comunque un rapporto ‘dialettico’ con i femminismi più integralisti…

    Però ha avuto un effetto positivo e rivitalizzante, almeno uno: su di me.
    Ho studiato comunicazione, ma mi sono trovato a fare un altro lavoro, pur continuando a studiacchiare sul tema e a interessarmi alla pubblicità e alla comunicazione in generale.
    Bene, questa campagna mi ha ridato un sacco di buonumore e di autostima.
    Se i pubblicitari di professione producono questi carciofi di campagne, allora se voglio anche io posso rimettermi a cercare un posto da pubblicitario anche domani. Evviva. Meh.

    Magari

  6. Il titolo…
    Le prime crepe partono proprio dal titolo.
    Ancora una volta un titolo NON in lingua italiana.
    Un titolo che trovo discutibile e con un suono nemmeno tanto piacevole, tanto è vero che a primo impatto mi ha fatto pensare ad altro…

    Nelle slide vi è anche una sorta di piccolo-grande verità, valida non solo per genitori giovani (e poi… quanto giovani?): per fare e crescere figli bisogna essere creativi.

    Inoltre, fino a quando i soldi verranno sperperati come in questo caso anziché destinati a “genitori giovani” (e non), la creatività dovrà aumentare sempre più.

  7. Prima della Riforma Agraria (del 1954 cito a memoria), i contratti di mezzadria erano basati su una valutazione preventiva: se da un dato terreno era pensabile ottenere un certo quantitativo di grano, ad esempio 12 quintali, il contadino che aveva necessità di un campo da coltivare, assumeva la conduzione obbligandosi preventivamente a consegnare al latifondista 6 quintali. Se la tempesta o la siccità o la sovrastima davano una produzione reale di 9 quintali e due di essi dovevano essere accantonati per la semina successiva, al mezzadro restava un solo quintale per il pane di un anno.
    La soluzione era di prendere a mezzadria appezzamenti più grandi o più terreni sparsi per ridurre il margine di danno.
    Per coltivare più terreno occorreva manodopera, e cosa c’era di meglio di tanti figli che si accontentavano di un pezzo di pane, quando c’era? I coltivatori diretti, così come i braccianti urbanizzati che lavoravano a giornata, avevano un numero di figli inferiore, mentre le famiglie dei mezzadri, proprio a causa delle leggi dell’economia, erano le più numerose. Da sempre sono le famiglie più povere che tendono ad essere più prolifiche.
    Lasciamo perdere questa ignobile accozzaglia di pregiudizi e presunzioni figlie di CL e dei residuati del ventennio, becera propaganda con già nel nome Fertility Day i residui del “piscio del futuro” presidenziale, come sempre abilissimamente smontata dalla nostra ospite.
    È tutta l’altra comunicazione pubblicitaria, anche quella poca fatta bene o benissimo, che rema contro l’incremento della natalità. Faccio un figlio o vado in vacanza? Faccio un figlio o cambio automobile? Faccio un figlio o me la spasso e consumo? La nostra attuale economia e la comunicazione che ne deriva, dice che è meglio la seconda opzione, e ce lo dice in ogni messaggio, con ogni mezzo. Per fare figli come i mezzadri dell’ottocento non bisogna guardare la tivvù, leggere i giornali, navigare in rete, avere alternative.
    E occorrerebbe ricordare anche che i giovani -ad esempio quelli voluti dal Duce per dare soldati alla patria– sono divenuti rapidamente vecchi e che quelli rimasti affollano gli ospizi, e che le fluttuazioni artificiali della natalità portano di norma più scompensi che vantaggi se non maturano anche le condizioni di benessere o di povertà.

  8. L’egoismo è l’enciclopedia di tutti i difetti. Allevare un figlio richiede altruismo.

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