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Un’escursione nei dintorni di Game of Thrones

Tra i primi dieci film di maggiore incasso della storia del cinema cinque sono di ambientazione fantascientifica, tre sono fantasy, uno (Titanic) è storico e uno (Skyfall) è di spionaggio. In realtà Avatar (il primo per incassi) innesta più di una suggestione fantasy in una storia di fantascienza, the Avengers (il terzo) è fantaspionaggio, e così via: mentre il successo delle storie di genere cresce, le trame si contaminano e il pubblico si espande.

L’unica cosa certa è che ormai a nessuno verrebbe più in mente di sostenere che la fantascienza è una forma letteraria minore, o che il fantasy è rivolto solo a un pubblico giovanile: grazie a Tolkien (e non solo a lui) perfino in libreria elfi e draghi non se ne stanno più confinati negli scaffali di letteratura per ragazzi. Evviva. Senza pagare pegno al dato anagrafico, mentre mi registro le puntate de Il trono di Spade per poi vedermele tutte insieme (lo so, è una forma più sottile di dipendenza) posso intrattenervi con alcune chicche sull’argomento. A proposito: qui sopra potete vedere un’immagine delle riprese.

BBC News Magazine si diverte a raccontare che nel 2012 Game of Thrones è stata la serie televisiva più piratata in rete. Che nel 2013 Mark Zuckerberg ha organizzato un barbecue a tema, a base di carne di capra e altre oscure parti di animali. Che una ballerina di burlesque canadese spopola (s)vestita come Daenerys Targaryen, la bionda e attraente regina dei draghi.

Il New Yorker sottolinea la complessità narrativa della serie. C’è la sensazione di enormità trasmessa dall’universo creato da George Martin: i personaggi sono centinaia, e diventano migliaia se si contano quelli semplicemente nominati. C’è la mescolanza tra suggestioni fantastiche e storiche: la Guerra delle due Rose, l’Antica Grecia, le Crociate. Ci sono lo spessore psicologico degli esseri umani e la loro ambiguità morale: David Benioff, uno dei produttori esecutivi della HBO, dichiara che Game of Thrones è come “I Soprano” nella Terra di Mezzo.

Non ultimo, c’è il sesso: il critico televisivo Myles McNutt conia un’espressione – “sexposition” – per indicare una specifica strategia narrativa sviluppata dalla serie televisiva, e consistente nel dare le necessarie informazioni su trama e personaggi nel corso di scene erotiche. Una soluzione efficace per star certi che tutti stiano davvero attenti.

George Martin definisce se stesso, come autore, un gardener: ha un’idea precisa di dove vuole arrivare ma fa crescere la sua storia man mano che procede. Il suo stile di lavoro, dice, è profondamente diverso da quello di Tolkien, un architect: che prima costruisce ogni singola lingua o mito dei popoli che abitano la Terra di Mezzo, e solo dopo comincia a scrivere.

Sta di fatto (a raccontarlo è sempre il New Yorker) che gli appassionati se la stanno prendendo con Martin e lo insultano in rete perché tira in lungo col prossimo libro: sono giovani e impazienti, si considerano clienti più che ammiratori e pretendono un servizio svelto e di qualità.

Qualcosa di non troppo diverso, del resto, è successo qualche mese fa a J.K. Rowling, dopo che si è dichiarata pentita di aver maritato Hermione a Ron invece che a Harry Potter: aspre polemiche in rete, finite addirittura sulle pagine del Guardian. Anche questa sindrome, per quanto scomoda per gli autori, è interessante da osservare, e anche questa è stata anticipata (beh, nella sua versione più estrema) da un’opera narrativa “di genere” poi finita su schermo: il cupo, incalzante Misery non deve morire di Stephen King.

3 risposte

  1. Per contribuire alla discussione sull’argomento mi permetto di segnalare un articolo uscito un po’ di tempo fa sul portale WebTrek Italia in merito al rapporto tra le funzioni di Propp e il film Guerre Stellari http://old.webtrekitalia.it/modules.php?name=News&file=article&sid=1329 A mio avviso resta comunque valida la considerazione che applicare l’uso di generi sminuisce un buon prodotto creativo (per non parlare dei capolavori) ed è troppo spesso frutto di una classificazione soggettiva. Così, ad esempio, parlando del film Avatar (fantascienza per molti aspetti visuali) vorrei ricordare la trama narrativa (praticamente identica) del cartone Pochaontas. Mi fermo che il tema meriterebbe una trattazione lunghissima e invece corretto lasciare spazio alla discussione. Come sempre ringrazio Annamaria per i suoi post sempre suggestivi.

  2. Ma quindi la creatività è solo questo? Riuscire a vendere più degli altri? Riuscire ad interessare milioni di persone con la solita favoletta del cece(sesso, sangue, soldi), ma con la propria firma in calce?
    Molti anni fa Umberto Eco scrisse un breve, ma intenso, saggio dal titolo “Come scrivere un best seller”. Nessuno ci fece caso, qualcuno lo prese in giro: era solo un giovane professore di semiotica. Poi scrisse “Nel nome della rosa”, dove applico, punto per punto, a cominciare dal titolo, le teorie del suo saggio: divenne ricco e famoso. Ma ricco e famoso vuol dire migliore?
    La trasformazione dei lettori da “ammiratori” a “clienti” è sintomatico di una tendenza culturale in cui la logica del mercato ha, preoccupantemente, invaso settori impropri dell’animo umano: presto saremo tutti ricchi e famosi, ma saremo anche felici?

  3. Benvenuta nell’universo di George R.R., che ovviamente crea dipendenza. Qualche coriandolo di informazione in più: come tutti i veri addicted della serie (per verità dei libri, non del serial TV) sono preoccupatissimo che Martin non riesca a chiudere l’enorme affresco che fino ad oggi conta cinque mastodontici volumi (che inspiegabilmente la Mondadori ha “spezzato” in oltre una quindicina di volumi, per poi ripubblicarli sia nel formato originale sia due a due, rendendo quasi impossibile a chi si accosta oggi alla serie capire cosa deve acquistare. Di certo NON i primi due volumi della serie in edizione originale cartonata Mondadori, già rarità bibliografica sui 300 euro l’uno). Il piano editoriale prevede altri due volumi. Martin ne “rilascia” circa uno ogni cinque anni insistendo che “Il diavolo è nei particolari” (e ci credo, con tutte quelle sottotrame!). Martin (che è di origini italiane, cognome dei nonni Massacola, e viene spesso nel nostro paese di cui ama molto cibo e vino: ho avuto modo di incontrarlo qualche anno fa ad un raduno di impallinati fantasy. Ai tempi eravamo qualche decina, dopo la serie Tv i fan sarebbero migliaia) ha 66 anni, non gode di una salute fantastica (diabete) e potrebbe non farcela a finire il tutto. Ad ogni modo, di recente, dopo una lunga teoria di polemiche dovute al fatto che sempre più amanti della serie TV si sono precipitati a leggere i romanzi per sapere “cosa succede dopo”, lo stesso autore ha dichiarato che “La serie TV, dalla quarta stagione in poi, NON segue più la trama dei romanzi ma ha una sua totale autonomia nelle trame”. Conclusione: anche a me toccherà guardare la serie TV, fino ad oggi ero riuscito ad evitarla. Ultima notazione: George R.R. era già un famoso scrittore ed editor di fantascienza prima del successo planetario delle “Cronache del ghiaccio e del fuoco” (nome della serie di libri, quella TV si chiama invece appunto “Game of Thrones”). La Rizzoli aveva cominciato a pubblicare una serie di romanzi curata da lui, la serie dei Wild Cards (supereroi mutati da un virus alieno) ma si è arenata dopo i primi due libri. La Mondadori ha ripreso il tutto ed ha già pubblicato i primi 6 libri della serie che ne comprende 18 (non è tutto Martin, partecipano un altro folto gruppo di autori fra cui alcuni famosissimi come il compianto Roger Zelazny, ma Martin è l’editor di tutto il progetto, negli USA già tradotto in una serie a fumetti e – pare – presto in una serie Tv). Così poco tempo, così tanto da leggere e da vedere. E ogni tanto rimpiango di aver incontrato nella vita un autore così inarrestabilmente graforroico…

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